"Champagne for my real friends. Real pain for my sham friends" (used as early as 1860 in the book The Perfect Gentleman. Famously used by painter Francis Bacon)



mercoledì 10 dicembre 2014

PIERO MANZONI DUE


PIERO MANZONI DUE
(ovvero la rimessa a nuovo dell’artista, morto o vivo)



Leggo un libro pubblicato nel 1990: L’ultima linea di Piero Manzoni, scritto da Paolo Barrile.
Un romanzo ma con molte notizie, dunque una finzione cronistica.

 

Piero Manzoni non è un santo, e lui difficilmente avrebbe voluto esserlo.

 

Casualmente, riordinando la mia piccola bibliografia manzoniana, in questo dicembre 2014 incappo in una notizia vecchia di un anno e più; la Fondazione Manzoni intentava causa a Dario Biagi per il suo libro Il ribelle gentile ([1]) in quanto esso sarebbe diffamatorio. Certo non è “ufficiale” come la biografia scritta da Flaminio Gualoni sotto l’egida della Fondazione ([2]) quel volume, ma proprio il suo autore lo dichiara e peraltro di ricerche ne ha fatte.
La Fondazione è soccombente, in quanto il volume di Biagi non risulta ritirato dal mercato.

 

In base a un complesso di norme della legge n. 633 del 22 aprile 1941, “gli autori delle opere d’arte e di manoscritti hanno diritto ad un compenso sul prezzo di ogni vendita successiva alla prima cessione delle opere stesse da parte dell’autore” ([3]) e anche se il massimo ammontare di questo compenso è di Euro 12.500,00 ([4]), considerati i valori d’asta raggiunti da Manzoni non si tratta esattamente della mancia al lustrascarpe.

 

Ecco allora che come con Hugo Pratt (da vivo e da morto) e con David Bowie (da vivo) e con Morrissey (da vivo), un’immagine ben definita e accattivante dell’Artista Manzoni non è irrilevante.

 

Forse per questo, se quasi un quarto di secolo fa affermazioni - da interviste di Barrile - come: “A Piero, soprattutto alla fine, andava bene tutto: bianchini, pernod, vermouth, vino, soprattutto vino” ([5]) e “Piero [...] era in coma etilico. Nanda [Vigo, sua fidanzata] lo sapeva, ma non era preoccupata” ([6]) e “Dicono che Piero si fosse suicidato. Non è vero. Ma in un certo senso può essere. Lui stesso mi confidò negli ultimi tempi, e in diverse circostanze, di averci pensato” ([7]) potevano essere tollerate (o non conosciute o, addirittura, conosciute ma semplicemente scientemente denegate), nel 2013 possono essere pregiudizievoli ([8]).

 

Del resto, l’affermazione della sorella minore di Piero Manzoni, Elena, rinvenibile nel documentario del 2014, ufficiale evidentemente, Piero Manzoni Artista (regia di Andrea Bettinetti), per cui egli avrebbe impiegato per la realizzazione della propria Merda d’artista delle preesistenti confezioni di carne in scatola appare risibile: chi ha mai commercializzato razioni da 30 (trenta!) grammi?
Per quale motivo doveva mentire Dadamaino (nata Edoarda Emilia Maino) a Barrile dichiarando nel 1990 (forse 1989) che Manzoni defecava per finalità multipla, ma nobile (secondo altri ivi si sarebbe “allenato”, per poi produrre a casa propria) nella vasca da bagno di Via Bitonto, in quell’appartamento milanese di proprietà dei genitori di Edoarda, giovane sodale di Piero? ([9])
 
Ma così vanno le cose, e quindi nessuna menzione dell’opera di Barrile da parte della biografia che gode dell’investitura della Fondazione, e nemmeno della tesi di diploma di Mauro Maffezzoni del 1986 ([10]) e neanche della tesi di laurea di Antonella Fabemoli, concittadina di Manzoni, del 2003 ([11]): tutti e tre i volumi sono citati da Biagi ([12]).
Ebbene, questo tipo di revisionismo storico continua a non piacermi, lo ho già scritto ([13]), ma è meglio essere chiari.

 

 

                                                                                                                      Steg

 

 

 

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[1] Sottotitolato: La vera storia di Piero Manzoni.
[2] Piero Manzoni Vita d’artista, di qualche mese precedente il tomo incriminato.
[3] Articolo 144, comma 1, legge n. 633/1941.
Alla morte il diritto si trasferisce per 70 anni agli eredi (articolo 148).
[4] Articolo 150, legge n. 633/1941.
[5] L’ultima linea …, cit., p. 190.
[6] Idem, p. 191.
[7] Idem, p. 192.
[8] Mi piacerebbe leggere gli atti di causa, anche perché se io fossi stato il legale di Biagi avrei fra l’altro fatto presente come non solo Barrile nel 1990, ma anche l’autorevolissimo Corriere della Sera nel giugno 2007 a pagina 43 (una splash page realizzata in occasione di una mostra retrospettiva napoletana sull’artista milanese, nato a Soncino) così dichiarava “Tutte le biografie riferiscono che Manzoni morì d’infarto; alcune testimonianze scritte affermano che l’ultima persona a rivolgergli la parola fu probabilmente Pino Pomé, l’ oste che gestiva la trattoria all’ Oca d’Oro di via Lentasio, a due passi dal corso di Porta Romana. Ma le cose non andarono così. Piero Manzoni morì a 29 anni, nelle prime ore del mattino del 6 febbraio 1963, a causa di una devastante cirrosi epatica: il collasso cardiaco fu una conseguenza. A raccontarlo è Nanda Vigo, allora compagna dell’ artista.” (l’articolo è a firma di Francesca Bonazzoli, intitolato “Mi innamorai delle sue visioni e lo seguii fino all’ultimo bar”, fu pubblicato il giorno 3 ed è ripreso anche da Biagi).
[9] E chi è adesso proprietario della Merda numero 17 che l’amico aveva regalato all’amica e che io vidi esposta nel 2010 a Bologna?
[10] Intitolata Indagine su Piero Manzoni e discussa all’accademia di Brera.
[11] Intitolata Il caso Piero Manzoni – Quando l’escremento divenne Arte; nel 2009 auto pubblicata come libro, è ancora disponibile.
[12] Cui faccio un solo appunto: aver modificato (salvo dove citava altri) la grafia di Giamaica.

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