QUATTRO
FILM PER TALUNE RIFLESSIONI
(a proposito di ragazzi italiani fra drughi,
perdenti
e paesaggi urbani negli scorsi anni settanta)
Premessa esplicativa per questo
breve e disordinato excursus negli
ultimi Seventies svolto attraverso
l’ottava arte ([1]).
A parte l’arbitrarietà
di ogni scelta, che non intende proporre classifiche ma un criterio di analisi di
passati modi di pensare e di esistere (più che modi di fare) in circostanze non
semplici – anche per chi non aveva assilli economici –, il cinema e le sale
cinematografiche sono un riferimento così datato da qualificarsi come una sorta
di archeologia sociale prossima.
Altrimenti
sembrano implausibili fattori (non più esistenti) come: film visibili in una
sola versione, nessun materiale aggiuntivo, possibilità di vedere più volte un
film senza pagare di nuovo il biglietto d’ingresso, comunque una sudditanza
dello spettatore a scelte altrui nelle proiezioni che, però, erano ben più
corrette e pluralistiche delle attuali ([2]).
Ciò posto
identifico quattro opere cinematografiche come importanti per i giovani (che allora
non erano i quarantenni, come invece capita sempre più frequentemente di
sentire e leggere oggi) di ormai quattro decenni fa.
Ci sono anche
altri film di quegli anni, che mi hanno segnato indelebilmente ([3]), ma
per motivi diversi non mi paiono, appunto, riferibili non solo a singoli ma ai
più (pur essi una minoranza); li rammento per completezza: Il conformista, The Rocky
Horror Picture Show ([4]), Il portiere di notte ([5]).
Dopo aver visto Apocalypse Now nessuno fu più uguale, ma
siamo già ad un’epoca successiva: le decadi spesso non cominciano come da
calendario.
Inoltre, forse
si tratta di un film dotato di una forza di cross-over
generazionale non ancora del tutto esplorata.
A forgiare e
salvare la gioventù italiana furono invece pellicole disomogenee (come): A Clockwork Orange, American Graffiti, Rocky
e Taxi Driver. La prima ancora oggi
considerata con qualche biasimo moralistico, la seconda reputata “leggera”, la
terza liquidata come una “americanata”, l’ultima probabilmente salvata dalla Palme d’or vinta a Cannes.
In una Italia
raccontata sempre senza colori (lo so lo scrivo spesso) dove non si dispone di
niente, la cultura eterogenea anglosassone ([6]) portata
da queste opere cinematografiche consentì di ragionare, fantasticare, magari
essere anche ingenui e iconoclasti, fra stili nell’abbigliamento ([7]),
musiche passatiste e futuribili ([8]),
scene muscolari ([9]) immerse in paesaggi
urbani affascinanti per lo meno in quanto diversi e non alieni ai loro,
alienati, abitanti ([10]).
Fra l’altro
tutti questi film segnavano una frattura con la generazione precedente: quella
“cresciuta” con (o meglio “rifinita da”?) Easy
Rider ([11]).
I migliori di
noi spettatori più o meno reiterati di quei quattro film divennero “ribelli 77” ; i peggiori seguirono molti
anni dopo gli 883, che comunque erano più apprezzabili di tanti altri ([12]). I
restanti erano inclassificabili, in quanto comunque non si misero in gioco,
cioè non furono mai giovani.
In altri
termini, noi siamo stati dei ragazzi perché c’erano quei film, non certo per indottrinamenti
scoutistici e/o partitici (con tutte le loro inutili varianti, che ancora
sopravvivono) che hanno pervaso quegli anni e che cercavano di inculcarci con
ogni mezzo.
Noi abbiamo
potuto fare delle stupidate, per fortuna, abbiamo potuto fantasticare (una
necessità), abbiamo potuto essere giovani cioè diversi dal resto della società
(che era quanto accadeva già da vent’anni agli altri teen-ager occidentali): tutti comportamenti non facili in Italia.
E allora? Nulla,
soltanto un altro bozzetto, sicuramente molto sbavato, di un’epoca che sembra
trascurata per quel che riguarda quanto si poneva fra “il pubblico e il privato”.
Incidentalmente:
ho un 12”
di un gruppo musicale (classificato hard-core
punk, formatosi nel 1981
in Arizona) che in copertina che si chiama JFA, ma in
realtà erano la Jodie Foster’s Army; una provocazione riferita alle passioni
dell’attentatore che cercò di uccidere Ronald Reagan e che furono
strumentalizzate per qualche tentativo di demonizzare Taxi Driver.
Da parte mia,
per Jodie Foster nutro grandi ammirazione e rispetto, lei mi ha anche fatto
scoprire uno dei pochi libri in grado di “spiegare” la depressione ai non
depressi: Darkness Visible ([13]) di
William Styron.
Steg
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pubblico senza il preventivo ottenimento, in ciascun caso, dell’espresso
consenso scritto dell’autore.
[1] C’è
qualche bisticcio, poiché taluni reputano essere la (o anche la) fotografia
l’ottava, ma essendo la nona il fumetto, tertium
non datur.
[2] Tanto
che non era una stranezza poter sentire come fresco un film vecchio di anni:
che emozione la prima volta che vidi La
caduta degli dei, forse dieci anni dopo la sua uscita.
[3] Per
chi avesse la pazienza di visitare il mio blog
a fondo, è noto che attraversando altri decenni sono da aggiungere almeno: Les Enfants terribles e If....e Rebel Without a Cause, del resto tutti film che raccontano l’essere
giovani.
[4] Chi
ridacchia evidentemente non sa cosa fu e significò Biba, quindi può passare
ad altro.
[5] Ben
più di Cabaret di Bob Fosse che, per
coloro privi di tendenze artistoidi, si deve considerare penalizzato dalla
matrice prevalentemente musicale adottata dal regista, pur se quella
connotazione “leggera” gli valse grande successo commerciale. Entrambe le opere
cinematografiche citate, peraltro, con l’aggiunta di TRHPS hanno contribuito ad educare quel following dei Sex Pistols
che ormai è invalso chiamare The Bromley Contingent.
[6] Che
certo già aveva salvato la decade precedente.
[7]
L’antagonismo politico-stilistico fra eskimo e Barrows non giovò.
[8] In
Gran Bretagna il glam-rock, in Italia
niente.
David Bowie, appunto, apre
con Beethoven e Walter Carlos. Da noi si boicottava Ivan Cattaneo anche qualche
anno dopo ...
[9]
Meglio le flessioni su un braccio solo di Rocky Balboa o quelle battendo le
mani di Travis Bickle? Quanti hanno steso il braccio e posto il pugno sulla
fiamma a gas?
[10]
Pensate alla canzone “New York” dei Decibel.
[11]
Posso dire con certezza che A Bout de
souffle di Jean-Luc Godard quanto a seguito di spettatori in Italia non fu certo un film per giovani di “lunga
durata”.
In altri e più chiari
termini, probabilmente gli anni sessanta da noi sono cominciati tardi, e quindi
si sono dilatati nella decade successiva.
[12] Come
ho avuto forzatamente modo di dimostrare in un post: “L’Uomo Ragno, gli 883 e l’ennesima rivincita dei critici
stagionati”. E poi ho chiosato in altro successivo post: “Andar via?”.
Prego Max Pezzali di
rendere disponibile Cumuli di roba e di
spade, per spiegare meglio una certa scena giovanile pavese e piacentina.
[13] In
Italiano Un’oscurità trasparente.
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