PERLE
MEDIATICHE 24 – IN DIFESA, LEGITTIMA, DEL MARTINI
Da settimane
quel ritaglio è sulla scrivania, quasi dimenticato, ma leggendo una stroncante recensione
scritta da Antonio D’Orrico su La lettura
([1]) del
30 giugno 2013 a
proposito di un romanzo di Carlo Lucarelli, ho dovuto riprenderlo.
Tre premesse, in
diritto.
La causa di non
punibilità penale della “legittima
difesa” è contenuta nell’articolo 52 del Codice Penale (appunto).Fra le forme di colpa che si possono riferire ad una persona rispetto ad un illecito (mi limito al diritto civile, anche in quanto si tratta, appunto, di colpa) commesso da altra si annovera la culpa in eligendo e la culpa in vigilando.
Ben so che, nello specifico, Antonio D’Orrico non è direttore responsabile, e quindi a lui non si applica la legge 8 febbraio 1948, n. 47 (cosiddetta legge sulla stampa).
Quindi qui di seguito certe espressioni siano intese in senso non strettamente tecnico.
Tornando al
ritaglio, esso consiste nella rubrica “Cammeo”, del Signor D’Orrico, pubblicata
a pagina 115 di Sette ([2]) del
15 marzo 2013.
Il titolare
della colonna giornalistica, intitolando “Il Martini secondo Bond”, lascia voce
a un suo lettore affezionato, tale Giorgio Persichelli che fra l’altro scrive:
“Come lei aveva correttamente rilevato,
sembrava molto strano che il famoso Martini cocktail semisecco preferito da
Bond si preparasse con il Martini rosso! Tutti gli adepti della fede (in
Fleming) sanno che insieme al gin ci dev’essere il Martini dry. […] si evince
chiaramente che la mistura è composta da gin e Martini & Rossi e non quindi
da Martini Rosso!”.
Per chi volesse
la storia del cocktail Martini, rinvio anche in questo caso a Ed è subito Martini (titolo originale Martini Straight Up) di Lowell Edmunds
nella edizione del 1998, tradotta nel 2000 e pubblicata per i tipi di Archinto.
Ivi è ben
documentato come il Martini non si chiami così a motivo di una marca di
vermouth. Infatti, non mi risulta che una tesi del genere sia mai stata sostenuta seriamente negli ultimi anni.
Il Signor
Persichelli critica ulteriormente il traduttore (Flavio Santi) per aver
tradotto “Fifth Avenue” con “Quinta Strada”, anziché con “Quinta Avenue”.
Ora credo che in
Italia per anni e anni si sia tradotto, invece, proprio come ha tradotto Santi.Né si comprende perché sino alla “decima” Avenue sarebbe possibile elidere “Street” (o via), come fa Giorgio Persichelli (pur se riferendosi alla 55th), appunto per identificare le vie che solcano orizzontalmente Manhattan ([3]).
Ma questo diventa un minor detail.
Culpa in eligendo o in vigilando di Antonio D’Orrico?
Sui beveraggi bondiani, stante anche una recente sponsorizzazione cinematografica da parte di un marchio di birra, mi astengo. Fra l’altro io mescolo, non scuoto.
Steg
©
2013 Steg, Milano, Italia.
Tutti i diritti riservati/All Rights
reserved. Nessuna parte di questa opera – compreso il suo titolo – e/o la
medesima nella sua interezza può essere riprodotta e/od archiviata (anche su
sistemi elettronici) per scopi privati e/o riprodotta e/od archiviata per il
pubblico senza il preventivo ottenimento, in ciascun caso, dell’espresso
consenso scritto dell’autore.
[1]
Supplemento letterario del Corriere della
Sera.
[2]
Periodico settimanale abbinato al Corriere
della Sera.
[3] Per
la “grid” manhattanita rinvio a Jerome Charyn, Metropolis; per l’arteria meno disciplinata dell’isola si veda Nik
Cohn, The Heart of the World, libro
dedicato alla Broadway.
Per completezza: potrebbe
essere, in astratto, angolo con la 55th est oppure ovest, dato che la Fifth Avenue funge da
spartiacque fra oriente e occidente.
Nessun commento:
Posta un commento