STUFO
DEL “TU”
Ho già scritto ([1]) della
mia insofferenza per le formule di fraseologia che – per paura e/o
inadeguatezza di coloro, moltissimi, che le utilizzano – sono impiegate per
escludere tutto quello che è, invece, normalità: esemplifico con “tutto bene?” senza ascoltare risposta
per paura di riceverne una vera e, giocoforza, sotto la soglia del “bene”, figuriamoci se uno osa rispondere
“no, va piuttosto male”.
Ma fastidio mi
causa, da molti anni, anche il “tu” ad ogni costo: una forma di apostrofazione impiegata
come scialuppa di salvataggio da (e di) tutti quelli che cercano di “tocchicciare”
la personalità di chi gli sta davanti per scavalcare l’invalicabile. Perché
quando si arriva al tu è più difficile essere vaghi e, occorrendo, giustamente
scostanti.
Ovviamente non
sto descrivendo il “ciao capo” di chi
vuole venderci qualcosa per strada: lì è riconosciuta la non confidenzialità
insieme alla necessità di un approccio immediato. Nemmeno critico il “tu”
sportivo con il compagno di doppio di tennis (o di tatami). Sono meno sicuro se
un allievo e un istruttore possano sempre scavalcare il “lei”.
No, sono il “tuteare”
a ogni costo il vicino di casa; la presentazione obbligatoria con il solo nome
proprio che presuppone il “tu”, ma il “piacere” (inesistente eppure sempre
detto all’atto del primo incontro) a corollario di quel tu infausto, durante
una qualsiasi situazione pubblica irrilevante ([2]).
Tutti a darsi
del tu, quando le stesse persone su un mezzo di trasporto pubblico nemmeno
sopporterebbero il reciproco contatto, magari.
“Io do del lei, perché non permetto e non
concedo familiarità”: Aldo Busi ([3]).
Quindi se avete
la possibilità di parlare per primi, date del lei, altrimenti cercate di capire
al più presto se chi vi ha dato del tu è nella patologica norma e, dunque,
degno di oblio entro i successivi 5 minuti ([4]).
Steg
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consenso scritto dell’autore/degli autori.
[1] A partire dal post, dal titolo e sottotitolo
chilometrici: “Il ‘pantalone’ e il ‘Caipiroska alla fragola’:” il massacro
della lingua italiana come alibi per evitare di affrontare molte cose”.
[2] A
parte la maleducazione del dire “piacere”.
[4] Se lo/la reincontrerete userete
il “lei” ovviamente.
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