"Champagne for my real friends. Real pain for my sham friends" (used as early as 1860 in the book The Perfect Gentleman. Famously used by painter Francis Bacon)



venerdì 7 febbraio 2014

“VORREI NON POSSO (ESSERE ALMENO UN NOUVEAU RICHE)”




 
“VORREI NON POSSO (ESSERE ALMENO UN NOUVEAU RICHE)”
 
L’origine di questo post ([1]) è antica: parto da un aneddoto.
Avevo sugli 8-9 anni, ero in auto con amici di amici (non ricordo chi), a un certo punto con il guidatore (adulto evidentemente) si cominciò a parlare di automobili: si arrivò alla “Fiat 850 coupé” e io dissi: “è un’auto da vorrei non posso”, lui mi rispose: “ce l’ha mia suocera”, ribattei: “rimane da vorrei non posso”.
 
“Vorrei non posso” (o “vorrei ma non posso”) significa desiderare qualche cosa che non si può, o non si può normalmente, avere in proprietà a causa del proprio ceto sociale. Quando il “vnp” può, solitamente il bene o il luogo non sono più quello che erano.
Qualcuno lo assimila al “would-be-ism” (“would like to be”), ma in questo caso il riferimento è direttamente al soggetto e non all’oggetto.
Evidentemente i concetti sono, comunque, strettamente legati.
 
Sentii parlare per la prima volta di Vermeer ([2]) dalla allora “fidanzata” ([3]) di un mio amico: Lxxxxa Bxxx. Era il probabilmente intorno al 1990, in quanto direi che si conversasse del film All The Vermeers in New York, del 1990.
Qualche tempo dopo, lei mi chiese in prestito ([4]) Trilogia di New York di Paul Auster, già introvabile ([5]).
Qualche elemento comune (non New Amsterdam o Mannahatta, che poi è solo una parte della città, come potrebbe pensare qualcuno) fra queste due opere c’è: allora, né Vermeer, né Auster erano popolari al grande pubblico.
 
Il 7 febbraio 2014 leggo ([6]) che sono stati venduti 110.000 biglietti per la mostra che si terrà a Bologna a partire dall’8 febbraio 2014 nella quale il pezzo più “pregiato” è un quadro di Vermeer ([7]).
La mostra ha un titolo lungo, che dovrebbe far capire che c’è altro ([8]). Inoltre essa è dichiarata come realizzata con “Capolavori dal Mauritshuis”.
 
Bene: certo tutti sanno dove è il Mauritshuis, no?
Certo tutti conoscono Vermeer da anni, da prima del romanzo di Tracy Chelaier del 1999 e da prima del film tratto da questa opera letteraria, vero?
Certo che no!
 
Eccoli i vorrei- non-posso-dell’arte, quelli che prendono il sole “a Sharm” ([9]), magari pensando che si scriva “charme” (quelli che conoscono il Francese), e che non hanno nemmeno potuto diventare dei nouveau riche e andare nell’equivalente attuale di “Santa” (Margerita) o “al Forte” (dei Marmi).
 
Ormai non ci combatto nemmeno più, li disprezzo direttamente, questi umani riuniti in masse.
 
Incidentalmente: i Vermeer li ho visti tutti da anni ([10]), mentre dell’edizione Rizzoli della trilogia austeriana ho due copie.
Ancor più incidentalmente: le mostre “vere” (quelle dove non si mescolano più artisti usandone uno come specchietto per le allodole) in Italia erano altre: come quella di Edvard Munch, a Milano, a cavallo fra 1985 e 1986 ([11]).
 
 
                                                                                                                      Steg
 
 
 
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[1] Dove anche le parole fra parentesi sono parte del titolo. Nessun sottotitolo.
Potevo anche intitolarlo “La bella vita finta e la morte vera – parte seconda”.
[2]Johannes, Jan or Johan Vermeer (Dutch: [joˈɦɑnəs jɑn vərˈmɪːr]; 1632 – December 1675) was a Dutch painter who specialized in domestic interior scenes of middle-class life. Vermeer was a moderately successful provincial genre painter in his lifetime. He seems never to have been particularly wealthy, leaving his wife and children in debt at his death, perhaps because he produced relatively few paintings” (da Wikipedia) .
Questo è tutto quello che, al momento, occorre sapere.
[3] Il termine ragazza mi pare riduttivo.
[4] Ho sempre prestato molto di rado, nella specie mi fidavo della persona come seria con “le cose degli altri”.
[5] Lungimiranza di Rizzoli editore (adesso la versione italiana è per i tipi di Einaudi).
Quasi un quarto di secolo fa, non sempre si andava per edizioni originali dei libri: faticoso reperirle senza internet. E poi non si parlano e leggono tutte le lingue, no?
[6]Delirio Vermeer, notte bianca per mostra
“Orario fino a due di notte, già 110.000 le prenotazioni
“07 febbraio, 12:47
“(ANSA) - ROMA, 7 FEB - Alla vigilia dell'apertura è salito a 110.000 il numero dei biglietti prevenduti per la mostra bolognese che porta per la prima volta in Italia La Ragazza con l'orecchino di perla, capolavoro di Vermeer diventato un'icona planetaria dell'arte al pari della Gioconda di Leonardo e dell'Urlo di Munch”.
[7] In realtà ce ne sono due.
[8]La ragazza con l’orecchino di perla, Il mito della Golden Age, Da Vermeer a Rembrandt”.
[9] Sharm el-Sheikh, per intero.
Mangiando spaghetti come a Torre Pedrera.
[10] Non per “merito mio”.
Anche “al”, i due “del”  Mauritshuis.
[11] E gli “urli” sono più di uno, per la precisione.
Ma ho il dubbio che l’autore anonimo della notizia ANSA citi, senza nominarlo, Arthur Lubow.
 

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