1994
Ricevo il nuovo post che qui di seguito pubblico da EKS
(la quale ho già ospitato qui con altri scritti: cercateli con l’etichetta
“EKS”).
Siccome non sono
di quelli che si riscrivono la vita, posso sintetizzare il mio pensiero di
allora sulla morte di Kurt Cobain così (ispirandomi a un verso dei Manic Street
Preachers ([1])): “I just blinked when
Cobain died”.
Steg
1994
L’ultima immagine che conservo, è del
cadavere nella bara nella cappella mortuaria dell’ospedale, con le mani
cristianamente intrecciate sul petto, le dita irrigidite dal rigor mortis
che fanno pressione, le labbra cucite dall’interno con un paio di punti. Un
tempo si metteva una fascia per tenere la mascella del morto serrata, si vede
anche nei film del dopoguerra con Totò, era pratica diffusa. Nel 1994 danno un
paio di punti di sutura.
Evidentemente la morte ci lascia con la bocca aperta. Sono stata a diversi funerali, ma non ho mai visto una persona morta. Gli incaricati del funerale danno anche due avvitate alle viti del coperchio della cassa, con il trapano, frullante e rimbombante nel silenzio dei sotterranei dell’ospedale, per evitare che si apra nel trasporto, immagino. Normale amministrazione, irrispettosa del sentire dei parenti. Fa freddo, non mi ricordo nulla del funerale.
Non avendo molto per cui rimanere, vado a
Londra. Mi ospita una famigliola tranquilla, lui ha una società edile, lei è
impiegata in comune, due ragazzini selvatici ai quali insegnare almeno a
masticare a bocca chiusa e arginare le loro gare di rutti serali con la Pepsi.
Laura di 11 anni, indecisa tra bambole e orsetti e mettere il lucidalabbra, di
nascosto. Gregory di 9 anni, refrattario alla scuola, con grandi sogni da
calciatore, con la smania di essere accettato da compagni di classe e compagni
di squadra.
Il nostro vicino di casa David, sui 14
anni, ogni tanto bazzica da noi, per noia. Ha un fratello che non esce di casa,
salvo il sabato, quando va con il padre a giocare a golf, pare abbia iniziato a
frequentare corsi al college, ma si è ritirato subito, non si sa per quale
motivo, e non è più uscito di casa. La faccenda è ammantata da fitto mistero e
i ragazzi ci tengono un sacco a proteggere le loro informazioni e sbandierare
il loro ruolo di persone parzialmente informate sui fatti.
Una sera di aprile, David viene a casa
nostra in lacrime gorgogliando frasi indistinte tra un singulto e l’altro. Non
capisco cosa sbiascica tirando su con il naso, ma è una faccenda grave. Gregory
prontamente traduce il bofonchìo in una frase comprensibile “Cobain has
blown his brain out”.
Non so se sono rimasta male, mi piace Cobain,
ha sempre avuto l’aria di uno votato al martirio, non può non piacere. Ma mi dà
ai nervi Cobain, principalmente a causa di sua moglie.
Che grave perdita: risuonano tappi di
champagne stappato in ogni redazione di quotidiano e rivista, olio alle rotative,
vai d’incassi! Seguono immagini del funerale, Michael Stipe che sorregge la
vedova.
I miei selvatici ragazzi trovano che il
mio atteggiamento di accettazione dell’inevitabile li distingue dai loro amici
e compagni di scuola. Il mio imprinting funziona sugli anatroccoli Laura
e David. Gregory si conforma ai suoi amici, non ha bisogno di rinascimentale
sprezzatura, a nove anni.
EKS
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