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(copia del blogger) |
“PINBALL WIZARD”
Gli anni sessanta non sono (solo?) quelli venduti come tali.
In effetti sussiste un equivoco totale che annulla la spinta modernista in favore della reazione alla medesima.
La notevole miopia cosi pretende di non vedere la dominazione della chitarra elettrica e delle prime tastiere anche elettroniche (
) nella musica e vuole spacciare per ciò che non furono molti artisti.
Che dire poi dei film tratti dai romanzi di Ian Fleming? Tecnologia pura.
E Diabolik, dopo i primi albi, di nuovo sublima la modernità e le macchine.
Ecco allora che non è inutile, siccome reiterata, bensì necessaria, poiché dimenticata, speculazione intellettuale spiegare la valenza anche sociale di “Pinball Wizard”.
Per chi non conosce la genesi della canzone di The Who valga l’immagine che illustra questo post (non è un racconto, bensì un romanzo breve).
Quanto alle versioni chi preferirà la più nota cantata da Elton John, chi quella originale interpretata da Roger Daltrey e chi sceglierà fra le versioni demo di Pete Townshend.
Il pinball, in Italia il flipper, è veloce e come tale futuristicamente moderno.
C’è la competizione fra uomo e macchina. La macchina non solo comunque vince a fine partita, ma con il tilt essa detta la regola.
C’è la artificialità sonora e luminosa.
C’è il tempo ristretto coerente con una società che vuole vivere a un ritmo compresso.
C’è anche il consumo fine a se stesso, che il replay o - fenomeno italiano - la partita (o l’aperitivo) offerta (o) dal gestore non possono modificare. Consumismo.
C’è la solitudine del giocatore (l’opposto del calciobalilla, o del biliardo) che gli spettatori enfatizzano: nessuno vuole essere guardato mentre combatte con il moloch elettrico di metropolis-iana memoria, bensì il giocatore si fonde con il punteggio finale che può renderlo campione e porlo super alios.
C’è il lato desiderato della solitudine, l’estraniamento dal mondo.
C’è la valenza effimera di quella supremazia che, di nuovo la velocità, evidenzia inesorabile come lo scorrere del tempo.
A tutto voler concedere, può anche esserci la competizione della sfida diretta, ma separata.
E a essere complici, c’era anche la partita in cui i due amici, parliamo di ragazzini sui nove anni, stavano ai due lati del pinball, ma chi teneva la destra per gestire il lancio della pallina cromata oltre che il proprio flipper?
Questo era il bello di mettersi davanti a un Gottlieb, a un Bally o a un Williams.
Cinquanta lire (tre partite cento, per anni) e si poteva partire per un mondo di luci, metallo scintillante e strane suonerie.
Steg
© 2011 Steg, Milano, Italia.
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