VIETATO
MORIRE ANCHE NELLO SPORT
(dedicato
a Ayrton Senna e a Nina e Natascha Rindt)
In miniera si
muore. Non si guadagna molto come minatori.
In miniera
muoiono anche i canarini, la cui funzione è salvare possibilmente vite umane
(qualche animalista già dissente).
Al minuto 53 del
documentario Jochen Rindts Letzer Sommer
()
si ode questa frase: “we always had a
nice black dress in our wardrobe to go to the next funeral”: lo dichiara una
ancora affascinante Nina Lincoln, finlandese, di professione modella, sposata
Rindt e quindi vedova di Jochen nonché mamma della loro figlia Natascha.
Jochen Rindt:
austriaco, unico pilota di Formula 1 ad aver vinto un titolo mondiale da morto.
Ma fu anche pilota in Formula 2 dove vinse molto ().
Rindt corse
anche contemporaneamente nelle due “formule”, come accadeva per certi piloti altresì
nel motociclismo (incluso Giacomo Agostini).
Se si partecipa
a molte gare, il rischio di incidenti aumenta: l’asso austriaco dunque si
ferisce seriamente nel corso del Gran Premio di Spagna del 1969, poi torna a
correre.
Rindt muore sul
circuito di Monza, durante le sessioni di qualifica, il 5 settembre 1970 ().
Se vedete i
documentari sportivi con immagini sino ai primi anni settanta del secolo scorso,
vi domanderete: “ma come fanno questi piloti,
con quelle tutine da nulla, che fumano prima e dopo la gara”, i centauri
addirittura con le partenze a spinta della loro moto … Certo donne e motori a
contendersi il fascino dei nuovi cavalieri.
Bene, adesso
considerate i seguenti dati:
- Jarno Saarinen, finlandese, pilota di moto: 1 titolo
mondiale vinto in classe 250, 48 GP disputati, 15 GP vinti, 32 podi -
morto a Monza nel 1973, nessun circuito dedicato in Italia;
- Renzo Pasolini, italiano, pilota di moto: 1 secondo
posto in classe 125, 1 secondo posto in classe 250, 46 GP disputati, 6 GP
vinti, 35 podi – morto a Monza nel 1973, nessun circuito dedicato in
Italia;
- Marco Simoncelli italiano, pilota di moto: 1 titolo
mondiale vinto in classe 250, 151 GP disputati, 14 GP vinti, 31 podi -
morto a Sepang (Malesia) nel 2011, un circuito dedicato in Italia.
Passando
all’automobilismo di Formula 1, pensate che:
- a Gilles Villneuve (nessun mondiale vinto in questa
“classe”) in Canada è dedicato dallo stesso anno della sua morte (1982) il
circuito automobilistico di Montreal,
- mentre ad Ayrton Senna in Brasile è semplicemente
dedicato il circuito interno di Interlagos, quello dove corrono i kart.
Per inciso: a
Rindt (morto anche lui “come” Senna ()) non è dedicato
l’autodromo di Monza.
Pur se ha
ragione Niccolò Machiavelli: “Perché non
i titoli illustrano gli uomini, ma gli uomini i titoli” (),
talvolta ci si resta proprio male.
Male in quanto
chi glorifica certi sportivi come fuoriclasse quando i secondi morirono come
campioni insieme ad altri dimenticati e forse più meritevoli forse contribuisce
a rendere mediocre il mondo.
A parte il fatto
che sono tutti, quasi campioni, campioni e fuoriclasse (o “assi”) ()
morti nella maniera migliore: giovani e facendo quello che amavano fare.
Adesso, odiatemi
pure: voi che ai funerali applaudite, per di più vestiti come per una gita al
mare ().
E andatevi a
vedere i campionati “degli ingegneri”
– parole di Flavio Briatore (il 20 marzo 2014 a “Griglia di partenza”, in
collegamento telefonico) – in formula 1 e in Moto GP sui canali televisivi a
pagamento
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