JOHN
LYDON: O MUORI O CEDI
Da anni non
nutro particolare simpatia per John Lydon, ma gli riconosco storicamente dei
meriti, anche dopo lo scioglimento dei Sex Pistols.
Grandiosa
cronaca, che mescola Gotham City e Charles Dickens (entrambi scaduti o in attesa
di riscoperta a quell’epoca: l’inizio del 1978), quella che vede un neo-Lydon
marciare nella marcia neve newyorkese ([1])
tipica della fine di gennaio e inizio di febbraio ([2]) dopo
essere stato abbandonato da tutti.
Le lenti di Joe
Stevens sono in agguato ([3]), del
resto come non dargli ragione avendo egli già regalato i suoi biker boots a Sid Vicious per preservare
la propria incolumità durante la traversata di un pezzo degli USA in autobus
con “i due John”?
Ma Lydon dimora
presso un altro fotografo: la locale Roberta Bailey (peraltro capo-fotografo
della rivista di Holmstrom e McNeil quindi tutto torna).
Le nostre vite
tranquille si guastano quando esce nell’autunno dello stesso anno il primo
singolo dei Public Image Ltd: perché da bravi travet del vinile il fatto di averne trovato (da Carù a Gallarate,
evidentemente) una copia con copertina “come se fosse un quotidiano”, ci getta
nelle ambasce quanto alla sua conservazione.
Dalle parti
delle festività natalizie, dopo Give ‘em
Enough Rope e The Scream ([4]),
peggio ancora per i maniaci della manutenzione degli involucri: First Issue è un album con la inner sleeve rigida a rischio “ditate” ma
senza testi e, soprattutto, un disco che gira – insieme a L’urlo di Siouxsie and the Banshees (non perché lo scriva il periodico
francese Rock&Folk, è proprio così)
– l’angolo del punk senza guardarsi più indietro, due pietre tombali.
Il secondo
singolo dei PIL nell’estate del 1979 sintomaticamente impone scelte: 7” o 12” ?
In difetto di
idiozia scegli cosa vuoi ascoltare! Tenendo presente l’origine di “Death Disco”:
sorta di omelia funebre per la madre di Lydon, morta di cancro (diverrà la
commemorazione per ogni successiva persona deceduta a lui cara), eppure con
quella canzone i Public Image Ltd compaiono a Top Of The Pops ([5]).
Come ho
delineato già altrove ([6]), il
1979 è un anno di passione e fatica, mantenere il rispetto per se stessi è un
compito non facile e impegnativo.
E cosa accade?
Che con natalizia puntualità la vita musicalmente si complica di nuovo: questo
album sono tre dodici pollici a 45 giri in una latta come quelle che contengono
le pellicole cinematografiche, e quindi si chiama Metal Box ([7]).
Se quasi 30 anni
dopo Simon Reynolds scriverà che quel formato (non la confezione) erano voluti
per escludere un ascolto consecutivo dei tre dischi ([8]), la
verità è che “Albatross” come apertura non induce i più timorosi a spingersi
molto oltre, poi c’è il fatto che non poche copie risultano difettose quanto al
vinile, comunque tendente a rovinarsi nella sua estrazione.
Difficile dopo
tutto ciò avere qualche idea nuova, anche perché nel frattempo in ambito
musicale ne sono “successe” di cose.
Ma per coloro,
come me, che non sono: né sull’estremo che porterà a svolte epocali come fu
(proprio nel 1981) quella de The Human League, né sull’opposto “a la Genesis P.
Orridge”, né su quelle strane terze vie come Echo And The Bunnymen (che
continuo a capire poco ancora oggi) ([9]),
anche il terzo album dei PIL (con un radicale cambio negli organici), Flowers Of Romance è una bella sorpresa
da porre a fianco della fede (che diverrà incrollabile) bansheeiana e degli
ancora (e sempre?) piuttosto misconosciuti Bauhaus.
Tamburi, tamburi
e tamburi (non c’è basso) e la voce di Lydon è ormai la litania di un muezzin,
ma efficace (rispetto ai sempre troppo muscolari per i miei gusti Killing Joke),
suoni che forse avrebbero dovuto farci cominciare a pensare all’Islam prima dei
Public Enemy?
Ecco perché
trovo poco obiettivo sputare su John Lydon per quello che fece (e fa) dopo:
incluse rimpatriate sempre più adipose con i Sex Pistols.
Infine, andate a
vedere ed ascoltare quella che, probabilmente, è una delle tre (le altre due
sceglietele voi) migliori interviste che egli abbia rilasciato ([11]): si
tratta di “John Lydon - The British Masters – Chapter 8” di John Doran ([12]): https://www.youtube.com/watch?v=MjnjJrogb3Q.
Steg
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pubblico senza il preventivo ottenimento, in ciascun caso, dell’espresso
consenso scritto dell’autore.
[1] Come
ci avrebbe camminato a Londra: in entrambe le metropoli ci si interessa poco
della sorte invernale dei pedoni, e anche degli automobilisti, innevati.
Ti ricordi Marco noi due
sui marciapiedi albionici ghiacciati alla fine del 1978?
[2] Come
ben sanno coloro che ci hanno abitato.
[3] Mi
riferisco alla foto che fu pubblicata sul numero (il 14) di Punk The Original (sorta di incrocio fra
fanzine e magazine, data la sua tendenziale patinatura e cura grafica, condotto
dalla coppia John Holmstrom e Legs McNeil) dedicato al tour statunitense dei
Sex Pistols.
[4]
Rispettivamente il faticoso secondo album di The Clash e il debutto sui 33 giri
di Siouxsie and the Banshees.
[5]
D’altra parte in quella stessa stagione alla medesima trasmissione
parteciparono anche S&TB con “Playground Twist”.
[6] Più
mi leggete, meno io devo indicare dei riferimenti. Si tratta del post “’Excuse me are you a mod?’ Ovvero
‘Oh mummy what’s a Sex Pistol?’”.
[7] Certo
la novelty un poco si perde in quanto
evidentemente stanno già cominciando a sinistra le operazioni di santificazione
di The Clash, formalmente sancite da London
Calling.
[8] Si
potrebbe anche sostenere che sei lati consentivano un numero discreto di
“combinazioni di sequenza”.
[9]
Mentre non ho problemi a confessare che The Associates ho cominciato ad
ascoltarli solamente in seguito agli apprezzamenti di Siouxsie Sioux e di Steve
Severin.
[10] In
effetti mi fa un poco ridere pensare che qualcuno si sia posto il problema: i
PIL sono “new” o “no”?
Ma d’altronde uno dei
problemi accademici nel 1978 era il fatto che portasse al polso un orologio “al
quarzo”.
[11]
Anche perché questo post è rimasto
giacente per mesi, seppur terminato, rischiando di andare perso pur essendo
stato ispirato anche da questa intervista.
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