MODERNISTI E VECCHI MOD, FUTURISTI E
PASSATISTI
Ascolto la breve
intervista a Paul Weller che è contenuta nell’edizione consistente in CD e DVD
di Sonic Kicks, ivi l’artista
dichiara di essere stato ispirato anche da Metal
Machine Music di Lou Reed.
Uno dei cliché più duri a morire è l’equazione
Paul Weller=mod, un’espressione artistico-stilistica fallace che si trascina
pressoché acritica insieme a quella altrettanto erronea Pete
Townshend=Quadrophenia.
Il punto di
rottura concettuale e senza ritorno di entrambe consiste nel dato fattuale e
artistico che vorrebbe entrambi questi titani della musica inglese fermi,
immobili e conservati nella formalina di una sola fase della loro, per contro
lunga e proficua, anche se non uniforme nella qualità, produzione creativa
musicale (per Townshend anche letteraria ([1])).
Certo, è molto
rassicurante per l’ascoltatore (e non solo) crogiolarsi in uno stile
perennemente uguale: pensate a chi segue Bruce Springsteen. Noia!
Ecco allora,
meno capelli, più peso, comunque più rughe, i perennemente in parka che
implorano canzoni di The Jam a ogni concerto ([2]).
Non che Weller
non debba interpretarne, ma lasciate a lui scegliere! Vecchi mod contro il loro
idolo ancora modernista.
Ognuno ha la sua
Arcadia, ma è una fantasia degna di considerazione solamente se si risolve in
sporadiche incursioni; mentre quella falsa sebbene tangibile e permanente è
solo una polverosa scena poco più che bidimensionale.
Ecco il
significato dello slogan futurista: Uccidiamo
il chiaro di luna!. Ecco il perché dello scagliarsi di Filippo Tommaso
Marinetti contro la Venezia passatista.
Il tedio degli
scooter rally non finalizzati ai
motori e alle silhouette eleganti di
gloriose creazioni veloci a due ruote italiane (ecco ancora il futurismo ([3])), ma
strumentali a un 1964 che già era l’anno di morte del mod, come lo fu poi il
1978 per il punk.
La noia dei
concerti in cui si eseguono interi album (la critica è di Paul Weller, ma credo
anche di altri), è come quella dei concerti dei Sex Pistols forse anche nel
1996 ([4]).
Attenzione: non
ho scritto di buttare la vostra parka e il vostro giubbotto di cuoio: ma se
indossate la prima sopra il secondo essi formeranno un antidoto al rischio di
demenza artistica.
Steg
Tutti i diritti riservati/All rights reserved. Nessuna parte di questa opera – compreso il suo titolo – e/o la medesima nella sua interezza può essere riprodotta e/od archiviata (anche su sistemi elettronici) per scopi privati e/o riprodotta e/od archiviata per il pubblico senza il preventivo ottenimento, in ciascun caso, dell’espresso consenso scritto dell’autore/degli autori.
[1] Mi
piacerebbe molto se Weller scrivesse e pubblicasse racconti; ben poco della sua
produzione (ormai quasi definibile giovanile) apparse all’epoca di The Jam, non
chiedo (ancora) un’autobiografia.
[2] Non
si salvano ovviamente nemmeno coloro che frequentano quei festival punk di
vecchie glorie (con tutto il rispetto per The Damned o i Buzzcocks) e paiono
una sbiadita cartolina per turisti di King’s Road circa 1985.
[3] Per
questo sono da rifiutare orrendi ibridi come “scooteroni” e pseudo-motocicli a
tre ruote o con un tettuccio: ancora sicurezza noiosa.
[4] E
allora anche il tour The Seventh Year Itch di Siouxsie and the Banshees è da
criticare.
Steg, tutto ma non dei racconti scritti da Paul Weller, anche solo per il rischio. Bastano e avanzano quelli di Pete Townshend: allievo, allievo, ti prego non seguire il maestro.
RispondiElimina