"Champagne for my real friends. Real pain for my sham friends" (used as early as 1860 in the book The Perfect Gentleman. Famously used by painter Francis Bacon)



lunedì 27 maggio 2013

“IN YER FACE” (The Jesus And Mary Chain)


“IN YER FACE” ([1])
(The Jesus And Mary Chain)

 

Innanzitutto, la mia battaglia personale sul “The” trova ragione nel fatto che fra “Gesù e (la) catena di Maria” e “La catena di Gesù e Maria” c’è una bella differenza, dunque The Jesus And Mary Chain.
Lasciamo stare che la formazione guidata dai fratelli William e Jim (James) Reid (rispettivamente classe 1958 e 1961) fosse spesso abbreviata dai journos in The (anzi the) Mary Chain.

 

Persone certo non accomodanti gli scozzesi Reid e anche irridenti: dichiarare che loro non hanno mai imparato a suonare “Johnny B. Goode” e poi realizzare una versione di “Surfin’ USA” di The Beach Boys, rispetto alla quale Chuck Berry è riconosciuto coautore dato il debito (plagio) che essa ha con “Sweet Little Sixteen”, significa prendere le misure all’interlocutore: più per una bara che per un abito.

 

Dire che i Joy Division fanno schifo, e ripeterlo, semplicemente porta all’estrema conseguenza il fatto che più di una persona (me compreso) ritiene che quei mancuniani avrebbero dovuto chiamarsi Ian Curtis’ Joy Division.

 

Affermare che lo stile iniziale dei TJAMC fosse quello degli Einstürzende Neubauten che eseguono il repertorio de The Shangri-Las comincia a far sanguinare il cervello ai recensori da dopolavoro.

 

Alla domanda: “ma che genere suonano?” si potrebbe rispondere: feedback melodico con percussioni che incrociano Maureen “Moe” Tucker e (inevitabilmente?) il tattoo delle Highlands (dunque rullante e tom), aggiungendo che il loro primo batterista fu Bobbie Gillespie (poi definitivamente rientrato nei Primal Scream).

 

Esordio nel 1984 e menzogne sulla propria età da parte dei Reid bros ([2]).
Incidenti ai loro primi concerti perché troppo brevi.
Sono loro i penultimi conflittuali, direi ([3]).

 

Una discografia nutrita, con tutti gli album di studio originali ([4]) riediti in formato doppio CD e ulteriore DVD aggiuntivo ([5]) nel 2011, dovrebbe per lo meno rendere giustizia a questi vessilliferi di un suono non allineato con il contingente dell’epoca, forse vittima – in termini di riconosciuta importanza storica – del nefasto Britpop (l’elenco da fare è sugli artisti dimenticati per sempre che, purtroppo, hanno contribuito a sminuire qualche indimenticabile ([6])).

 

Entro qualche mese dovrebbe essere pubblicata una loro nuova ([7]) biografia ([8]), a riprova della intramontabilità di questi signori delle alte terre, dove il suono può pungere come il cardo e dove il vento fischia severo, ma stimolante per chi sa ascoltarlo.

 

Quindi sanguinate con i “baci di filo spinato” di The Jesus And Mary Chain.

 

 

                                                                                                                      Steg

 

 

 
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[1] È il titolo di una canzone degli 808 State.
[2] Del resto “Substitute” docet.
[3] Gli ultimi rimangono i Manic Street Preachers, salvo smentita adeguatamente motivata.
[4] La loro discografia è piuttosto ricca: tanto che delle loro session radiofoniche con John Peel fu tratto ai tempi un album ad hoc, ed anche Barbed Wire Kisses, che ho citato brevemente altrove, aveva funzione collettanea.
Quelle stesse registrazioni sono oggi disseminate negli album di riferimento rieditati in forma espansa.
Fra l’altro, questo è uno dei pochi casi in cui le expanded edition hanno una funzione meritoria.
[5] Davvero molto il materiale che ciascuno contiene.
[6] Del resto chiedete oggi chi furono gli, allora, osannati Elastica! E cito appunto non fra gli svaniti per sempre ma fra coloro che erano considerati autentici innovatori (dispute di plagio a parte).
[7] Quella di John Robertson risale al 1988.
[8] Scritta da Zoe Howe.

venerdì 24 maggio 2013

OPERA DELL’INGEGNO E MEZZO ESPRESSIVO: CONVIVENZA


OPERA DELL’INGEGNO E MEZZO ESPRESSIVO: CONVIVENZA 

 
Per attirare un lettore in più, avrei dovuto intitolare, meno esattamente, il post “Arte e medium: coincidenza necessaria?”.
 
Il fumetto è un’arte? Forse, o meglio: talvolta.
Il fumetto è sempre opera dell’ingegno degna di tutela come opera autoriale? Credo di no, ma questo vale anche per un’opera narrativa; nemmeno un documentario su delle macchine affettatrici con una grande regia diventa un’opera cinematografica in senso giuridico ([1]).
 

Non vedo quindi per quale motivo – in difetto di ingenuità di tutti i soggetti coinvolti (salvo la presunzione di certi fumettisti e le ragioni imprenditoriali di certi editori) – sostenere certe pubblicazioni che sono a fumetti, ma potrebbero non esserlo e sarebbero dei dignitosi sunti in prosa.


Per tutti: una riduzione a fumetti della vita di Gabriele d’Annunzio a cura de Il Giornale e una, ancor più recente bio-comic ([2]) sulla Marchesa Luisa Casati Stampa (nata Luisa Amman).
Fra l’altro, la prima soffre di eccesso di concorrenti.
Ma la seconda patisce addirittura di un ambito non concorrenziale: il bel libro scritto da Scott D. Ryersson e Michael Orlando Yaccarino in Italia non ha certo scalato le classifiche ([3]) e, sotto diverso profilo, come può un disegno sostituire un’immagine fotografica (magari di Man Ray) o anche “solo” un quadro di Giovanni Boldini?

 

Volete fumetti degni di essere classificati opere dell’ingegno anche se elaborazioni di opere precedenti e di genere diverso? Valga per tutti il Moby Dick di Dino Battaglia.

 
Del resto, nemmeno il cinema “migliora” sempre ciò che nasce fumetto ([4]).
E certe vite faticano a essere catturate: quante biografie letterarie su Howard Hughes e nessuna definitiva, come non lo è nemmeno il film The Aviator.

 

Caveat!

 

 

                                                                                                                      Steg

 

 

 

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[1] Si veda in Italia la legge n. 633 del 22 aprile 1941.
[2] A me suona meglio bio-comic, ma visto che si parla di bio-pic per film biografie …
[3] Del resto quasi nessuno si ricorda del precedente, ancor più ricco di immagini di complemento, Corè – Vita e dannazione della Marchesa Casati scritto da Dario Cecchi e pubblicato nel 1986 da L’inchiostroblu di Bologna.
I due autori hanno dedicato anche successive altre opere alla Marchesa:
[4] Lascio quindi a voi giudicare i romanzi di Diabolik editi da Sansoni una quarantina d’anni fa.

mercoledì 22 maggio 2013

LIBERTÀ DI PENSIERO (Tombstone series – 5)


LIBERTÀ DI PENSIERO
(Tombstone series – 5)

 

Forse la Francia è ancora un paese culturalmente molto libero: la mattina del 22 maggio 2013 il blog di Dominique Venner – http://www.dominiquevenner.fr/ – era ancora accessibile ([1]).

 

 

 

                                                                                                                      Steg

 

 

 

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[1] Purtroppo, l’attenzione per le persone (anche se non necessariamente della propria opinione) si manifesta solamente a fronte di eventi eccezionali.

BREVI, ULTERIORI, CONSIDERAZIONI SULLA MORTE

BREVI, ULTERIORI, CONSIDERAZIONI SULLA MORTE ([1])
 
Ritengo che la massima forma di ipocrisia dell’epoca in cui stiamo vivendo sia quella nei confronti della morte.
Allontanata con ogni mezzo, anche linguistico ([2]).
 
In realtà occorre riconoscere alcuni dati di fatto.
La medicina non può rendere immortali, e il risultato ultimo (a mio avviso non ottimale) è solo quello di poter “scegliere” di quale patologia morire oppure, ipotesi piuttosto macabra di per sé, morire di consunzione (difficile che un centenario sia in grande forma, le eccezioni rimangono tali).
 
La morte è inevitabile, e “capita a tutti”, compresi coloro che non sono di regola associati al decesso ma al più alla dissoluzione esistenziale: vedi musica, soprattutto a partire dal rock’n’roll.
 
Sarebbe il caso ([3]), di affrontare con serietà sia il tema, filosofico e materiale, del suicidio, sia il tema dell’eutanasia.
 
Sarebbe, soprattutto, da evitare qualsiasi uso di eufemismi o sinonimi della parola morte prima di aver impiegato, appunto, la parola morte.
 
 
                                                                                                                      Steg
 
 
 
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[1] Questi pensieri mi sono ormai imposti da (in stretto ordine cronologico): immagini di un DVD visto qualche sera fa in cui compariva Ron Asheton (già chitarrista di The Stooges, non Iggy and the Stooges), la morte di Ray Manzarek (The Doors), la morte per suicidio di Dominique Venner, la morte di Trevor Bolder (cfr. The Spiders from Mars).
Oggi è il 22 maggio 2013.
[2] Incidentalmente, ne ho già scritto.

[3] Anche su tale argomento ho speso già qualche parola: nel post “Qualità e quantità della vita”.

domenica 19 maggio 2013

STUPIDITÀ UMANA (Tombstone series – 4)


STUPIDITÀ UMANA ([1])
(Tombstone series – 4)

 

Attenzione: può contenere tracce di stupidità umana”: avvertenza che non rinvengo mai nei luoghi e nei locali pubblici.

 

 

                                                                                                                      Steg

 

 

 

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[1] Dedicato ad Ennio Flaiano, Carlo Fruttero e Franco Lucentini, che ci hanno illuminato quanto ai cretini.

giovedì 16 maggio 2013

TALKING ABOUT B-SIDES (AND MORE)


TALKING ABOUT B-SIDES (AND MORE) ([1])

 

Noi ribelli ([2]) del ’77 siamo cresciuti anche grazie alla capacità di “girare” il quarantacinque giri.

 
Il concetto è curioso sotto molti aspetti:
-        innanzitutto, il formato microsolco sette pollici ebbe un’evoluzione tale per cui non essendo più limitato il materiale ([3]), l’extended play perse di rilevanza alla fine degli anni Sessanta del secolo scorso e poi, col passare del tempo, addirittura un lato del vinile era divenuto poco meno che ridondante: andava riempito in qualche modo,
-        il punk portò a un recupero non consumista del formato singolo ([4]) rendendolo innanzitutto fondamentale come medium per velocità di realizzazione,
-        ma ancora il punk portava a rivalutarlo: ecco il riempimento del b-side in forma non superficiale. Tanto che ci furono dei tentativi di “double A-side” ([5]).
 

Nulla di nuovo: di “retri” che ebbero più successo delle facciate A ce ne erano stati, ma trattati come rarità.
 

Poi, ovviamente, chi ama la musica ha girato da bambino i dischi di famiglia: io per esempio ascoltavo con divertimento “The Madison Time”: lato B della versione italiana di “Speedy Gonzales” cantata da Peppino di Capri.
 

Dunque cresciuti con il 100% del vinile inciso nelle orecchie ([6]) e accumulandosi i b-side (chè i “singoli” erano di solito compresi negli album) si pose per noi il problema di come fare per ascoltarli senza stare al fianco del giradischi.
Molte volte si riempivano MC7 proprio per sopperire a questa esigenza.
Il formato CD anche per questo motivo è stato salutato con entusiasmo: potendo contenere più musica, era possibile offrire anche quello che non ci stava sull’album in vinile, sebbene occorre ricordare come tentativi di raccogliere registrazioni sparse ci fossero già stati: ad esempio Black Market de The Clash ([7]).

 
Credo che la grandezza di un artista possa dunque misurarsi anche sulla qualità di questi album che all’ascoltatore occasionale dicono ben poco: le gerarchie di ascolto ci sono, innegabili e spesso inversamente proporzionali alle vendite.

 
Concludo confessandovi che questo post è stato occasionato da una bella e lunga recensione ([8]) di Barbed Wire Kisses de The Jesus and Mary Chain.
Io, evidentemente, non posso mai dimenticare ([9]) il cofanetto Downside Up di Siouxsie and the Banshees.

 
                                                                                                                      Steg

 

 

 

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[1] Dopo aver deciso che il titolo suona più esatto, non meglio, in lingua inglese, mi accorgo della valenza Who del medesimo: “talkin’ ‘bout my generation” ed in effetti è esatto, si tratta di un ascolto generazionale.
[2] Approfitto dell’occasione per far presente come la parola ribelle per me abbia anche una valenza filosofica e pertanto la utilizzo anche come “flag word”: mi riferisco al Trattato del ribelle di Ernst Jünger (in Tedesco Der Waldgang, che significa passaggio nel bosco).
[3] L’informatica ha condotto a non considerare che i fogli di carta hanno due lati.
Salvo poi forme masochiste di risparmio per cui, per risparmiare, capita(va) che a qualcuno finisse fra le mani un testo riservato perché si era usato il retro cartaceo di una sua bozza. 
[4] Che tecnicamente non è singolo ma doppio, appunto.
[5] Purtroppo, impossibili formalmente: il secondo lato A era indicato come AA, in ogni caso i numeri di matrice tradivano una prevalenza.
Per di più stiamo parlando non di artisti di sicuro successo commerciale. Il “double A-side” in gergo radiofonico suggerisce di trasmettere entrambi i “lati”  del singolo.
[6] Per onestà occorre ricordare che l’avvento del formato 12” come aggiuntivo rispetto al 7” (e talvolta rendendo obbligatorio l’acquisto di entrambi i formati da parte del fan) non condusse spesso a risultati eccelsi.
[7] Ma in CD divenne Super Black Market.
[9] Stante anche una sua tormentata, tanto per cambiare, gestazione.

PAOLO VILLAGGIO: “PDM” (Sketches series - 2)


PAOLO VILLAGGIO: “PDM”
(Sketches series - 2)

 
Vestiti da felici” con la paura di essere invisibili ([1]).
 
Paolo Villaggio occorre digerirlo. In quanto certe sue apparizioni sono più che disdicevoli, come quella in una serie (potrebbero essere anche più di una) televisiva di Carabinieri.
 
Superato il problema dei ruoli “da vergognarsi”, si tratta di persona molto intelligente.
Si pone quindi un altro problema: Villaggio racconta sempre le stesse cose, spesso in quanto le domande cui deve rispondere sono sempre uguali, talvolta in quanto i pensieri migliori di una persona non sono infiniti.
 
Cercate il suo libro Vita, morte e miracoli di un pezzo di merda ([2]) e dovreste soddisfare la vostra necessità di parola stampata.
Per la televisione va meno bene, in quanto al solito la RAI non opera con coscienza.
Quindi invece di poter disporre di registrazioni complete di programmi che hanno fatto la storia non solo della RAI dovete accontentarvi – se lo trovate – del cofanetto libro più DVD intitolato Villaggio sopra citato.
 
 
                                                                                                                      Steg







 

 

ADDENDUM DEL 3 LUGLIO 2017

 
Quando andai a ascoltare (più che vedere) un monologo di Paolo Villaggio, il 17 novembre 2013, al Teatro Nuovo di Milano lo spirito era quello di chi andava ad assistere a un concerto di Johnny Thunders: biglietto comprato con ampio anticipo, e speranza di farcela, lui e il pubblico, ad arrivare a quella data.

Era una domenica pomeriggio, e in sala escludendo qualche famiglia ero nella fascia di pubblico quasi giovane.
Sala non gremita.

Monologhi talvolta prelevati da qualcuno dei suoi libri. Sberleffi nei confronti del pubblico, scelto di volta in volta (me compreso).

A fine spettacolo, qualcuno andò a salutarlo, io mi feci anche dedicare la mia copia di Vita, morte e miracoli di un pezzo di merda (era un poco stupito, forse).

 

 

                                                                                                                      Steg
 
 
 
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[1] Paolo Villaggio, intervista audiovisiva, verosimilmente del 2009, contenuta in Villaggio, Torino, Einaudi, 2009.
[2] Edito da Mondadori.
 


martedì 14 maggio 2013

I LUOGHI SIMBOLO SPARISCONO (è un problema di velocità, e le targhe commemorative non servono a nulla)


I LUOGHI SIMBOLO SPARISCONO
(è un problema di velocità, e le targhe commemorative non servono a nulla)

La pubblica amministrazione, ovunque, soffre di una incapacità innata di essere contemporanea.
Per questo motivo essa non riesce oggi nemmeno nei settori dove nel passato non sfigurava.
Attualmente, soprattutto in certe zone del mondo, un edificio e ancor di più un esercizio commerciale hanno una vita accelerata.
Impossibile, allora, per una struttura che ha dato il nome ad un aggettivo negativo: burocratico, reggere l’impatto e “proteggere” il passato.
Tempo fa scrissi ([1]) di un’insegna fondamentale per Manhattan, NYC: GEM SPA.
Trattandosi di una insegna commerciale (dunque assolutamente privata) la voce in capitolo della City Hall e del Major è minima o nulla.
Ma pensiamo ad altro: CBGB’s chiuso da tempo (ad essere onesti il Max’s Kansas City avrebbe dovuto preoccupare prima e anche di più).
Giorni fa (aprile 2013) ha chiuso Bleecker’s Bob (118 West 3rd Street), per essere soppiantato da una rivendita di yogurt; un negozio “di dischi” che è stato, almeno negli ultimi 20 anni (esisteva nel Greenwich Village dal 1967) non fondamentale o quasi per chi comprava musica (come accadeva anche dal più modaiolo Midnite sulla East 23rd Street): roba per gonzi disposti a spendere troppo per avere poco; dovevate andare da Subterraneans (in Cornelia Street) o da Other Music (sulla West 4th Street), semmai: il primo ha chiuso da tempo, ma nessuno, proprio nessuno, sembra essersene accorto.
Nonostante tutto, Bleecker’s Bob che molla il colpo e nessuno negli uffici del City Hall, giù verso Wall Street, che muove un sopracciglio spiace molto.


Anche perché le targhe e le ipocrite toponomastiche gothamite ([2]) non servono a nulla: se leggo “angolino Joey Ramone” non provo proprio nulla a meno di essere uno dei molti modesti che si esaltano quando arrivano a Dublino per via degli U2, mentre io provo un poco di fastidio – per colpa loro – sulla sotterranea linea rossa nella città bagnata dalla Spree.


Tutto perfetto, quanto ho scritto, ma c’è ancora qualcosa da proteggere?
O si dovrà ricostruire in studio anche la facciata dello stabile dove abitavano David Bowie e Iggy Pop a Berlino per il film a loro dedicato?



                                                                                                                      Steg




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[1] Rinvio al post “Soltanto Genzale”.
[2] Si dirà che almeno nella Nuova Amsterdam almeno fanno quello, vero, ma fare l’inutile non serve, appunto.