PIERO
MANZONI DUE
(ovvero
la rimessa a nuovo dell’artista, morto o vivo)
Leggo un libro
pubblicato nel 1990: L’ultima linea di
Piero Manzoni, scritto da Paolo Barrile.
Un romanzo ma con
molte notizie, dunque una finzione cronistica.
Piero Manzoni
non è un santo, e lui difficilmente avrebbe voluto esserlo.
Casualmente,
riordinando la mia piccola bibliografia manzoniana, in questo dicembre 2014
incappo in una notizia vecchia di un anno e più; la Fondazione Manzoni intentava
causa a Dario Biagi per il suo libro Il
ribelle gentile ([1]) in
quanto esso sarebbe diffamatorio. Certo non è “ufficiale” come la biografia
scritta da Flaminio Gualoni sotto l’egida della Fondazione ([2]) quel
volume, ma proprio il suo autore lo dichiara e peraltro di ricerche ne ha
fatte.
La Fondazione è
soccombente, in quanto il volume di Biagi non risulta ritirato dal mercato.
In base a un
complesso di norme della legge n. 633 del 22 aprile 1941, “gli autori delle opere d’arte e di manoscritti hanno diritto ad un
compenso sul prezzo di ogni vendita successiva alla prima cessione delle opere
stesse da parte dell’autore” ([3]) e
anche se il massimo ammontare di questo compenso è di Euro 12.500,00 ([4]),
considerati i valori d’asta raggiunti da Manzoni non si tratta esattamente
della mancia al lustrascarpe.
Ecco allora che
come con Hugo Pratt (da vivo e da morto) e con David Bowie (da vivo) e con
Morrissey (da vivo), un’immagine ben definita e accattivante dell’Artista
Manzoni non è irrilevante.
Forse per
questo, se quasi un quarto di secolo fa affermazioni - da interviste di Barrile
- come: “A Piero, soprattutto alla fine,
andava bene tutto: bianchini, pernod, vermouth, vino, soprattutto vino” ([5]) e “Piero [...] era in coma etilico. Nanda [Vigo, sua fidanzata] lo sapeva, ma non era preoccupata” ([6]) e “Dicono che Piero si fosse suicidato. Non è
vero. Ma in un certo senso può essere. Lui stesso mi confidò negli ultimi
tempi, e in diverse circostanze, di averci pensato” ([7]) potevano
essere tollerate (o non conosciute o, addirittura, conosciute ma semplicemente
scientemente denegate), nel 2013 possono essere pregiudizievoli ([8]).
Del resto,
l’affermazione della sorella minore di Piero Manzoni, Elena, rinvenibile nel documentario
del 2014, ufficiale evidentemente, Piero
Manzoni Artista (regia di Andrea Bettinetti), per cui egli avrebbe
impiegato per la realizzazione della propria Merda d’artista delle preesistenti confezioni di carne in scatola
appare risibile: chi ha mai commercializzato razioni da 30 (trenta!) grammi?
Per quale motivo
doveva mentire Dadamaino (nata Edoarda Emilia Maino) a Barrile dichiarando nel
1990 (forse 1989) che Manzoni defecava per finalità multipla, ma nobile (secondo
altri ivi si sarebbe “allenato”, per poi produrre a casa propria) nella vasca
da bagno di Via Bitonto, in quell’appartamento milanese di proprietà dei
genitori di Edoarda, giovane sodale di Piero? ([9])
Ma così vanno le
cose, e quindi nessuna menzione dell’opera di Barrile da parte della biografia
che gode dell’investitura della Fondazione, e nemmeno della tesi di diploma di
Mauro Maffezzoni del 1986 ([10]) e
neanche della tesi di laurea di Antonella Fabemoli, concittadina di Manzoni,
del 2003 ([11]): tutti e tre i volumi sono
citati da Biagi ([12]).
Ebbene, questo tipo
di revisionismo storico continua a non piacermi, lo ho già scritto ([13]), ma
è meglio essere chiari.
Steg
Tutti i diritti riservati/All rights
reserved. Nessuna parte – compreso il suo titolo – di questa opera e/o la
medesima nella sua interezza può essere riprodotta e/od archiviata (anche su
sistemi elettronici) per scopi privati e/o riprodotta e/od archiviata per il
pubblico senza il preventivo ottenimento, in ciascun caso, dell’espresso
consenso scritto dell’autore/degli autori.
[3]
Articolo 144, comma 1, legge n. 633/1941.
Alla morte il diritto si
trasferisce per 70 anni agli eredi (articolo 148).
[4]
Articolo 150, legge n. 633/1941.
[8] Mi
piacerebbe leggere gli atti di causa, anche perché se io fossi stato il legale
di Biagi avrei fra l’altro fatto presente come non solo Barrile nel 1990, ma
anche l’autorevolissimo Corriere della Sera nel giugno 2007 a pagina 43 (una splash page realizzata in occasione di
una mostra retrospettiva napoletana sull’artista milanese, nato a Soncino) così
dichiarava “Tutte le biografie
riferiscono che Manzoni morì d’infarto; alcune testimonianze scritte affermano
che l’ultima persona a rivolgergli la parola fu probabilmente Pino Pomé, l’
oste che gestiva la trattoria all’ Oca d’Oro di via Lentasio, a due passi dal
corso di Porta Romana. Ma le cose non andarono così. Piero Manzoni morì a 29
anni, nelle prime ore del mattino del 6 febbraio 1963, a causa di una
devastante cirrosi epatica: il collasso cardiaco fu una conseguenza. A
raccontarlo è Nanda Vigo, allora compagna dell’ artista.” (l’articolo è a
firma di Francesca Bonazzoli, intitolato “Mi innamorai delle sue visioni e lo
seguii fino all’ultimo bar”, fu pubblicato il giorno 3 ed è ripreso anche da
Biagi).
[9] E chi
è adesso proprietario della Merda numero
17 che l’amico aveva regalato all’amica e che io vidi esposta nel 2010 a Bologna?
[11]
Intitolata Il caso Piero Manzoni – Quando l’escremento divenne Arte; nel
2009 auto pubblicata come libro, è ancora disponibile.
[12] Cui
faccio un solo appunto: aver modificato (salvo dove citava altri) la grafia di
Giamaica.
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