IL PUNK
AVEVA ARGINATO LA CENSURA MORALISTICA
(ancora
sull’ipocrita politically correct)
Vi siete mai
domandati perché nelle storie di Stefano Tamburini e Tanino Liberatore ci
fossero personaggi deformi?
Certo per
domandarvelo dovete averle lette.
C’è una canzone
dei Devo, gruppo che non mi fa impazzire ma di cui riconosco l’importanza ([1]), che
spiega molto: è “Mongoloid”, pubblicata nel 1976 come singolo.
Da qualche anno
dire “mongoloide” era già considerato sgradevole: dovevi dire “down”. Come
pensare che il “non vedente” stia meglio di quando era qualificato “cieco”.I Devo (punk? New wave? Whatever!) cercarono come altri di raccontare come stessero veramente le cose.
La risposta alla
domanda precedente è probabilmente che (di nuovo?) si potevano esibire le
proprie e le altrui mostruosità, non più nascosti dietro la falsità del “tutto
va bene”. Grazie al punk.
Incidentalmente:
ricordo uno splendido concerto di Siouxsie and the Banshees nel luglio 1985 all’ex
Cottolengo di Torino: variante, ulteriore, su Freaks di Todd Browning.
Appunto: si veda
“Pinhead” dei Ramones. Liberate i mostri apparenti ([2]).Ma dei Brud(d)ers si consideri anche la più cupa “Lobotomy” ([3]).
Il punk era la
famiglia dei reietti, dove le cicatrici esibite erano più belle dei gioielli
(lo disse Rosso Veleno o prima di lei David Bowie?) e dove si valeva per ciò
che si era.
Che dire, anche,
di quella gemma recuperata in extremis
(per chi si limita al prodotto ufficiale) di “Make Up To Break Up” ancora di
Siouxsie and the Banshees?
O scavando ancora
più a fondo, l’urlo di disperazione di “Thalidomide” de The Pack (che sarebbero
diventati i Theatre Of Hate).
Oggi è – sempre
di più – di nuovo tutto “carino e a posto”, come se il punk non ci fosse mai stato.
Ma quelli che
non hanno il senso della vista continuano ad avere solo il nero come colore (o
non colore?) costante e i subnormali non terminali sanno di non essere troppo
intelligenti. Nessuna delle due categorie è trattata per ciò che è, si fa finta
– censoriamente – che siano come noi. Noi chi? Io non sono come quelli che mi circondano senza che lo scelga io di essere circondato da loro; io cerco di essere educato ([4]) eppure io continuo a chiamare ciechi i ciechi.
Qualcuno, del
resto – un comico di cui purtroppo non ricordo il nome, qualche tempo fa si è anche
inventato i “diversamente ricchi”: sono i poveri.
È la censura che
è tornata attraverso il politically
correct e non se ne va.
Oppure l’ordine
costituito in L’Étranger di Albert
Camus ([5]).
“Gabba Gabba Hey!” a tutti coloro che non
hanno da leggere queste mie righe, ma che saranno ciononostante la maggioranza
dei loro lettori.
Steg
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2012 Steg, Milano, Italia.
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senza il preventivo ottenimento, in ciascun caso, dell’espresso consenso
scritto dell’autore.
[1] Al
momento 105 loro registrazioni sul mio i-Pod.
[2] Prima
dei pipistrelli dei Birthday Party.
[3] E
volendo anche “Cretin Hop”.
[4] E
spesso quasi mi investono, i ciclisti sul marciapiede, quelli ecologici e
corretti. I loro omologhi in auto hanno comportamenti differenti, a seconda di
come sono vestito io sempre pedone.
[5] Tanto
per citare un libro intelligente al posto di quelli in classifica. Come quelle
“canzoni che non trasmettono mai alla radio”.
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