SEX PISTOLS: FORZE OSCURE O PER LO MENO PERICOLOSE?
(“There is no future”)
“We
are the forces of anarchy and chaos” si legge in bianco sul grande patch nero della camicia che funge da
copertina al mio blog ([1]).
Ci
sono anche altri slogan su questa “anarchy shirt” di Sex/Seditionaries ([2]),
ma questo risalta perché, se si considera un poco di storia del punk britannico,
i Sex Pistols si pongono sopra tutti come forza di antagonismo alla società ed
alla nazione.
C’è quindi un’aura oscura, o almeno di
pericolo, intorno ai Sex Pistols che non si rinviene nelle altre band, nemmeno
ne The Stranglers risulta cosi accentuata questa forza buia e per The Clash la
politicizzazione curiosamente ne stemperò il potenziale effettivamente
dirompente in una società come quella d’oltremanica (che a differenza
dell’Italia soffriva semmai di guerra civile sottopelle, vedi IRA, ma non di
terrorismo eversivo).
Forse è anche questo il segreto del
successo di Rotten, Jones, Matlock (e Vicious) e Cook?
Delle due parole sopra ricordate, quella
più rilevante non è anarchia, bensì caos.
Può spiacere a chi è di fede anarchica,
ma l’anarchia non ha avuto particolare presa nel mondo.
‘“Actually, we’re no into music.”, one of the
Pistols confided afterwards.
‘“Wot then?”‘“We’re into chaos.”’ ([3]).
Ed il caos fine a se stesso, sorta di
unica possibile espressione e sfogo di impotenza a cambiare il mondo che li
circonda, sono poi le chiavi di comprensione (non di giustificazione) anche del
fenomeno hooligan, o delle
distruzioni ad opera dei giovani nelle periferie delle grandi città del mondo.
Senza riandare alle analisi svolte da Jon
Savage in England’s Dreaming (cui
appunto si può rinviare ed alla corposa bibliografia che lo accompagna ([4])), è
mia opinione che la supremazia dei Sex Pistols sia da ritrovare, anche, nel
fatto che a differenza di The Clash loro non hanno mai preteso di offrire una
alternativa, ma piuttosto di raccontare atti di distruzione della società che
li circondava oppure la autodistruzione terminale della gioventù che li compie (autodistruzione
attraverso il passare del tempo e l’arrivo della età adulta).
Ecco allora la difficoltà nel cercare di
arginarli, la demonizzazione ben rappresentata dalle fiaccolate di sapore
“caccia alle streghe” contro le tappe dell’Anarchy in the UK Tour, la
coalizzazione intorno alla monarchia nel 1977 contro il punk che “è” i Sex
Pistols e il loro blasfemo (ancora) “God Save The Queen”, tanto che la band non può suonare se non in incognito
nel proprio paese (perversamente ci sarà un concerto natalizio, l’ultimo “vero”
in patria, che ha sapori dickensiani).
Certo dopo decenni, e dopo una saga che è
terminata il 14 gennaio 1978
a San Francisco, la formazione originale dei Pistols
(unica abbreviazione concessa) non morde più e nelle proprie tournée degli ultimi quindici anni può
apparire pittoresca come certi artisti che svernano a Las Vegas.
Però in questi mesi che sembrano precedere
un winter of discontent 2011/12 – un altro,
ben peggiore del precedente – in una Europa che (come titola un corsivo de Il
Corriere della Sera di oggi 20 settembre 2011 ([5])) si
aggira come uno spettro per il mondo, la musica dei Sex Pistols nelle
registrazioni d’epoca suona non datata, vitale e, ancora, pericolosa.
Steg
©
2011 Steg, Milano, Italia.
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archiviata per il pubblico senza il preventivo ottenimento, in ciascun caso,
dell’espresso consenso scritto dell’autore.
[1] Un capo d’abbigliamento
che non passa inosservato e probabilmente può considerarsi un pezzo d’arte
applicata (come un vestito di più di cinquanta anni fa di Pierre Cardin).
[2]
Ciascuna diversa dalle altre: “Among the
designs were […] and the Anarchy shirt which used stock from the 60s manufacturer Wemblex. These were bleached and dyed shirts and adorned with
silk Karl Marx patches and anarchist slogans”: http://en.wikipedia.org/wiki/SEX_(boutique).
Difficile la datazione, anche se la mia reca l’etichetta
della “personal collection” McLaren-Westwood riferita alla fase Seditionaries
del negozio.
Gli altri slogan presenti sono: “Subversion it’s fun”, “Vision is the art of seeing the invisible”;
“Only anarchists are pretty” e,
ancora, “chaos”. Causalmente, un due a due per le parole
che reputo più importanti tenendo presente che quanto scritto a stencil è più
standard degli altri slogan scritti su pezzi di tessuto applicati.
[3] Dalla
recensione di Neil Spencer del concerto al London Marquee del 12 febbraio 1976
per il New Musical Express (numero del 21 febbraio 1976).
La frase è stata attribuita (anni dopo) a Steve
Jones.
[4] Con un caveat: Lipstick Traces
di Greil Marcus (seppure citato rispetto a due argomenti diversi) vuole provare
troppo, forse affascinato ancora una volta dalle capacità incantatorie di
Malcolm McLaren, dei Sex Pistols e, non lo si dimentichi, di un grande grafico
come fu per quel periodo Jamie Reid.
[5]
Incidentalmente, è ancora oggi che cade il 35
anniversario di un concerto-consacrazione dei Sex Pistols, quello a chiudere la
prima serata del “Punk Special” al 100 Club di Oxford Street.
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