MANIC STREET PREACHERS (INTORNO AI)
E
CAPACITA DI NON INVECCHIARE INTELLETTUALMENTE
Ho rischiato più
volte di invecchiare intellettualmente. Probabilmente se si supera la prima, almeno nelle
successive si sa cosa si sta affrontando.
In certi casi il
pericolo è celato nel suo apparente opposto: ci si crogiola in (con) una
pretesa patente di eterna freschezza intellettuale, mentre si sta scivolando
nel macchiettismo di imminente status
di reduce (per definizione esso è a vita).
In massima
sintesi: il punk (leggasi: l’ancora ascoltatore di musica classificata come
tale) a senso unico con pancia e calvizie è triste come il beatlesiano.
La monomania non
aiuta: se è vero che “la gioventù ti
lascia/la mamma muore/te restet come un pirla/col primo amore” ([1]), sei
pirla anche se leggi soltanto il fumetto Tex e niente altro, indipendentemente
dall’anagrafe e dallo stato di famiglia, tanto per dire.
Fra pirla ed
incostante ci sono molte possibilità. Anche quella di mettere in cantina per
sempre il proprio entusiasmo.
I Lost Boys non
hanno famiglia? Forse, ma anche quando ce l’hanno essi rimangono ragazzi senza
cantine inaccessibili, in quanto continuano a visitarle ([2]).
Con sufficiente
(non necessariamente adeguato) spirito di conservazione dunque sono arrivato –
sotto i profili musicale e intellettuale – al 1992 e al 1994, come ho già
scritto in questa sede, dunque in prima e seconda battuta ai Manic Street
Preachers.
In una
prospettiva barrie-ana, quella che è legge nei Kensington Gardens, due anni di
scarto anagrafico, in più o in meno, fra persone sono una generazione.
Ebbene, con il
punk io mi sono sempre sentito fratello minore ([3]).
L’unica affinità
anagrafico-intellettuale l’ho provata con i Manic Street Preachers.
Come se lo
scambio di informazioni fosse biunivoco. Lo so, non lo è.
Sotto il profilo
musicale, i quattro (per me e molti sono quattro, sempre) gallesi hanno avuto la
capacità – rara – di utilizzare dei generi per raccontare.
Ehi: testo E
musica, non testo e una mucillaggine alla chitarra o al pianoforte. Che ne
pensate?
Che dire poi del
gioco, degli “eroi” di 430 King’s Road, dei riferimenti senza troppe
spiegazioni? Anche questo ripreso senza copiare dai quattro gallesi.
Dunque non mi
stancherò mai di ascoltare i Manic Street Preachers, alternando rabbia da disilluso
e spavalderia da seguace senza rimpianti di Peter Pan.
E ho sempre due
o tre loro magliette pericolose (anche solo per la reputazione di chi le
indossa), come quelle (ho anche quelle) di Seditionaries.
Quelli che non “stanno
belli” sono, dunque e ancora, altri. Non noi.
Poi c’è la
versione acustica di “Raindrops Keep Falling On My Head”, ma quello è un colpo
basso, molto basso e tutti sanno come sono andati a finire (o come vogliamo che
siano andati a finire) Buch Cassidy e the Sundance Kid ([4]): non
vecchi. Appunto.
Steg
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pubblico senza il preventivo ottenimento, in ciascun caso, dell’espresso
consenso scritto dell’autore/degli autori.
[1]
“Porta Romana bella”, canzone milanese classificata come popolare, pertanto
senza autori e compositori ben identificati.
[2] E magari andandoci si
accorgono di aver comprato qualcosa due volte, in un eccesso di entusiasmo o di
horror vacui.
[3] Da figlio unico, sono
felice di mia sorella Siouxsie. Lo ero anche di John McGeoch.
[4]
Rispettivamente all’anagrafe Robert LeRoy Parker e Harry Longabaugh.
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