RING DI
CRITICA LETTERARIA
(Mari vs.
Scaraffia)
Non sono persona
che rifiuta di cambiare idea. Ma le reiterate mancanze altrui rafforzano una
opinione non positiva.
Ricordo che in
un post di anni fa avevo usato l’allegoria di quel manifesto che contrapponeva
Andy Warhol a Jean Michel Basquiat.
Questa volta mi
pare che Michele Mari vinca ai punti contro Giuseppe Scaraffia.
Michele Mari lo
ho conosciuto per caso, attraverso – contemporaneamente – gli Ianva e Emilio Salgari;
da lì ho letto Tutto il ferro della torre Eiffel ([1]), Tu,
sanguinosa infanzia e Rosso Floyd.
Posso
eccepirgli, quanto al primo dei tre titoli citati: la mancanza di una nota
bibliografica e la confusione fra Pernod e pastis (il primo è un prodotto
definito, il secondo la categoria di cui il Pernod è parte, insieme a Ricard,
51, eccetera: tutti i pastis di Francia?) e, forse, anisetta.
Giuseppe
Scaraffia continua, inesorabilmente, ad avere una pecca ben più grave: le sue
bibliografie sono “tirate via”: citazioni ripetute, titoli accompagnati dalla
traduzione italiana oppure no oppure la indicazione della sola versione
italiana.
Insomma, ogni suo
libro di cui ho copia soffre di una qualche inaffidabilità. L’ultimo forse
anche di provincialismo: non inserire infatti l’indirizzo de Le Grand Véfour
(anche la terza parola ha la maiuscola siccome cognome) nell’elenco che
accompagna il testo de L’altra metà di Parigi fa sospettare che egli non
vi abbia messo piede.
Ecco perché vince Mari.
Steg
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