Credo sia
impossibile parlare di Marc Bolan e celebrarne i meriti in termini assoluti.
Purtroppo,
infatti, non sono ancora riuscito a percepirne le doti uniche, cioè al di fuori
di riferimenti che sono di altri. Anche dopo oltre 30 anni di miei ascolti non
casuali.
Forse lui fu più
calce che mattoni?
Egli fu il più
giovane dei mod?
Può darsi, però
senza (riuscire a?) capitalizzare questo suo primato.
Una carriera più
che dignitosa, ma non eclatante con il suo supremo sauro preistorico nella
seconda metà degli ultimi anni sessanta.
Un incrocio di
carriere ancora (perché anche lui bazzicava Facce e Numeri) con David Bowie:
splendidi loro due imbianchini nel racconto del secondo.
Tony Visconti,
lui e solo lui ([2]), nella decade successiva
firma a quattro mani l’ascesa di Marc Bolan con i T. Rex, definitivamente
scolpiti nella storia ma, ma, da “All The Young Dudes” scritta da David Bowie e
per di più – con un magistrale colpo doppio – interpretata dai Mott The Hoople
([3])
altrimenti relegati al ruolo di “grandi dimenticati” (un club già troppo
affollato).
Quando arriva la
mania, “come ai tempi di The Beatles”, evidentemente la scena non si ferma e verso
il 1974 Bolan non è già più l’idolo assoluto con cui misurarsi.
Può non piacere la
considerazione – non piace nemmeno a me – però chi scrisse che le simpatie di
Marc Bolan per la scena punk lo avrebbero aiutato a tornare in auge non suona
del tutto fuori posto.
Dunque, a parte
la conosciuta (a quattro persone in Italia) fotografia con Siouxsie alla Music
Machine londoniana, ecco The Damned che aprono per lui nel suo tour del 1977.
Poi tutto si
ferma: in quanto Mark Feld forse sta ancora seminando per il suo secondo
avvento prima di poterne raccoglierne i frutti.
I cavalli motore
lo immolano, come molti altri, ma all’ombra di un cadavere “fresco” troppo
ingombrante come Elvis Presley qualche settimana prima: il Cigno Bianco muore
il 16 settembre 1977.
Ultima sua
apparizione televisiva? In duetto dal vivo con David Bowie, che presenzierà al
funerale.
Se volumi in
eccesso della dozzina non hanno saputo spiegare Marc Bolan, come posso farlo
io?
È uno dei casi
in cui la musica parla molto meglio – e forse altro non abbisogna – delle
parole di commento ([4]),
anche qualche sua cover ([5]) e il
minutaggio da formato singolo spiegano molto dell’attitudine positiva nei suoi
confronti dei futuri Fiori dei bidoni della spazzatura che ancora si celebrano.
Ah, quasi
dimenticavo: in termini di stile, dopo George Brummel e Charles Baudelaire, per
me vengono le bebè color verde, quasi “racing”, di Marc Bolan: un millimetro
prima del baratro del ridicolo.
È quel
millimetro che fa il “Dandy in the Underworld”: buon mod non mente.
Steg
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privati e/o riprodotta e/od archiviata per il pubblico senza il preventivo
ottenimento, in ciascun caso, dell’espresso consenso scritto dell’autore.
[1]
Nessun gioco di parole voluto.
[2] Forse
la spiegazione intuitiva del perché l’Italia non è all’altezza del Regno Unito
quanto a musica pop e rock sta nel fatto che, parlando di talenti riconosciuti
che hanno influenzato il costume, la prima ha avuto Mogol e il secondo un
immigrato dagli USA (frutto di immigrati italiani).
[3] Non
nascondiamo ci dietro un dito!: “di” Ian Hunter.
[4] A
parte il percorso inverso a quello che sto per suggerirvi: sorta di ossimoro,
cioè fidandovi delle versioni di sue canzoni interpretate da altri artisti, non
potete sbagliarvi, vi affido un solo titolo: “The Children Of The Revolution”.
[5] In
particolare una di Eddie Cochran: se non vi incuriosisce Bolan e se non lo
fanno The Who (con la stessa canzone), se nemmeno El Sid Vicious vi smuove,
forse dovete riflettere seriamente sulla vostra conoscenza del rock ‘n’ roll.
Uuuuuhhhhm, Steg. Non voglio sottoscrivere a priori il dictat del fan club ("He was the Great Innovator"), ma se conosci bene la sua parabola arriverai a trovare molte cose positive persino nel periodo 'My People Were Fair'/'Unicorn', quando insieme al povero Peregrin Took "facevo la stessa cosa che ho fatto poi coi T. Rex, solo che suonavo acustico e nessuno voleva fare un gruppo con me" (sue parole). Agli inizi canzoni molto strane, strutture bizzarre e persino un hit ('Deborah'), in vista della svolta di 'White Swan'. Il blueprint di Bolan è riconoscibilissimo anche a livello tecnico-armonico (la celebre digressione Do/diminuita/La minore, quella di Metal Guru', per intenderci), che resta originalissima e accattivante ancora oggi. Molti hits di livello, parecchi brani da album pure meglio e una china discendente inevitabile ('Zip Gun', 'Futuristic' e 'Zinc Alloy', ma ci metto pure l'orribile 'Dandy'). Ma nel '77 Bolan aveva già dato, e a dosi massicce: non è certamente un tour coi Damned a timbrare le sue credenziali pre-punk. Di fatto, la prima superstar Glam (non Glam-Rock, quella è altra roba), e la triade 'Warrior'/'Slider'/'Tanx' è invecchiata molto bene. Sintesi molto più grande di quella di Bowie (che non ha MAI scritto un pezzo di r'n'r moderno all'altezza della decina firmati T.Rex). Quanti gruppi punk-post punk hanno coverizzato lui e non Bowie? Bolan resta un paradosso: idolo dei teens, è quello che scriveva canzoni adulte, e questo è forse il motivo della longevità dei suoi dischi, saccheggiati dalle cover alle imitazioni dichiarate (U2 nel loro tema per Batman, clamoroso rip-off). Bolan non deve niente a Bowie, semmai a qualcun altro. In ogni bio che si rispetti troverete una frase del tipo: "Remember 'In The Summertime' by Mungo Jerry? They made Marc Bolan. That single made his voice acceptable". John Lennon era d'accordo, in una famosa registrazione alle prese con 'Instant Karma', ovvio richiamo ai T.Rex: "I can't make THAT voice". Il Re dei lads (Lennon) si toglie il cappello davanti all'anti-lad per eccellenza (Bolan): ti sembra poco?
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