TAPE
ART: il negozio
Quando non c’erano
i CD c’era Tape Art ([1]).
Milano, come
notoriamente sostengo da circa 25 anni, non è capace quasi mai di vere novità.
Eppure per diverse
stagioni la mia città dispose di un negozio che era un club esclusivo. Si chiamava
Tape Art.
Apparentemente
un negozio di dischi, in realtà un luogo di conversazione, di edonismo, di
azzeramento di ogni eventuale differenza sociale fra i suoi frequentatori; però
anche incapace – per scelta – di trattare con chi non era degno di entrare a
far parte di una clientela la quale magari pagava a caro prezzo un disco, salvo
vedersi offerto l’aperitivo minuti dopo.
A ben vedere non
è che ci fosse nulla di magico: i dischi più o meno arrivavano dai grossisti e
si trattava di selezionarli per la clientela.
Quando sceglievi
l’unica copia pervenuta a Milano di un doppio bootleg di Adam and the Ants (o
Antz) le cose si complicavano. Inserirlo nella “vaschetta” delle novità o
tenerlo da parte e proporlo solo ai clienti. Appunto.
Qualche importatore
mangiò la foglia e aprì dei negozi, dove anche
andavamo, però Tape Art era altra cosa: stava alla bottega tradizionale come Frigidaire
stava a Topolino.
Nicola, disc-jockey
del Plastic, certe volte comprava due copie di un disco in battuta, capitava anche
che di un disco seppure ufficiale arrivasse un solo esemplare e allora era un
problema, ma già i turbamenti sorgevano in caso di duplice copia.
Ricordo di
essere stato fra quelli cui (grazie) in qualche occasione veniva riservato l’appellativo
“mitico”, ma circa 30 anni fa.
Ricordo che
quando uscì ai primi di novembre del
Ricordo, anche,
i miei passaggi nel 1983 dopo le numerose ricerche per la mia tesi alla vicina Università
Bocconi io studente della Statale: i discorsi erano quelli da bar, però si
sostituivano le squadre di calcio con gli artisti e così ce n’era per tutti e
ognuno a evocare concerti, nastri delle Peel Session acquistati o scambiati per
corrispondenza, … naturalmente non era obbligatorio comperare, magari stavi lì
due ore e poi te ne andavi, poteva essere un chill-out dopo lo studio o il lavoro (la mattina era meglio passare
dopo le 11.00 per non rischiare la saracinesca ancora abbassata).
Non ho fatto
feste per la mia laurea, sicuramente uno dei più sentiti giri di brindisi lo
feci da Tape Art.
Tape Art era
come i pochi, veri, after hour che si
svolsero a Milano a metà degli scorsi anni ‘80: catch it/them while you can.
Non perché
eravamo giovani, ma perché proprio ci si divertiva in quello stretto negozio da
una sola luce in Corso di Porta Vigentina fra i civici 26 e 28, di cui ancora
conservo l’ormai inesistente numero di telefono (oppure segnala ancora occupato
il 5464411? Come quando al telefono Sergio stava magari parlando dei fatti suoi
con un amico o corteggiando una ragazza e tu fremevi invano per sapere cosa era
arrivato o, peggio, “se era arrivato …”!).
Steg
POST SCRIPTUM
Nel 2021 ho pubblicato un post che ha Tape Art come luogo ideale ([2]).
Nel maggio 2022 leggendo un ampio articolo retrospettivo su The
Associates/Associates ([3]) mi è tornato in
mente – ancora – il negozio: perché è stato “il” negozio: niente prima a Milano
di così unico, nulla a Milano poi di così unico ([4]).
Steg
©
2011, 2013, 2014 e 2022 Steg, Milano, Italia.
Tutti i diritti riservati. Nessuna parte
di questa opera e/o la medesima nella sua interezza può essere riprodotta e/od
archiviata (anche su sistemi elettronici) per scopi privati e/o riprodotta e/od
archiviata per il pubblico senza il preventivo ottenimento, in ciascun caso,
dell’espresso consenso scritto dell’autore.
Nessun commento:
Posta un commento