Berlin Tempelhof |
BERLÌN
(ein
Geisteszustand)
Uno stato
mentale diverso dall’usuale. Uno stato mentale urbano.
Più di 1 stato
mentale urbano: quanti se ne possono avere? Dipende, io sono una persona da
città, ne conto 2 molto forti di stati mentali urbani e qualcun altro meno
intenso, comunque sempre certo e indelebile.
La canzone di
Billy Joel – di cui rileva il titolo e non il contenuto – si intitola “New York
State of Mind” ([1]). Ma qui provo a scrivere
di Berlino, meno distante geograficamente di Gotham City, ma con altri ostacoli, a partire da
quello linguistico che - per la nostra notoria incapacità di percepire le
differenze non evidenti - induce a minor sforzo e a fare un unicum di tutta la Germania, mentre
Berlino con il resto della Germania non c’entra più molto da quasi 70 anni.
Fine della
premessa ([2]) a
questo enorme schizzo.
L’accento va
sulla lettera “i”, non è un dettaglio.
Credo che David
Bowie non sia comprensibile appieno a chi non ama Berlin.
Ci sarebbe da
domandarsi – non mi risulta qualcuno se lo sia domandato – se Berlin o già “Berlin” di Lou Reed abbiano
influenzato Bowie per lo meno nella sua scelta di trasferirsi in questa
capitale ([3]).
Non limitatevi
al dato cronologico, per favore e, per assurdo, nemmeno a quello geografico: in
una intervista del 2006 Reed dichiara di non essere mai stato nella capitale
tedesca ([4]).
Senza,
evidentemente, dimenticare Iggy Pop ([5]),
come si vedrà.
Devo anche
precisare che chi arriva per la prima volta a Berlin (di nuovo mi raccomando la
“i”) oggi, non ha modo di capire molto della sua storia recente: i cambiamenti
si notano solo conoscendo il prima che non esiste più.
Anche perché
Berlin è come Düsseldorf (o viceversa), cioè due città poco considerate ([6]) se
non dai proto-punk e dai primi “eroi” (cfr. clothes
for heroes).
Chi, nel 1972,
andò a leggersi Christopher Isherwood dopo aver visto al cinema Cabaret di Bob Fosse?
Chi, nel 1977, visitò
la città natale dei Kraftwerk dopo il successo di “Trans Europa Express” ([7]) ([8])?
Nel 1986 le
barriere nella stazione di metropolitana dello Zoo mi parevano come le paratie
per tori e cavalli selvaggi nei rodeo.
Era stata una
visita fugace, d’estate, arrivando da quella autostrada in cui era meglio non
fermarsi che attraversava la “Germania dell’est”. Ricordo una bibita al
tavolino all’aperto di un bar lungo la Ku’damm ([9]).
Quando per le mie
vacanze natalizie scelsi Miami Beach fui trattato ([10])
come un eccentrico o peggio, era il 1987.
Qualche anno
dopo non ebbi maggiori consensi per le mie visite invernali alla non più
squartata Metropolis ([11]).
Molto fango
nella Ebertsraße, fra la Brandenburger
Tor e Potsdamer Platz
([12]), e
poi tutti quei grovigli di tubi (spesso dipinti di rosa) sopraelevati ([13]).
Però con Berlin
occorre prima o poi fare i conti, nella propria vita. Oppure non li si fa, come
non li si fa con New York City ([14]), e
un certo giorno è troppo tardi.
Se non li avessi
fatti non scriverei (o non potrei scrivere ([15]) queste
righe).
L’ordinata –
nelle procedure – capitale ha una doppia rete di metropolitana, ma i convogli
si confondono nelle tratte in cui la U-Bahn è sopraelevata come la S-Bahn.
No, non sto
scrivendo una breve guida alla città, il fatto è che l’Atene della Spree ([16]) ha
la rara caratteristica di avere tratte gradevoli (o intellettualmente
interessanti) anche quando si viaggia in vagoni, come testimonia “The Passenger”
di Iggy Pop.
Un vantaggio
della città è che non soffre di quella triste patologia che sono gli anni
sessanta: Parigi e Londra, che non sono cambiate molto se non in peggio ([17]) nei
loro centri extra-finanziari ([18]),
subiscono ancora gli ultimi postumi, rispettivamente, di sessantottismo e di swingite ([19]).
Qui quel decennio è forse quello
meno gradito del secondo dopoguerra.
Oggi il muro (“die Mauer” ([20])) per
la massa è poco più che un ruvido pseudo-monumento turistico da portarsi a
casa: si vendono ancora “pezzetti di muro” ([21]) e vedere
quelli che li comprano ora mi fa l’impressione di vedere coloro che compravano
gli LP postumi di Jimi Hendrix autografati dal deceduto.
Ma vi assicuro
che un poco lo si percepisce ancora, in certe zone.
Il punto della
città che preferisco? Di fianco al severo e vigile Adlerkopf ([22]) del
vecchio Berlin Tempelhof.
E la musica?
Beh, evidentemente un poco di confusione esiste, per lo meno in quanto la scena
punk e successive derivate occidentali e quelle omologhe orientali erano,
appunto, separate.
Poi c’è “tutta
la scena techno” che si può riassumere volendo nella parola Tresor e che in
qualche modo è – fra il 1991 e il 2005 – un “ballare in faccia all’avversità” ([23]) passata
(ed ormai definitivamente (?) conclusa) e all’incerto futuro.
Come è capitato,
raramente, per altri post, credo
necessitino degli “apparati”, ovviamente soggettivi.
Evidentemente
chi conosce almeno elementarmente la lingua tedesca in queste righe può
solamente trovare un altro punto di vista e, quindi, le indicazioni che
fornisco sono – di nuovo – al più alternative.
Con tre
precisazioni preliminari:
1) Trabant
significa satellite;
2) U2 è per me
sempre e solo la linea 2 (rossa) della metropolitana sotterranea (U appunto);
3) nonostante
tutto non sono ancora riuscito a vedere Der
Himmel über Berlin ([24]) di
Wim Wenders.
Partendo dalla
letteratura, per chi ha velleità trascendenti ciò che ho scritto l’inizio può
essere il volume, oltre mille pagine, di Alexandra Richie, Faust’s Metropolis – A History of Berlin ([25]).
Altri libri
possono essere il pre-9 novembre 1989 Der
Mauerspringer ([26]) di
Peter Schneider. Sempre con la città divisa e solo parzialmente ambientato ivi The Boy Who Followed Ripley di Patricia
Highsmith ([27]). Ricordo anche The Innocent di Ian McEwan.
Un’antologia
intelligente, che combina cronaca e narrativa sulla sera cruciale, è Die Nacht, in die der Mauer fiel ([28]),
curata da Renatus Deckert dove ancora una volta si precisa a più riprese che il
muro non cadde fisicamente.
Per chi legge
almeno il Francese, esiste un numero monografico (il 625) della rivista
letteraria Les Temps modernes dal
titolo Berlin mémoires. Sempre d’oltralpe è l’opera narrativa di Oscar
Coop-Phane Berlin demain.
Per la musica
tutto si fa più complicato per una ragione banale: musica delle rive della
Spree non significa musica di suoi nativi. Inoltre, esistono delle ripetizioni.
Una ritenuta
fondamentale, ma rara, antologia in CD è Als
die Partisanen kamen. Forse più semplice è trovare Berlin 61-89 Wall Of Sound (un doppio CD). Depurando da tutto il
non “locale” (ma non ha senso in quanto si tratta di un lavoro fondamentale) si
veda un altro doppio compact: Verschwende
deine Jugend. Non semplice da reperire il CD più DVD Berlin Super 80. Per “adiacenza concettuale” indico anche il libro Berlin Sampler di Théo Lessour che
analizza una serie di opere musicali “berlinesi”.
Passando ai
singoli artisti, fra i tedeschi sono da citare per lo meno Nico ([29]),
Malaria!, Einsturzende Neubauten, i parzialmente berlinesi Liaisons
Dangereuses.
Rispetto a tutta
la scena del Tresor, a parte le molte compilation realizzate dal locale
medesimo, necessario e sufficiente è il già citato documentario Sub Berlin – The Story of Tresor che oltre al DVD consta anche di
un CD.
Quanto agli
stranieri, per David Bowie sono essenziali ([30]) i
“soliti” tre album: Low, “Heroes”, Lodger e la canzone “Station To Station” ([31]),
mentre per Iggy Pop The Idiot e Lust For Life. Provocatorio il Rock Around The Bunker di Serge
Gainsbourg.
La distanza fra
le influenze di una sola parola è udibile in Live in Pankow dei CCCP rispetto a Florence In Silence dei Pankow ([32]).
Per il cinema, a
fianco di Metropolis cito espressamente
soltanto One, Two, Three di Billy
Wilder, Good Bye Lenin! e il recente Oh Boy.
Aggiungo un bonus: non mi risulta che sia
disponibile ufficialmente, e su You Tube è diviso in 5 parti. Si tratta di
In conclusione, non solo “Where Are We Now?” ([33]), ma anche e sempre where are YOU now?
Steg
Berlino ai tempi del Mauer con l'indicazione dei vari settori |
Variazione sul tema Berlino ai tempi del Mauer |
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pubblico senza il preventivo ottenimento, in ciascun caso, dell’espresso
consenso scritto dell’autore.
[1] Reperibile
anche in qualche sua antologia, apparve nell’album Turnstiles, che significa “tornelli”: quelli della metropolitana.
[2] La
mia narrativa soffre di tanti e tali difetti che siamo al non pubblicabile, se
non fosse che il prezzo dell’inedito mi sembra troppo alto sia per l’autore,
sia per i lettori.
[3]
Questo post rientra fra quelli che mi
fa piacere scrivere, ma che non sono semplici in quanto meditati. Il risultato
è che questa considerazione precede di mesi la morte di Lou Reed.
La canzone fa parte del
primo album solista, eponimo, di Reed (1972), mentre il long playing dal medesimo titolo è dell’anno successivo: sebbene
fra loro stia Transformer (prodotto da
Bowie), va considerato come la canzone sia anche l’ispirazione dell’album cui
dà il titolo e che “apre”.
[4] L’intervista,
televisiva e di circa 67 minuti, è nota come “Lou
Reed joined Anthony DeCurtis at 92Y on September 18, 2006” , l’ho reperita come: http://www.youtube.com/watch?v=Ms4V0faf94M.
Per esattezza il programma dovrebbe intitolarsi “92 Street Y”.
[5]
Incidentalmente: Ian “Curtis’s obsession
with Germany – according to his wife Deborah, their wedding fetured a hymn sung
to the tune of the German national anthem [più che verosimilmente si tratta
di “Das Lied der Deutschen”, che quasi tutti sono soliti ricordare con
l’incipit “Deutschland über alles”, NdA] – stemmed
partly from the Berlin chic of his glam heroes, Reed, Pop and Bowie” scrive
Simon Reynolds nel suo libro Rip It Up
and Start Again-Postpunk 1978-1984 (pag. 183).
La paternità
dell’espressione post punk è peraltro solitamente attribuita a Jon Savage al tempo
in cui scriveva per il settimanale musicale Sounds
e si fa risalire già alla fine dell’anno 1977.
[6] La
Germania tende ad essere poco considerata, ed anche un poco insultata quando
non si sanno distinguere i tipi di birra o di wurst.
[7] Che
tutti o quasi conoscono nella versione in lingua inglese “Trans Europe
Express”.
[8] Dalla stessa città arrivano anche Neu!,
Deutsch Amerikanische Freundschaft, Die Krupps, …
[9] Io e
il mio amico MZ ci stupimmo: le donne non si depilavano le gambe.
[10]
Senza scomodare l’oceano d’inverno.
[11]
Perché se NYC è Gotham City, è altrettanto chiaro che Fritz Lang è fedele alla
madrepatria quando immagina il suo Meisterwerk.
[12]
Qualche immagine (talvolta accelerata) dello stato della presto nuovamente
capitale della riunita nazione tedesca si rinviene nel documentario
SubBerlin – The
Story of Tresor.
[13] Che
servivano, e servono, per pompare l’acqua (dato che la città ha una falda molto
vicina alla superficie) ogniqualvolta si costruiscono degli edifici.
[14]
Questa è una prospettiva più oggettiva di quella in premessa.
[15] Non
essendo io un artista.
[16] Il
fiume della città.
[17] Ho
un’età per cui posso rimpiangere “il” Drugstore (nome corretto drugstore
Publicis) che guardava sulla piazza a Saint-Germain-des-Prés a qualche passo
dalla Brasserie Lipp.
Credo lo copiò un poco
(insieme ad altro) Elio Fiorucci quando aprì in Via Torino a Milano.
[18]
Scelte diverse: La Défense tutta
fuori, mentre i grattacieli gomito a gomito con la vecchia City.
[19]
Potrei divertirmi a scrivere di ciò.
[20] Muro
è sostantivo di genere femminile in Tedesco.
Lo è anche Brücke: per chi
si voglia sforzare e andare a vedere il museo.
Io ne ho anche due
frammenti avvolti in carta stagnola come fossero caramelle: l’idea di un
giornalista italiano che “era là” quando fu abbattuto il muro – curioso tutti
parlano di “caduta” come se fosse crollato per eventi naturali – e li regalò a
una sua festa quando tornò (non partecipai, me li portarono).
[22] Der Adler e der Kopf:
ancora due cambi di genere.
[23] Si
tratta del titolo di uno dei due CD che costituiscono una fondamentale
antologia della newyorkese ZE Records.
[24] Pur
disponendo anche dell'edizione Criterion.
[27] Fa
parte della “saga” di Tom Ripley la quale, fra l’altro, è caratterizzata da una
discreta ambiguità sessuale molto “berlinese”.
Il titolo italiano del
libro è eccessivo: Il ragazzo di Tom
Ripley.
[29]
Oltre alla sua versione di “Das Lied der Deutschen”, si vedano tutte le sue
canzoni cantate nella madrelingua contenute nel doppio CD The Frozen Borderline – 1968-1970.
[30] Più
una aggiunta di chiusura.
[31] In
qualche modo “compilati” nella colonna sonora del film Christiane F. – Wir Kinder
vom Bahnhof Zoo, tratto dall’omonimo libro di Christiane Vera
Felscherinov, con l’aggiunta anche di “Stay” e “TVC15” tratte dall’album Station to Station e una versione
bilingue del simbolo “Heroes”-“Helden”.
[32] Di Garbo e Enrico Ruggeri
ho già scritto altrove.
[33] Che
si riflette nel sottotitolo, precedente a questa canzone tratta dall’album di
David Bowie The Next Day, del mio blog.
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