"Champagne for my real friends. Real pain for my sham friends" (used as early as 1860 in the book The Perfect Gentleman. Famously used by painter Francis Bacon)



venerdì 23 settembre 2011

WHITE TROUSERS - Passion is a fashion?

WHITE TROUSERS - Passion is a fashion? ([1])

Il bisticcio non è voluto, la domanda è: i Depeche Mode sono (talvolta) mod?

L’unica definizione di mod-ism accettabile è quella di Peter Meaden: “An aphorism for clean leaving under difficult circumstances”.

I white trousers, siano essi sta-prest o jeans, hanno tre capisaldi: The Who, The Clash ([2]), i Manic Street Preachers.
Ma Dave Gahan ha indossato in talune occasioni white trousers con profitto.

Ritengo quindi che i Depeche Mode possano in certi casi essere qualificati stilisticamente come mod.

Lo über-mod diventa dandy ([3]), mentre il dandy che sbaglia (forse perché è in crisi esistenziale? Come è noto, il danaro non è barriera assoluta, né per il dandy né per il mod rispetto al loro stile. Ancora Meaden ricordava l’importanza di essere proprietari di un ferro da stiro e della complementare ma necessaria asse) scivolerà nel mod.

Queste considerazioni sono assolutamente sincere, però mi rendo conto che l’argomento stile è molto personale (del resto nessuno confonderebbe George Brummell con Charles Baudelaire quanto ad abbigliamento) quindi mi aspetto molto dissenso.


                                                                                                                      Steg



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[1] Senza il punto interrogativo, si tratta di uno slogan scritto con modalità stencil su una giacca (para)militare indossata da Joe Strummer. Nonostante tutto, credo che la dicitura emotivamente (non grammaticalmente) esatta sia quella indicata da Caroline Coon “Pashion is a Fashion”.
[2] In realtà una lettura attenta della iconografia vestiaria clash-iana dimostra una attenzione maniacale, per cui “fashion can become part of a passion”; non a caso il problema della street credibility è centrale per Joe, Mick, Paul (e Topper) come dimostra già il testo di “Garageland” in cui lo scontro stilistico è fra i “suits” (riferimento a The Jam probabilmente) e “boots” che sono i Doc Marten’s. La svolta USA porta agli “Hudson boots” , etc.
Prima o poi, sarà il caso di scrivere anche sulla santificazione di The Clash in Italia, altra brutta pagina pseudo culturale, sia perché le santificazioni non sono mai positive, sia perché hanno in sé una valenza tardiva che quanto a tutto ciò nato con il punk le rende antistoriche.
[3] Morrissey da anni veste come un tipico cameriere di pizzeria che trascorre le ore libere in sala corse (o altro), salvo per le scarpe che spesso sono quelle “della festa” del pizzaiolo. Si tratta di un fatto, che quindi non implica giudizi negativi sui lavoratori del settore pizzerie, è piuttosto un dato stilistico inoppugnabile.
Ergo: amare Oscar Wilde non rende dandy (e nemmeno – che non è un “almeno” – mod).
Morrissey, comunque, non si è mai vestito con gusto.


                                                                                                                     

1 commento:


  1. - APOLOGIA DEI PANTALONI BIANCHI -

    Depeche Mod?


    Uuuhhmm. Espressione perplessa, poiché stando alla stra-usata definizione di Pete Meaden i Depeche Mode sarebbero tutto tranne che mod. Clean living? Difficult circumstances? Magari avranno sia ferro che asse da stiro, ma coniugare termini del genere al gruppo di ‘Personal Jesus’ più che un azzardo rasenta la presa per il culo, anche se il tempo gonfia il senso delle parole e spesso ci sta tutto e il suo contrario. Ma i Depeche Mod no: non è nemmeno una trovata brillante, anche per i pantaloni.

    Appunto. Cosa accomuna i pantaloni bianchi dei capisaldi? Poco, se non l’immagine dei tempi che furono: Who, Clash e MSP hanno sposato cause e agitprop differenti in epoche ancora più diverse, quindi figuriamoci cosa potranno mai significare dei jeans candidi come trait d’union. Omissione: a questi tre nomi va aggiunto quello dei John’s Children, forse la prima band sixties a vestire in bianco e con in più l’optional della breve militanza di tal Marc Bolan, che in quei tempi pre-Tyrannosaurus Rex sta affilando le lame. Istanze, slogans, modernismo in white? Non scherziamo: siamo oltre la metà dei sixties, e il bianco già emana afrore hippie: il vestiario bianchissimo del periodo mistico di John McLaughlin, Carlos Santana e soprattutto di un Pete Townshend rincoglionito da Meher Baba sarà una coincidenza, ma devo ammettere che un minimo fa pensare.

    Ovviamente ci sono dandy veri e meno veri, dandy che ci scrivono su i libri e dandy che sbagliano, come i compagni degli anni ’70. Nella disperata ricerca di qualcosa da dire e del vestito giusto da abbinarci (‘Sta per arrivare la rivoluzione e non ho niente da mettermi’, recitava Livia Cerini negli anni ’70) è perlomeno ironico che l’enfasi sui pantaloni bianchi venga posta storicamente dagli intellettuali -e non solo- gay a caccia di compagnia, da Andy Warhol a più di un italianissimo poeta italico. “E’ fiorita la primavera, rientra a Roma prima che puoi: non hai idea di cosa sono i pantaloni bianchi”, scrive all’epoca Dario Bellezza a un amico. Passione condivisa da Sandro Penna, mentre per Pier Paolo Pasolini i pantaloni bianchi sono un assoluto must personale, come documentano innumerevoli filmati e foto. Qui è parte della questione: osservando lo stile di Pasolini (giacchini attillatissimi, camicie con check alla Ben Sherman, pantaloni bianchi taglio jeans, occhiali da sole alla Michael Caine, loafers, automobili sportive mignon ecc.) viene da chiederselo: Pier Paolo è un neo-dandy, un modaiolo, un gay, un italiano, un mod o tutte e 5 le cose? O è un Depeche Mode ante litteram?

    Due viatici. 1) Forse il termine ‘Passion’ storpiato in ‘Pashion’ sulla giacca di Joe Strummer non era casuale; 2) “…e pantaloni bianchi da tirare fuori che è già estate…”. È Claudio Baglioni, non Quadrophenia.


    glezos

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