Cofanetto non ufficiale in 23 (ventitré) copie, constante di 7 CD e 3 DVD (non parte della mia collezione) |
THE
VELVET UNDERGROUND: UNA OSSESSIONE
Innanzitutto una
precisazione a guisa di premessa: non esiste una obbligatoria coincidenza fra
Lou Reed e The Velvet Underground, nemmeno ne esiste una fra John Cale e The
Velvet Underground.
Però
difficilmente chi valica la soglia del tempio velvetiano si disinteressa delle
carriere soliste dei suoi componenti, che poi si sostanziano non solo in quelle
delle due “menti” del gruppo ([1]) ma
anche, checché se ne dica (attendo smentite), in quella dell’angelo teutonico
Nico ([2]) ([3]).
Per contro
qualcuno, non credo molti, può avere Lou Reed o John Cale, ancora più esigua la
schiera dei secondi, come artista fra i preferiti senza preoccuparsi del loro
passato. Forse.
E quasi in forma
di avvertimento, più che di premessa, è da precisare che chiunque non si
accontenta di ascoltare con satolla attenzione, o volevo scrivere devozione?,
la produzione “regolare” (ma quale, soprattutto oggi?) dei VU (sì questa
abbreviazione è ammessa), quasi subito va alla deriva in elucubrazioni che – se
non fossero nobilitate dall’argomento – sarebbero assimilabili a quelle dei
tifosi di calcio, con rimpianti di formazione e fantasie postume davvero
incomprensibili dall’esterno e assolutamente prive di ogni rilevanza nel mondo
reale e poco appeal anche
intellettuale.
Qui, forse
comincia, appunto, la ossessione.
Ipotesi di un
secondo album con il cantato di Nico, sogni ad occhi aperti di un sodalizio
indissolubile fra l’aquilino Gallese e il riccioluto bardo della Nuova
Amsterdam, e cosi via.
Perché un certo
giorno ci si accorge che non basterà mai tutto quanto esiste di reperibile in
forma sufficientemente agevole (cioè?) di The Velvet Underground.
Più che
incidentalmente, nel frattempo ci si accorge di altro: Andy Warhol e, “e”, la
sua Factory (qualcuno ha detto Edie Sedgwick?).
Ricordo uno dei
concerti meno memorabili musicalmente di Siouxsie and the Banshees: quello al
Bristol Womad del 1986, ma indimenticabile sotto altri profili. La fidanzata
del tempo di Steve Severin, un’adorabile e giovane ragazza soprannominata
Cricket, aveva dipinto sulla schiena del suo giubbotto di tessuto jean il volto
di Edie Sedgwick, appunto.
Io, come altri, grazie ([4]) al punk ([5]): un giorno rammenti una recensione e compri un disco semiufficiale stampato in Australia (ce ne sarebbe stato un secondo) ([6]), tempo dopo inciampi già nel CD di VU e/o nell’immediatamente successivo Another View.
Ancora non ci si fa molto caso, c’è tanta di quella musica nuova cui pensare!, sebbene il libro Uptight ([7]) non possa mancare nella propria, seria, biblioteca.
Solo anni dopo
il gesto irreversibile: il leggendario cofanetto australiano, ancora, che con
rigore filologico apre la porta ai devoti casuali, agli ossessivi razionali: un
bell’astuccio argentato di formato lungo con tre CD dal titolo What Goes On.
Poi sarà tutto
in discesa, o in salita, dipende dai punti di vista.
Il quintuplo Peel Slowly And See può soddisfare da
solo unicamente chi si illude di essere un illuminista sonico in un’epoca nella
quale il concetto di enciclopedia appare ormai e purtroppo destinato a
scomparire.
Altrimenti si
allineano e si pongono in debito ordine tutti questi frammenti, belli anche
sensorialmente alla vista e al tatto (cito per tutti il quadruplo CD Caught Between The Twisted Stars) o
semplicemente confortanti: sia esso il doppio ufficiale Fully Loaded o il clandestino Searching
For My Mainline in versione AAD (più ricco dell’originario vinile
multiplo).
Con tutta
evidenza, la storia è ormai infinita e nemmeno appassionante, si è già nelle
discussioni sulla prevalenza qualitativa del suono monofonico o stereofonico
ben prima di quando diventi di moda, a tacere dei missaggi alternativi.
L’unico vero
sobbalzo è una piccola favola vera: il giovanotto che letteralmente inciampa in
un disco anomalo in un mercatino delle pulci manhattanita: qualche spicciolo
gli assicura la proprietà dell’acetato di Norman Dolph: cioè una versione
inedita del primo album, detto in parole povere.
Senza perderci
troppo il sonno, degli intrepidi giapponesi ([8]) immettono sul mercato come bonus “ad altro” quell’acetato in formato CD.Fine, sebbene in argomento Fernanda Pivano scrisse un inutile e nemmeno preciso articolo sul Corriere della Sera.
Playlist obbligatoria: “All Tomorrow’s
Parties”, “White Light/White Heat”, “Sister Ray” e, per il testo, “Heroin”.
Bonus track, c’è
lì già aria di futuro: “Rock & Roll”.
Non ci credete?
Provate qui, allora: http://olivier.landemaine.free.fr/vu/index.html.
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scritto dell’autore/degli autori.
[1] E le derivazioni poi si fanno onerose: se Cale produce l’esordio di The Stooges, David Bowie produce non solo Lou Reed ma anche Iggy & The Stooges.
[2] Prodotta da John Cale.
[3] Non me ne abbiano i “totalisti”,
ma Moe Tucker e Sterling Morrison ci lasciano ben poco da ascoltare.
[4] Ci fossi arrivato prima
non necessariamente sarei progredito negli ascolti.
[5] I lettori storici del blog forse lo avevano intuito.
[6] Gli album in questione
sono, rispettivamente: Etc. e And So On.
[7] Di Victor Bockris e Gerard
Malanga, sottotitolo: The Velvet
Underground Story.
[8] Per
chi volesse cimentarsi, oggi, nella ricerca: si vada a recuperare tutta la
produzione della Nothing Song, nella tiratura originaria.
segnalo i feel so far away, raccolta di moe tucker (3 lp o 2 cd) che merita di essere riscoperta
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