BIG
STAR E ALEX CHILTON
(una
innegabile eredità musicale)
Se i Big Star
fossero stati più popolari, probabilmente non mi sarebbero piaciuti.
Data la mia
quasi idiosincrasia per The Beatles, al fastidio ogniqualvolta ad una compagine
musicale viene attribuita qualche somiglianza con loro ([1]) si
aggiunge anche un maggior fastidio ove si assiste a una banalizzazione da successo
commerciale dell’artista di turno.
Con il gruppo di
Memphis, Tennessee, questo non accade.
Stante l’incomprensibilità
del termine “power pop” per definire un ipotetico genere musicale ([2]), è
più semplice lasciar perdere; anche perché, con discreto ossimoro, avremmo dei
ragazzi di Memphis ispirati da britannici che si sono ispirati al genere blues che evidentemente nel Tennessee è
una sorta di “cespite musicale”.
A un certo punto
della vita di una persona che ascolta molta musica non di “corrente principale”,
capita(va)no in casa gli album di due gruppi statunitensi: New York Dolls e Big
Star.
Diciamo che non
necessariamente “dovevano” arrivare tutti, anche perché non vi sono molti punti
musicali in comune fra questi artisti (se non che entrambi conoscono bene quello che è
stato creato prima di loro), ma dato che la discografia di studio
essenziale di entrambi è costituita da due soli dischi ([3]), non
è mai stato proibitivo conoscere l’intera produzione di Bambole e Stelle.
In realtà,
ritengo che sia piuttosto difficile fermarsi nell’arricchire la propria
collezione, almeno rispetto agli uni o agli altri: l’archeologia per entrambi è
cominciata relativamente presto e quindi con il passare degli anni (e dei
formati fonografici).
Esiste, forse,
un punto di etereo contatto stilistico fra le due band: il primo album del gruppo fronteggiato da Alex Chilton si
apre con “Feel” che suona molto Todd Rundgren, cioè il produttore artistico
dell’esordio eponimo delle Dolls.
E, magari, seguendo
la linea townshendiana non tutti sono torti, in quanto Rundgren capitanò i più
britannici degli statunitensi: i Nazz ([4]).
Con Alex Chilton
([5])
condivido la data di nascita: 28 dicembre.
Ma Alex è stato
anche un ragazzo meraviglia: giovanissimo aveva già fronteggiato The Box Tops:
oltre il milione di copie con il singolo “The Letter”, la registrazione è
quella demo (tutto senza X-Factor e, per contro, Elvis Presley non in disarmo).
La storia dei
Big Star è quella di aspettative deluse, successi preannunciati che hanno
girato nel punto sbagliato, ... ([6]).
Con ovviamente
conflitti interni e egocentrismi di statura colossale, ma entro un mondo che si
chiama, lo ripeto, Memphis ([7]) e
non Springville, ed ivi si trovano i leggendari Ardent Studios ove si
registrano le fatiche dei quintessenziali alfieri del ... power pop e cioè
oltre a Chilton: Chris Bell (l’altra meta del nucleo creativo), Jody Stevens e
Andy Hummel.
Le strade che
potete percorrere anche da soli ovviamente non ve le disvelo, secondo la linea
impressionista ([8]) del blog.
Posso solo
mettervi in guardia rispetto alla pletora di varianti versioni della stessa
opera musicale registrata dalle, instabili e susseguentesi, formazioni dei ([9]) Big
Star.
Il fatto è che,
per Alex Chilton la storia artistica sembra ricominciata per la terza volta
“dalle parti del punk”: solista e autorevole ispirazione fra i reietti, si
costruisce una carriera di album più o meno misconosciuti, fra loro anche
sovrapposti seppur non coincidenti, padrino suo malgrado di una bohemia urbana,
ovviamente darling dalle parti della
manhattanita Bowery, senatore quasi senza platea per le sue orazioni a sei corde,
anche triumviro con Alan Vega e Ben Vaughn, eccetera.
Poi ci sono le “riformazioni”
per quelli che sono cosi nostalgici che sosterrebbero anche che Ringo Star sia
un bravo batterista.
Dalla intervista
del 25 aprile 1993 concessa dopo il concerto alla Missouri University ([10]) si
percepisce il disagio del frontman.
Brutalmente e
bruscamente: anche dopo la morte del bello e dannato Alex il 17 marzo 2010 (comunque
molto più longevo di Bell deceduto il 27 dicembre 1978 ([11])),
la Grande Stella continua a brillare per gli appassionati più maniacali e per i
neofiti.
E forse è un
bene perché i Big Star (e le NYD) devono ancora entrare, necessariamente, in
molte case.
Steg
Tutti i diritti riservati/All rights
reserved. Nessuna parte – compreso il suo titolo – di questa opera e/o la
medesima nella sua interezza può essere riprodotta e/od archiviata (anche su
sistemi elettronici) per scopi privati e/o riprodotta e/od archiviata per il
pubblico senza il preventivo ottenimento, in ciascun caso, dell’espresso
consenso scritto dell’autore/degli autori.
[1] Devo
dire che, per fortuna, non mi è mai capitato che un gruppo che ascolto fosse
assimilato agli U2, di cui tollero solo Achtung
Baby e Zooropa dati i riferimenti
urbani, Berlino, e la produzione, Brian Eno.
[2] “Power pop is a popular musical genre that draws its inspiration
from 1960s British and American pop and rock music.
It typically incorporates a combination of musical devices such as strong
melodies, clear vocals and crisp vocal harmonies, economical arrangements and
prominent guitar riffs. Instrumental solos are usually kept to a minimum, and blues
elements are largely downplayed.
“Recordings tend to display production values that lean toward compression and a forceful drum beat.
Instruments usually include one or more electric guitars, an electric bass
guitar, a drum kit and sometimes electric keyboards or synthesizers” (dalla
relativa voce di Wikipedia).
Eppure il termine sembra essere stato inventato da
Pete Townshend! “Power pop is what we play—what
the Small Faces
used to play, and the kind of pop The Beach
Boys played in the days of ‘Fun, Fun, Fun‘
which I preferred“: Altham, Keith. “Lily Isn’t Pornographic, Say Who”, NME, 20 Maggio 1967.
[3] Rispettivamente: New York Dolls (1973) e Too Much Too Soon (1974); #1
Record (1972) e Radio City
(1974).
[4] Tre
album per lo meno da vagliare ed antologizzare, sebbene non all’altezza nel
loro complesso della successiva prima, ma abbondante, produzione solista dello
Stregone Stellare.
[5] E con
Mary Weiss, voce solista delle Shangri-Las.
[6] Per
la loro storia, fino a un certo punto, rinvio a Rob JOVANOVIC, Big Star: The
Story of Rock's Forgotten Band. London , Fourth Estate, 2004 e a Bruce EATON, Big
Star's "Radio
City " (33⅓).
Continuum International Publishing Group Ltd, 2009.
[7] Lo
stato del Tennessee (certo anche because
of Nashville) con quelli di New York e della California detta -
letteralmente - legge sul tema musica per tutto quanto non coperto dalla
legislazione federale statunitense, e non è poco.
Fidatevi.
[8] Non
voluta ma necessitata da onestà intellettuale e mediatica dell’autore.
[9] Lo so
se scrivo “le” Bambole dovrei dire sempre “la” Grande Stella …
Esiste un album
dell’evento, intitolato Columbia.
[11]
Morto nel 2010, il 19 luglio, anche Hummel.
Divertente e istruttiva la vicenda del tentativo di Chilton di produrre quello che doveva essere il primo album dei Cramps, nientemeno che ai Sun Studios di Sam Phillips (che scambiò due indimenticabili -e documentate, pare- parole con Lux Interior). Il risultato fu imbarazzante: la IRS dovette pagare lautamente per una session che venne a galla tempo dopo, e il duo Lux/Ivy pensò bene di battersela e di andare direttamente a farsi 'Songs The Lord Taught Us' -ed ebbero ragionissima. Rimando all'obbligatorio 'The Wild Wild World Of The Cramps' di Ian Thompson: on line qualcuno che lo vende a meno di 200 euro forse c'è.
RispondiElimina