Ritengo che la
massima forma di ipocrisia dell’epoca in cui stiamo vivendo sia quella nei
confronti della morte.
Allontanata con ogni mezzo, anche
linguistico ([2]).
In realtà occorre riconoscere
alcuni dati di fatto.
La medicina non
può rendere immortali, e il risultato ultimo (a mio avviso non ottimale) è solo
quello di poter “scegliere” di quale patologia morire oppure, ipotesi piuttosto
macabra di per sé, morire di consunzione (difficile che un centenario sia in
grande forma, le eccezioni rimangono tali).
La morte è inevitabile, e “capita a
tutti”, compresi coloro che non sono di regola associati al decesso ma al più
alla dissoluzione esistenziale: vedi musica, soprattutto a partire dal
rock’n’roll.
Sarebbe il caso
([3]), di
affrontare con serietà sia il tema, filosofico e materiale, del suicidio, sia
il tema dell’eutanasia.
Sarebbe,
soprattutto, da evitare qualsiasi uso di eufemismi o sinonimi della parola
morte prima di aver impiegato, appunto, la parola morte.
Steg
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pubblico senza il preventivo ottenimento, in ciascun caso, dell’espresso
consenso scritto dell’autore.
[1]
Questi pensieri mi sono ormai imposti da (in stretto ordine cronologico): immagini
di un DVD visto qualche sera fa in cui compariva Ron Asheton (già chitarrista
di The Stooges, non Iggy and the Stooges), la morte di Ray Manzarek (The
Doors), la morte per suicidio di Dominique Venner, la morte di Trevor Bolder
(cfr. The Spiders from Mars).
Oggi è il 22 maggio 2013.
[2]
Incidentalmente, ne ho già scritto.
[3] Anche
su tale argomento ho speso già qualche parola: nel post “Qualità e quantità della vita”.
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