GIUNI
RUSSO E KLAUS NOMI
(fra l’artista
e il cantante)
Non
ciclicamente, ma ripetutamente, appare una voce assolutamente portentosa.
Spesso essa finisce male.
Penso a Klaus
Nomi e a Giuni Russo, mi auguro di non offendere nessuno dei loro più ferventi
appassionati.
Credo che se io
fossi nato in una nazione di madrelingua inglese non avrei Giuni Russo come
artista (non anticipo una conclusione) da affiancare a Klaus Nomi.
In questo sono,
forse, stato fortunato.
Mi sono
spolverato via ogni possibile stupore per queste due ugole, che non intendo
nemmeno comparare a colpi di acuti.
Mi inducono
malinconia e un poco di stizza per il fatto di essere sempre trattate entrambe
poco sopra una creatura emersa da una mente toddbrowninghiana, con totale
disattenzione per la loro dimensione autoriale, cioè oltre la loro popolarità
come interpreti.
Nomi ha avuto
diritto a un documentario anche in DVD; Russo a più di uno ([1]) ma
nulla di davvero soddisfacente in termini di supporto audiovisivo.
Provate a
raccogliere notizie su questi due artisti e forse anche voi noterete delle
somiglianze: una morte comunque prematura, una sessualità penalizzata (per Nomi
anche letale) in un modo o nell’altro, ... in una sorta di esistenza dove l’equazione
ha come inevitabile risultato “insoddisfazione”.
Poi sui morti
(Nomi nel 1983, Russo nel 2004) pontificano e operano, con le intenzioni più
disparate (ed equivocate, magari) in diversi: “discografici” ancora scoperti
con gli anticipi, eredi che sono eredi ([2]),
rimpiangenti tardivi per definizione.
L’ennesimo sasso
che butto nello specchio d’acqua che è il vostro pensiero musicale.
Certo avrei
potuto intitolare il post “spalline
cimiteriali”, ma anche il mio ermetismo ha un limite, non solo verbale ma anche
foscolianamente e moralmente sepolcrale.
Steg
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[1] Con
la solita davvero granitica, irreversibile?, apatica, disattenzione la RAI non “riesce”
a vendere copie del proprio materiale d’archivio.
Aspetto che mi offrano una
consulenza.
[2] Lo
dico per coloro che ne capiscono poco di diritto: ben conscio io della linea di
demarcazione fra il non condividere e l’insultare con eccesso di veemenza.
Quando incontrai per l'unica volta Giuni Russo mi vennero in mente i tempi in cui la BASF (l'industria delle musicassette) tentò a inizio anni '70 una fallimentare avventura come etichetta discografica. Uno dei nomi messi sotto contratto era lei -col nome di June Russo, mi pare. Nella rivista 'Gong' allegarono una cassetta antologica della label -un disastro postfreakettone. Quando tornò fuori con Battiato la frittata era fatta, ma era già l'epoca del "siamo così furbi e neotecnologici e coooosì niuuave, noi", da Nada a Juri Camisasca. Aiuto.
RispondiEliminaAltra faccenda per Klaus Nomi, ma con tutta la simpatia per il personaggio -di cui conservo i due LP in vinile- diciamocela tutta: voce nulla, fiati zero, intonazione sbilenca, timbro inesistente. In breve, assolutamente zero possibilità di anche solo proporsi come controtenore a qualche spelacchiato teatrino di provincia -quando ancora ne esistevano. Quindi si buttò a fare l'eccentrico presso il pubblico del neorock e il pupazzo dell'esasperante Bowie. In sintesi, capisco che ai seguaci della new wave Nomi dà occasione di atteggiarsi con roba che ascolterebbero solo sotto il tiro di una Magnum 44, ma per favore siamo seri. Star della lirica mancata? Accanto alle sue versioni si può ascoltare un qualsiasi estratto del 'King Arthur' o di 'Dido & Aeneas' di Purcell, magari entrambe dirette da Mackerras -sempre che dica qualcosa all'orecchio. Ah, sì, la brevissima versione di 'Wayward Sisters' da 'Dido' contenuta in 'Simple Man', secondo album di Nomi, è quella dell' intro al tour 1993 di Morrissey, quello del dvd 'Live in Dallas'. Mmmmhh, altro esperto, suppongo.