OASIS: FAMILIAR
TO MILLIONS? MAGARI!
Intro.
Guidavo, solo, nel
pomeriggio estivo, fra le sequoia giganti sopra San Francisco, California. Allora, qualche lustro fa, le auto a noleggio non avevano il lettore CD ([1]) e quindi ancora si andava a nastro.
Stonatamente, ma a tempo, cantavo “Champagne Supernova”.
Ecco, questo è il mio attestato di fedeltà agli Oasis: certo ho riso quando hanno spaccato qualche dente frontale a Liam Gallagher a München; certo continuo ad avere una modesta stima per The Beatles ([2]).
Poi ci sono
altre due contraddizioni: la prima è che per me “Live Forever” ([3])
significa: “chi vuole vivere per sempre? Nessuno!” ([4]).
L’altra sta nel
fatto che “The Masterplan” letteralmente mi scardina ad ogni ascolto, eppure si
tratta di una canzone “pro-Dio”.
Una breve
introduzione per un uno scritto che può risultare obsoleto o non degno di
lettura.
Se volete, ve ne
propongo un’altra.
2. Alternate intro.
Il ragazzino con
le guanciotte, presto surclassato dal fratello ([5]) minore
(di cinque anni) quanto a successo con le gallinelle (“birds”) nella Manchester quasi sinonimo ([6]) di pouring rain.È Noel Gallagher.
Quel viso un
poco tondo lo si ritrova anche nel filmato della “spina staccata” del 23 agosto
1996 al londinese Royal Festival Hall: roba fine (malato il little bro’ Liam, la chitarra acustica
del senior Gallagher è sugli scudi) e
una delle polo-shirt più brutte che io abbia mai visto.
È una piccola
epica la saga della gang gallagheriana chiamata Oasis; formazioni solide come
una custard cream, ma la
determinazione di arrivare, subito, e rimanere, a lungo.Ecco quindi che l’esordio “Supersonic” serve al pubblico un bimbo che già cammina e parla, non un fantolino che gattona e farfuglia sillabe.
La scelta diventa prassi anche per i successivi due singoli.
Ne preferite una
terza (quella originaria ([7])) di
introduzione?
3. The original intro.
Prendete il
secondo CD che costituisce il live set che dà il titolo a questo post: leggete
la track list e ascoltate. Qualcuno forse non ah nemmeno bisogno di leggere oltre: se gli Oasis sono questi, è il caso di approfondire direttamente e basta. Ma un po’ di confusione evidentemente può emergere, e a ragione.
Certo in loro sono presenti i labari di un laddismo inequivoco e le insegne da braccio della divisa di terraces dove l’onda casual non cancella del tutto l’apocalisse Doc Marten’s che la precedette.
Emerge anche una versione di una canzone di Neil Young non certo indolore ([8]) e quella di una lieder beatlesiana satanica che non omaggia gli U2 ([9]).
Fine delle
introduzioni.
Tutto comincia a
Manchester – dove “dolore” rima con “pioggia” – e, per caso, con quella nomea catch-all che ha fatto molte vittime
(pensate agli Echobelly) e creato qualche equivoco (valgano i, qualche volta,
eccellenti Suede): Britpop.
Ecco che in questo pseudo-ambito di genere musicale la stampa, almeno in parte, monta il dualismo fra Blur e Oasis; dove mi pare i più tifino per i primi ([10]). Ma dopo qualche metro non c’è più competizione: per quanto Modern Life Is Rubbish (che è già il secondo album ([11])) sia un bel disco, la valenza atemporale di Definitely Maybe è verbalmente rafforzata dalla canzone che lo apre.
Sommersi dalle vendite degli avversari – che con il successivo (What’s The Story) Morning Glory ([12]) assurgono a fama imperitura – i Blur si difenderanno gloriosamente, ma senza esito, con quel Parklife che ammicca ancor più smaccatamente (si veda la voce “ospite” di Phil Daniels ([13])) allo stile albionico esportato con successo negli USA un trentennio prima – stile ormai necessitante di protezione, pena l’estinzione – che il tossico decennio ottanta aveva volgarmente decimato sull’altare di un edonismo fluorescente dove ordinare “a pint of Stella” è in e chiedere “a pint of bitter” è out.
Poi nel 2009 la frattura formale e duratura, ognuno dei fratelli per la sua strada; però l’albatross al collo di Liam e di tutti gli “ex” resta: a chiudere le Olimpiadi del 2012 i Beady Eye a interpretare quell’autentico mostro melodico che è “Wonderwall”, firmato da Noel ([15]).
Intanto i Noel Gallagher’s High Flying Birds …
Steg
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[1] Il
formato MP3 era ignoto.
[2]
Neanche Lemmy dei Motorhead, dopo “neanche i Velvet Underground”, può farmi
cambiare idea. D’altronde che i Fab Four fossero più famosi di Gesù cosa può
importare ad un religiosamente ateo come mi dichiaro?
[3] Ma è
possibile che nel videoclip per il
mercato nordamericano di questa canzone ci veda solo io un omaggio al film Performance?
[4] Che
non equivale al netto “I want to die” di Kurt Cobain che avrebbe, come
reazione, ispirato questa canzone.
[5] Ce ne
è un terzo: Paul, il maggiore (di un solo anno). Ma per questa storia non
rileva.
[6] Si cfr. il libro di Kevin Cummins
dal titolo: Manchester: Looking for the Light through the Pouring
Rain.
Nei testi della band ho trovato, almeno: “morning rain”
e, appunto, “pouring rain”.
[7] Anche questo post bolle da molto tempo. La verità?
L’introduzione che preferisco è la prima.
[8] E
Liam mente, “tirandosi indietro gli anni”; mentre l’annuncia.
[9] Che
anche la hanno interpretata.
“Helter Skelter” è per un
po’ anche il nome dell’”etichetta discografica” degli Oasis.
Ad abundantiam cercate anche sotto Siouxsie and the Banshees.
[10] La
coppia Damon Albarn-Justine Frischmann, lei oltre che già ragazza di Brett
Anderson (leader dei Suede) è anche a capo dei “press darling” Elastica.
[11] I
Blur sono un raro caso in cui il primo album soffre della “sindrome del secondo
album”.
[12] Si
noti il vezzo delle parentesi riecheggiante gli scorsi anni ‘60; invero pochi
hanno considerato i muri “spectoriani” per densità della sonica gallagheriana.
[13] Come
se una sorta di növomod
[14] Per
gli effettivi ruoli vedetevi i “crediti”, per singole canzoni e registrazioni
[15] A
cui non piace nemmeno moltissimo.
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