"Champagne for my real friends. Real pain for my sham friends" (used as early as 1860 in the book The Perfect Gentleman. Famously used by painter Francis Bacon)



domenica 31 marzo 2013

CALIFFO: “SENZA MANETTE”


CALIFFO: “SENZA MANETTE”
 

Come prevedibile, il difetto di coefficiente d’apprezzamento da parte dei radical chic nazionali ha fatto sì che Franco Califano sia stato commemorato “in scia” a Enzo Jannacci, non cronologicamente ma per rilevanza assegnata alla morte di ciascuno di loro.

 

Fa anche sorridere riferire al secondo l’aggettivo “apollineo” e al primo quello di “dionisiaco” (così apre in prima pagina Il Messaggero del 31 marzo 2013).

 

Eccezionalmente, lascio il posto ad altra penna – peraltro nota anche ai lettori assidui del mio blog – per una serie di impressioni e riflessioni ([1]).

 

La parte virgolettata nel titolo delle mie righe è, semplicemente, quello di un’autobiografia del Califfo uscita qualche anno fa e che credo abbia venduto ben poco ([2]).

 

 

                                                                                                                      Steg

 

 

 

 

“IO HO SCRITTO ‘TUTTO IL RESTO È NOIA’
(E TU TE LO PRENDI IN CULO)”

 UN BIGLIETTO PER FRANCO CALIFANO

 
Io nun piango quando un uomo s’ammazza/il suo sangue non mi fa tenerezza/anche se allagasse tutta una piazza”. Quando negli anni ‘70 scrivevi “Io Nun Piango” una cosa non la sapevi, e cioè che i tuoi Franchiani un giorno ti avrebbero disobbedito e avrebbero pianto e pianto ancora, anche se tu non ti sei mica ammazzato come Piero Ciampi. Non ho mai capito pienamente cosa ti legasse in quel modo a lui, così distante da te in tutto e per tutto: gli avevi dedicato proprio quella canzone, a lui che si era ammazzato davvero, a meno che non si voglia credere che il suo “male incurabile” fosse venuto da solo. Il tuo te lo si leggeva in faccia, tanto eri risucchiato nelle guance. Per me, che ti avevo conosciuto brillante e sempre in forma, era una cosa da non credere.

 

Sgombriamo subito il campo dalle pietose bugie. Tu non sei mai stato un idolo della barricata da cui vengo io, così come non lo sei stato di quasi tutti quelli della mia generazione più o meno di strada, anzi: i tuoi ‘Tac’ e i tuoi Minuetti erano roba altra e di altri. Checchè ne dicano oggi, tu eri e restavi un uomo di altri ambienti, tutti lontanissimi da noi, dalla tardissima notte al Derby di Milano agli uffici delle major del disco che riempivi con l’ultima canzone “perfetta per Sanremo, adesso sentiamo la Mimì se no c’è la Patty, ma la Mina non la riusciamo a convincere”. Perché nessuno ne aveva voluto sapere del tuo primo album da cantante-autore (“No, UomoArtista tutto attaccato”, mi dicevi a denti stretti), e nemmeno del secondo e di altri ancora. Perché puoi essere UomoArtista finché vuoi, Franco, ma se poi ti mandano al DiscoRing di “Baila Guapa”, allora vallo a raccontare che quello non è trash o roba da galera. Ironie della sorte, perchè la galera -quella vera- te l’eri fatta con Chiari-Luttazzi prima e per Gianni Il Bello poi, e dopo l’era-Tortora avevi dovuto ricominciare tutto da capo. E’ più facile dirlo.

 

Ti ho conosciuto grazie a Marco Mathieu (sì, l’ex Negazione) e alla quasi mitologica Rossella Leonardi, alter ego di Richard Branson fin dai tempi dell’apertura di Virgin in Italia (ho ancora la copia originale della biografia di Branson col tuo biglietto da visita allegato, Rossella). Dovevo intervistarti per GQ Magazine, e Marco mi aveva suggerito al direttore. “Occhio, se gli stai sul cazzo è finita”, mi avevano bombardato per una settimana. Ma sono tutti così, avevo risposto. Beh, tu così non lo eri per niente, a meno che non ti fossi piaciuto tanto da volermi come road manager o cuoco personale. Che strano rapporto ne venne fuori. Con te nessun argomento cadeva nel vuoto, dalla tua nascita quasi in aereo ai tuoi problemi con lo showbiz (“Guarda la faccia che mi ritrovo. Pasquale Squitieri va dicendo in giro che sono l’unica faccia realmente internazionale che il cinema italiano ha a disposizione. L’ho visto l’altro giorno e gli ho detto:”Embè, e allora perchè tu per primo non mi hai mai fatto fare un film?”), fino a quello che non mi sarei mai aspettato, come i racconti della galera (“Io sono stato assolto “perché il fatto non sussiste” e non per non avere commesso il fatto, dopo tre anni e mezzo di carcere, senza mai una lacrima o una lamentela, senza sbraitare, senza dire nulla. E all’epoca non c’era il risarcimento dei danni”) e della tua amicizia con Francis Turatello (“Un’amicizia di una vita, e io un amico non lo tradisco”). E di questi argomenti me ne hai voluto parlare tu senza che io ti avessi mai chiesto niente. Anche qui, è più facile dirlo.

 

Il revival di popolarità sui giovani coatti di fine anni ‘90, i Music Farm e le sciocchezze allegate (le cazzate di ‘Romanzo Criminale’, le leggende sulla Banda Della Magliana eccetera) ti avevano un po’ spiazzato, ma quando ne parlavi ti brillavano gli occhi. Ti piaceva pensare che il tuo vero valore di autore ti fosse stato finalmente riconosciuto, ma anche oggi che non sei qui ti direi che forse eri un po’ ottimista, visto che i tuoi veri capolavori (ad esempio il tuo primo album d’inizio anni ‘70, Un Bastardo Venuto Dal Sud) non hanno mai trovato orecchie all’altezza, per quanto a loro modo memorabili fossero le tue più conosciute e molti tra i tuoi monologhi, che fecero epoca. Tu la regolavi in modo secco: “Io ho un’alta considerazione di me stesso come artista e come uomo, perché ci sono i valori. Poi mi puoi pure dare del porco e del maiale, ma resta il fatto che io ho scritto ‘Tutto il resto è noia’, e tu te lo prendi nel culo”. Noblesse oblige, di quella autentica.

 

Quando ti avevo detto dello slogan pubblicitario ideato da [Serge] Gainsbourg poco prima di andarsene (“Gainsbourg non aspetta di morire per essere una leggenda”) eri andato in visibilio: “Grande! Questa gliela rubo”. Non ne hai avuto bisogno, anche quando ripetevi il tuo mantra: “Non voglio vedere nessuno dei vecchi colleghi dell’ambiente. Ogni volta che ne incontro uno, questo mi dice: “Aho’, lo sai chi è morto?”. Ma qui & ora è davvero difficile spiegare a chi non ti conosceva chi è morto, oggi. L’ultima tua volta al Festival di Sanremo era stata con “Non Escludo Il Ritorno”. Non tutti sanno che quella frase era l’epitaffio che avevi scelto da anni per la tua lapide. Tra quelli che ti conoscevano non lo esclude nessuno.

 

Mentre chiudo queste righe mi torna in mente che al telefono non amavi perderti in ciance, impressione che ha poi avuto conferma. Un giorno Federico Zampaglione dei Tiromancino mi dice: “Due sere fa mi telefona Franco e mi fa: ‘Tra un quarto d’ora sono sotto casa tua, ti vengo a prendere’. Arriva, salgo in macchina, è quasi il tramonto e lui guida senza dire una parola che sia una. Usciamo da Roma, e a un certo punto frena davanti a un campo, spegne il motore e guarda il sole che tramonta senza aprire bocca. Silenzio assoluto. Non parlo nemmeno io, e la cosa diventa imbarazzante. Dopo un po’ mi giro, lo guardo e vedo che ha le lacrime che gli rigano le guance. ‘Franco, cos’hai, che c’è?’. Lui si asciuga le lacrime e rimette in moto verso Roma. ‘Scusa, volevo vedere il sole che muore. Mi fa sempre piangere’”.

 

 

(Potete leggere una mia lunga intervista con Franco Califano su


 

 

                                                                                                                      Glezos

 

 

 

 

© 2013 Glezos, Milano, Italia.
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[1] Ho semplicemente aggiunto un nome di battesimo, in parentesi quadre, per uniformità con lo stile degli altri post.
[2] Ivi trovate anche la riproduzione della copertina dell’album citato da Glezos.
Invece per la copertina “famigerata” in cui Califano ha in braccio Eros Turatello, figlio di “Francis” dovete fare altrimenti.

sabato 30 marzo 2013

“QUELLI CHE …”


“QUELLI CHE …” ([1])

Quelli che scoprono gli artisti come Enzo Jannacci solo quando gli artisti sono morti.
 
E quelli che non sono scoperti nemmeno da morti: Beppe Viola.

 
                                                                                              Steg cunt el Top Shooter

 

 

 

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[1] Titolo della canzone scritta da Enzo (all’anagrafe Vincenzo) Jannacci e Beppe (all’anagrafe Giuseppe) Viola, pubblicata su disco nel 1975.
Il testo è di Viola, la musica di Jannacci.

martedì 26 marzo 2013

SPRING UNDER CROSS FIRE (Sniper series - 14)


SPRING UNDER CROSS FIRE
(Sniper series - 14)

 

Mi sembra che il Movimento 5 Stelle di “Beppe” Grillo giochi a fare il “poliziotto buono”: chi non vota secondo la linea del movimento è espulso. Ma resta parlamentare, sorta di “eletto invisibile” del partito Democratico?

 

Intanto, credo che la canzone primaverile (e oltre) degli Italiani anche nel 2013 sarà “Gimme Shelter” ([1]).
E pensare che i Rolling Stones non si vedono all’orizzonte.

 

 

                                                                                              Top Shooter

 

 

 

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[1] Non vedo futuristi atti a reggere lo slancio veloce di Michael e Johnson Righeira con “No tengo dinero”.

lunedì 25 marzo 2013

“1001 NULLA PRIMA DI MORIRE”: UN ESEMPIO A CONTRARIO ELTON JOHN


“1001 NULLA PRIMA DI MORIRE”:
UN ESEMPIO A CONTRARIO ELTON JOHN

 

L’inutilità dei libri che consigliano 1001 (o altro numero) libri/dischi/film “prima di morire” è confermata in molti modi ([1]).
 
A parte l’improbabile rilettura di un libro, la più probabile seconda visione di un film, la ben più frequente possibilità di ascolto di un disco: i quali già dimostrano la scarsa uniformità di metodo ([2]).
Anche il soggetto consigliante conta.
 
Vi faccio un esempio: avete 20 anni, non avete letto The Way We Wore di Robert Elms, non avete visto le montagne alte una dozzina di piedi di sacchi di immondizia nelle aiuole di Leicester Square, Londra, nell’estate del 1974.
Dunque con che spirito ascolterete “Saturday Night’s Alright For Fighting” di Elton John ([3]) se ve lo si consiglia senza avvertenze?
 
Un “vecchio omosessuale sovrappeso con il parrucchino” Sir Reginald K. Dwight (all’anagrafe)?
Beh considerando l’aria artistico-musicale-sessuale che continua a tirare (in Italia e non solo) in termini di outing, andiamoci molto piano con i giudizi affrettati.
 
Del resto, se ti sceglie Pete Townshend, già la tua credibilità da strada aumenta.
“Pinball Wizard”: anyone?
 
Leggenda – banalmente verificabile sui numeri – vuole che ci fu un periodo degli scorsi anni ’70 momento in cui Elton John vendeva tanti fonogrammi da poter essere quantificato in una percentuale su scala mondiale.
Un dato di fatto che mi parve quando lo appresi, e ancor mi pare, impressionante.
 
Scrivo di un artista che nel 1975 poteva permettersi di eseguire dal vivo l’intero suo album del periodo.
Trenta anni dopo questa era venduta come una “grande idea”.
 
E, lo dichiaro io senza timore di smentita, W. Axl Rose quando suona il piano in “November Rain” non si vergogna certo di averlo come riferimento (piuttosto che Jerry Lee “Great Balls of Fire” – I married my 15-y-o cousin – “The Killer” Lewis).
Tanto per raddrizzare qualche altro ricordo spiegazzato.
 
Avrei voluto indire un piccolo concorso per scoprire titolo e autore di una certa “riga” di una canzone; però la rete avrebbe reso gli ignoranti pari dei miei meritevoli apprentice ([4]).
Se nel 1973 mi dichiaro “a juvenile product of the working class” e non sono (già) Jagger/Richards ([5]), Ian Hunter o David Bowie, qualche lombo di nobiltà rock ‘n’ roll me lo sono guadagnato, al prezzo di ciuffi di capelli distrutti da tinture assassine che sarebbero state risparmiate ai fratelli minori punk.
Ah, la canzone è – ancora – “Saturday Night’s Alright For Fighting” (sempre combattenti ... ), laddismo pre-gallagheriano ([6]) molto ante litteram, anzi litteram esso stesso.
 
Signore e signori: Elton John, dunque.
 
Potete pure fare i compiti, adesso.
Con buona pace dei soliti 1001 dischi.
 
 

                                                                                                                      Steg

 

 

 

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[1] Ne ho già scritto nel post “Le proprie fondamenta si costruiscono nel corso della vita, senza ‘manuali del meglio’”.
[2] Che dire di un cibo, poi?

Si mangia due volte al giorno un pasto completo. Che senso ha comparare la testina di vitello del Grand Vefour di Parigi con quella di sedicenti ristoranti con “specialità bollito”? E quante pentole di baccalà mantecato sono finite negli scarichi veneziani perché “era venuto male”?
[3] Tratto dall’album Goodbye Yellow Brick Road.
[4] Tanto per citare The Streets, non Flavio Briatore entro un format televisivo di qualche mese fa.
[5] “Street Fighting Man”: suona saturo anche Charlie Watts ...
[6] Non Rory, Noel.

domenica 24 marzo 2013

THIS IS RELIGION, OR NOT? (Sniper series - 13)



THIS IS RELIGION, OR NOT?
(Sniper series - 13)
 
Come reliquia: meglio una “maglia” indossata da Padre Pio ([1]) o i peli pubici di Elvis Presley raccolti dalla sua donna di servizio nella vasca da bagno?
 
Decidete voi, dopo aver ascoltato “Religion” di Public Image Ltd.
 
                                                                                              Top Shooter
 
 
 
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[1] Per chi ritenesse la comparazione oltraggiosa, rammento la “Pizzeria Padre Pio” di Via Maiocchi a Milano, la cui pizza omonima prevede come ingredienti: pomodoro, mozzarella, salsiccia, wurstel e pancetta.



 


 

giovedì 21 marzo 2013

“MA CHE BELLA GIORNATA” (Sniper series - 12)


“MA CHE BELLA GIORNATA”

(Sniper series - 12)
 

“Ma che bella giornata” ([1]) è il titolo di una canzone interpretata da un cantante di cui si ricordano poco anche quelli – non giovani – che hanno una buona memoria: Ugolino, anno 1968 ([2]).
 
Ieri, 20 marzo, era la “giornata della felicità”.
 
Ho deciso di proporre alcune “giornate de”, che mi paiono più realistiche:
-        la giornata del commerciante ucciso durante una rapina
-        la giornata del lavoratore dipendente cui non vengono pagate le ore di lavoro straordinario
-        la giornata del lavoratore dipendente licenziato che non ottiene il pagamento del trattamento di fine rapporto nei tempi dovuti
-        la giornata del libero professionista che non viene pagato dai clienti
-        la giornata del marito che a causa della sentenza di separazione/divorzio deve dormire in automobile
-        la giornata dell’esodato ancora in attesa di sapere “che fine farà”
-        la giornata dell’imprenditore suicida 1: per debiti non avendo ottenuto un mutuo dalla banca
-        la giornata dell’imprenditore suicida 2: per crediti non riuscendo a riscuotere da un soggetto debitore pubblico
-        la giornata della donna che subisce violenze familiari per motivi religiosi.
 
 
                                                                                              Top Shooter
 

 

 

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[1] Mi sento in dovere di affrontare l’argomento già oggetto di un mio tiro scelto nel post “La giornata della giornata (Sniper series - 3)”.
[2] Ho volutamente optato per questo titolo anziché per il – purtroppo ovvio come tale, ovvia non è la canzone – “Ma il cielo è sempre più blu” di Rino Gaetano.
 

martedì 19 marzo 2013

MORRISSEY NON È MORTO (ed è, per fortuna, scorretto)


MORRISSEY NON È MORTO
(ed è, per fortuna, scorretto)

 

Traggo spunto per queste riflessioni, positive, dalla notizia - negativa - del 16 marzo 2013 per cui Morrissey a causa di serie, ulteriori, ragioni di salute ha cancellato il resto dei suoi concerti “americani”.
 
Una preoccupazione mi affligge, pur non attanagliandomi: in Italia quanti di quelli che seguono Morrissey lo abbandonano per l’artista ottimista di turno (magari anche nazionale) allorché la vita sorride loro almeno un po’?
Peggio che i parlamentari del M5S che votano per candidati del PD.
 
Uno dei dati più importanti – ma spesso ignorato – riguardante Morrissey è che egli non è politicamente o socialmente corretto.
Basta scorrere i titoli delle sue canzoni.
 
Linked In ti dice che devi complimentarti quando qualcuno cambia lavoro. Come conciliare ciò con “We Hate When Our Friends Are Successful”?

 

Tutti i – numerosi – modesti figuri che ti augurano meccanicamente e acriticamente “buon week-end” come si conciliano con “Every Day Is Like Sunday”?

 

Che dire, poi, degli ipocriti che cercano di convincersi, prima di convincere te, che una persona brutta, in realtà è sempre (!) bella e preziosa, di fronte a “November Spawned A Monster”?
Figuriamoci un handicappato fisico o mentale.
 
Sarebbe bello se Morrissey dedicasse un poco del suo tempo libero così incidentalmente acquisito per ultimare i dettagli della sua autobiografia, già conclusa da due anni e oltre le 660 pagine.
Non voglio grandi fatti - ma vorrei tante righe su di lui e Linder Sterling - bensì un suo punto di vista sull’ultimo mezzo secolo e su almeno alcuni dei suoi riferimenti intellettuali.
Con tanta ingratitudine e molti fusées baudelairiani di intelligenza.
Che egli pubblichi con Penguin o con Faber & Faber non importa.
 
Everyone lies/Nobody minds” ([1]).
Appunto.
 
 
                                                                                                                      Steg
 

 

 
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[1] “Glamorous Glue” sempre dalla sua penna autoriale.

sabato 16 marzo 2013

I CANI DEL NULLA (non scrivendo su Gabriele d’Annunzio)


I CANI DEL NULLA
(non scrivendo su Gabriele d’Annunzio)

 

Gabriele d’Annunzio è una figura importante nella storia dell’Italia.
Anche perché questa nazione è giovane ed egli nacque nel 1863, occupando diversi ambiti e con risultati quasi sempre evidenti.

 

Mi pare probabile che questo suo centocinquantenario si consumerà con celebrazioni non all’altezza (pur se gli sarà dedicata l’edizione dell’annuale Salone del libro, a Torino) ([1]).
I segnali non promettono molto di buono.
Non vedo il ritorno in commercio dell’Album d’Annunzio ne I Meridiani, tanto per dire; mentre si ripubblica la biografia di Piero Chiara da parte di Mondadori e non invece, mi sembra, Il vivere inimitabile di Annamaria Andreoli ([2]) da parte del medesimo editore.
È affidata a un piccolo editore (Lantana) la ripubblicazione (è del 1938) – per ora parziale – di Vita segreta di Gabriele d’Annunzio, scritto da Tom Antongini, assistente del Comandante per molti lustri.
L’emissione filatelica italiana del 12 marzo 2013 è modesta: la cartelletta è meno ricca di quella che fu dedicata ad Emilio Salgari (ho detto tutto).
L’elenco rischia di farsi lungo, noioso e personale ([3]).

 

Perché ha questo titolo il post?
Beh, ad Antonio D’Orrico ([4]) gliene devo più di un paio: egli è un grande redazionalista per Sette (supplemento del Corriere della Sera) quando si tratta di lunghi articoli d’anticipazione di libri (usualmente romanzi) in uscita: per lui sono tutti belli i libri e tutti bravi gli autori. Figuriamoci se gli autori sono amici suoi (Giorgio Faletti, Teo Teocoli, per citarne due).
L’erudito D’Orrico conclude così, testualmente, il suo articolo dal titolo “Sesso, coca e… d’Annunzio visto dalla cameriera” (Sette, 22 febbraio 2013, pagina 71): “Prima di conoscerli, pensavo che i versi più belli di d’Annunzio fossero quelli di Alcyone […] Ma ora so che i suoi versi più belli e terribili (e non solo suoi) sono gli ultimi due dell’epitaffio per i levrieri”.
Ma come! Il romanzo di Emanuele Trevi pubblicato da Einaudi (dunque da un editore di sicura fede “democratica”) nel 2003 si intitola I cani del nulla e porta in apertura l’intero poema-epigrafe omonimo di d’Annunzio ([5]).

 

Infine, senza alcuna critica a Giordano Bruno Guerri, attuale presidente del Vittoriale dannunziano: preferivo la figura, forse un poco brusca, della Professoressa Andreoli cui egli è succeduto.

 

 

                                                                                                                      Steg

 

 

 

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[1] Mia nota tesi: gli Italiani dovrebbero imparare dai Francesi a valorizzare i propri connazionali.
Mia conferma: modeste celebrazioni per il centenario della morte di Emilio Salgari (1911) e ancor meno evidenti iniziative per i centocinquanta anni della sua nascita (1862).
[2] La quale, fra l’altro, nel 1983 ha collaborato con il Prof. Mazzino Montinari alla sistemazione della Biblioteca di Friedrich Nietzsche a Berlino.
Aggiungo io: Montinari con Giorgio Colli ha realizzato l’edizione forse definitiva dell’opera nietzschiana.
[3] Per favore, evitate di leggere ciò che scrive tale Giulio Ferroni (purtroppo dei suoi passi si rinvengono anche in Internet), il quale riesce a confondere la data di capitolazione dell’Impresa fiumana con quella del suo inizio.
[4] Con la “d” maiuscola, a differenza del Vate.
[5] Ad essere pignoli, l’autore non specifica nemmeno se (ove non lo sappia indichi il suo dubbio) d’Annunzio bevesse menta Get bianca o verde. Eh sì, ce ne sono di due tipi di quel liquore.

martedì 12 marzo 2013

OF BLUES AND BRUISES (l’ennesima strada senza uscita sentimentale qualche pensiero sui Neon)


OF BLUES AND BRUISES
(l’ennesima strada senza uscita sentimentale
qualche pensiero sui Neon)

 

Nell’estate 1984, all’edicola della fermata di metropolitana di Bank, City of London, compro l’usuale trimurti in una soleggiata mattina di metà settimana: NME, MM e Sounds, nell’ultimo c’è un’intervista a Steve(n) Severin nella quale egli spiega all’intervistatore, dato l’incipit, che la musica che ascoltava quando gli ha aperto la porta sono “ i DAF italiani”: la MC7 gliela ho mandata io.
Sono i Neon.
 
Pochissimi sono gli artisti italiani che io stimo ([1]), per tutto quel che arriva dalla Toscana poi io nutro un sospetto che si estinguerà alla mia morte, forse: troppe le energie ivi profuse per darci un Niccolò e un Leonardo.
 
Ma ecco questi fiorentini che, un anno prima di quell’estate albionica per me impareggiabile, mi portano via: io che piuttosto di incappare nel banale femmineo continuo, appunto, in quegli anni a schivare il pericolo e a lasciare le mie lenzuola fredde, fredde ma non in grado di farmi vergognare.
Mi arrovello e torturo dunque su una nuova lied di romantica passione: “My Blues Is You”: privilegiate il singolo, purtroppo la versione inclusa nell’album Rituals soffre di aggiunte barocche assolutamente leziose e grevi.
 
Curiosi? Cercate altresì gli EP dodici pollici precedenti: Obsessions e Tapes Of Darkness.
A detta di Sergio di Tape Art nel primo dei due (di cui custodisco anche una rara copia promozionale) suonava una splendida, oltre che brava, tastierista: Barbara Big. Forse fu lei – sarebbe bello se leggesse queste righe – a ispirare quei sentimenti bluastri, dolorosi ma piacevoli, che mi sorpresero dal piatto del Viridis nel 1983?
 
L’importante è che blues and bruises valgano la pena.
E le drum machine, devono suonare come maschie automobili che infrangono vetrate piombate di cattedrali tardo medievali. Senza rimpianti, marinettiane e futuriste.
 
 
                                                                                                                      Steg
 

 

 

© 2013 Steg, Milano, Italia.
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[1] La parola “rispetto” me la hanno sottratta con l’inganno infime e sbiadite figure di una scena rap locale che nemmeno potrebbero avere il ruolo di comparse pasoliniane.