ANDREA
G. PINKETTS
(Sketches
series - 3)
La mia frequentazione amichevole (come da sua dedica nella mia copia in
prima edizione de Il senso della frase)
di Andrea G. Pinketts si concluse molti anni fa, quando a fronte di una blanda
critica rivolta a lui o al suo sodale di avventura fumettistica Ade Capone nel
corso di una presentazione, fui bersaglio del lancio di un accendino di
plastica in un locale di Corso Garibaldi (no, non Le Trottoir), a Milano, che non esiste più: era il Post Cafè ([1]) ([2]).
Proseguii nella lettura dei suoi libri per diverso tempo, ma ormai
saranno dieci anni che non cerco una sua novità editoriale.
Mi piaceva il suo stile (andai persino a cercare un locale in Via
Vincenzo Monti citato nel suo prenominato capolavoro: Il senso della frase): storie ambientate essenzialmente a Milano
quando la mia città non era ancora oggetto di tentativi di revival giallistici, meno pesante nelle atmosfere di altri, insomma
godibile.
I primi cinque libri che ha scritto da solo valgono la pena ([3])
entro una letteratura di genere che però ha anche un taglio parzialmente
cronistico.
Poi il calembour ha sostituito the meaning of the phrase, ed è
diventato maniera. Peccato.
Probabilmente, dopo aver letto queste righe Pinketts deciderà di tirarmi
qualche altro oggetto.
Steg
ADDENDUM
Dopo queste righe del 2013 ho scritto ancora di Andrea G. Pinketts nell’anno
2016, in un post piuttosto articolato, nel quale lui faceva da trait d’union
letterario; tanto che non è nemmeno menzionato nel titolo del post ([4]).
Negli anni poi mi era capitato di incrociarlo per strada, e la domenica a
Le Trottoir (nella sede primigenia di
Corso Garibaldi) quando si andava a bere l’aperitivo, ed allora lui aveva la
stilografica sul tavolo.
Più tardi a qualche presentazione di libri in cui spesso sua era la
prefazione.
Nel frattempo, l’Autore aveva raggiunto una discreta esposizione
televisiva, che però rivelava anche la sua forma fisica non più perfetta.
Egli aveva poi altresì una rubrica sulla testata Noir Magazine ([5]), su
cui apparve anche il primo capitolo di quello che doveva essere il “davvero ultimo”
romanzo con protagonista Lazzaro Santandrea: Ho fatto giardino ([6]). Così
non fu, perché la saga si chiuse con La capanna dello Zio Rom.
Tralasciando le vicende personali, sono attualmente alle prese con la
seconda rilettura de Il senso della frase e mi sono chiesto ([7]) se
esso non fu mai intitolato La “Piaga d’autunno”: e la riflessione nasce
dal reputare quest’opera letteraria sicuramente “noir”, ma molto meno spiritosa
di quanto la si voglia far credere.
A Pinketts è stata, all’inizio del 2019, dedicata una biografia, che ho
letto e annotato: Per qualche strana ragione io piacevo ([8]). Si
tratta di una tesi di laurea che ha fondamentalmente tre mancanze.
La prima è che già come tesi di laurea ha il difetto di essere, anche se
l’autrice la chiama “metabiografia”, carente di precisi riferimenti biografici
(il che con il passare degli anni si rivela un punto debole per qualsiasi testo
“scientifico”, cioè di studio). La seconda è la totale assenza di un suo
aggiornamento (e di una rilettura e parziale riscrittura?), con il risultato
evidentemente della incompletezza. La terza è che all’autrice manca ogni senso
della città di Milano e quindi le sue citazioni appaiono non di rado troppo
personali rispetto all’Autore esaminato.
“SLIGHT RETURN”
A fine 2020, novembre, è ripubblicato il primo romanzo del
suo alter ego Santandrea: con una prefazione di Andrea Cappi e con una mezza
dozzina di pagine di appendici consistenti in brevi scritti dell’Autore nato
Pinchetti.
Avendo appena terminato di leggerla, mi chiedo se la
raccolta di racconti Ho una tresca con la tipa nella vasca non sia il
migliore libro autobiografico di Pinketts (con il peggior titolo): ve lo dovete
comprare usato o remainder (la mia copia è la numero ottantacinque, di una
prima edizione che forse rimane unica).
Ne approfitto anche - visto che prima o poi tirerà la
bora, senza James Joyce - per indurre qualche lettore alla ricerca di una edizione
Garzanti che non ne avrà altre del romanzo di Giorgio Scerbanenco Al
servizio di chi mi vuole, prefato da Pinketts.
Una conferma dell’asse Milano/Trieste che ha avuto
importanza per questi due grandi scrittori milanesi “di ogni genere”.
Finish? Non esattamente: quella prefazione è pubblicata
in appendice alla riedizione de Il vizio dell'agnello (nel 2021).
Steg
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2013, da 2020 a 2023 Steg, Milano,
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pubblico senza il preventivo ottenimento, in ciascun caso, dell’espresso
consenso scritto dell’autore.
[1] Ampia
descrizione e “confessione” dell’autore nel capitolo XII de Il conto dell’ultima
cena, Mondadori (prima edizione del 1998).
[2] Quando lessi (alla sua uscita) Il conto dell'ultima cena (quarto della
trilogia pinkettsiana, come noto) osservai soprattutto che non era - non
poteva? - essere all'altezza del romanzo precedente.
Oggi rileggendolo fra morti e locali scomparsi a
Milano (regge il solo Bar Magenta fra quelli storici), lo leggo in modo
diverso.
Con Pinketts mi faccio delle belle camminate mentali
per Milano (senza scomodare Charles Baudelaire o Walter Benjamin, i quali però si scomodano da
soli).
Avvertenza: questa nota e la precisazione precedente
sono del giugno 2022.
[3] Nel
In sintesi: cercate tutto il pubblicato dal precitato editore
e aggiungeteci Il conto dell’ultima cena
edito da Mondadori.
[6] Uno stealth
editoriale, data la sua rarità. Romanzo tortuoso, e rimpiangente, sebbene non
ultimo della saga, come già si è notato.
[7] Senza il volume sotto gli
occhi la considerazione ha poco senso, ma una logica invece ce l’ha.
Chiunque dichiari "Quando esco la sera e vado in un locale, la gente mi blocca al banco e mi chede cosa sto scrivendo" è un poveraccio.
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