COMINCIO
A CAPIRE I VENEZIANI
(il Bel
Paese, i turisti e altro: considerazioni sparse)
Leggenda – ma è
una verità – vuole che certi ristoranti di Venezia abbiano tre ordini di
prezzi: per i Veneziani, per i clienti e per i turisti. Forse c’è uno sdoppiamento:
dopo i turisti italiani arrivano quelli stranieri a pagare con beata idiozia: sono
la quarta classe degli avventori.
C’è un’autrice
straniera, di lingua inglese, che non
pubblica (per snobismo?) in Italiano romanzi polizieschi ambientati
a Venezia, i suoi nome e cognome sono irrilevanti come i suoi scritti.
C’è anche una
serie di romanzi ambientati a Roma, dove il protagonista è tale Ispettore (di
polizia) Zen.
Roba, roba, da
turisti stranieri che non riconoscono lo sputo del cameriere negli spaghetti (quando
sono alle vongole sarebbe già un successo) in laguna o nei bucatini all’ombra
del Colosseo o, bloody hell!, nel
pesto di plastica che im-pesta (appunto) non solo le para-trenette nel mondo
(non soltanto in Liguria).
Il cliché del “Paese del sole” è davvero
frusto e liso, come se a Roma non ci fossero i nubifragi, a Genova anche le
inondazioni, o come se – da idioti – sia bello rischiare una polmonite nel
traversare Piazza San Marco con l’acqua alta.
Il problema, non
è il turista: è il turista che vive di luoghi comuni, e che spesso tratta i
locali come poco più che dei paria.
In effetti in
questo c’è quasi una cesura fra latini e non: osservate i nordeuropei (con
l’eccezione degli Olandesi, forse) in Italia o in Spagna.
Ma che vadano
tutti in m*** questi stranieri con il complesso di superiorità umano e di
inferiorità geografico, e paghino profumatamente i loro stereotipi del Bel
Paese ([1])!
Steg
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