“MILANO?
LIBRI!”
(e il
Notaio Franco Cavallone, con Giovanni Gandini fintamente defilato)
Titolo e
sottotitolo dicono tutto di quanto andrò a scrivere, in quanto – ognuno a
proprio modo (anche per ragioni generazionali) – io e il Notaio Franco
Cavallone avevamo in comune ([1]) una
libreria: la Milano Libri, appunto.
In realtà non
solamente “una libreria” perché essa è stata anche editore cruciale.
Non credo di
esagerare se affermo che senza la Milano Libri la storia del fumetto italiano
avrebbe potuto essere per lo meno ritardata, ma io credo sarebbe stata anche un
poco diversa.
Ecco perché la
bibliografia di queste righe potrebbe essere totale: tutto il catalogo
editoriale, anche periodico, della Milano Libri almeno sino a che Oreste Del
Buono diresse Linus, più le due
eccezioni che seguono. Ma non ne varrebbe la pena.
A contrario, le
fonti selezionate si possono ridurre a tre volumi: Caffè Milano di Giovanni Gandini (del 1987), Il Notaio Cavallone (collettaneo del 2005; fuori commercio) e Milano Libri 1962/2012 (collettaneo del
2012); quello di Gandini ([2]) è l’unico
edito da altri: Scheiwiller. Si tratta di testi non facili da reperire ([3]).
In un incisivo
testacoda ([4]): Cavallone è il prefatore
dell’antologia di Gandini; il quale ivi scrive di Cavallone, ma senza nominarlo
espressamente per cognome.
Copie di quei
tre libricini evidentemente fanno parte della mia biblioteca.
Ricordo, molti
anni fa, di aver assistito alla conferenza di Gianfranco Dioguardi, presentato
da Umberto Eco, presso l’Accademia di Brera, un sabato pomeriggio a proposito
del suo volume Il furore di essere libro.
Ma io ricordo un titolo diverso: “Il furore di avere libri”. Quel volume, lo
pubblicò mio zio, libraio antiquario.
Si torna
comunque al punto di partenza: Milano e i libri.
Un certo giorno
ti accorgi dei libri.
Ne sei
proprietario, ma anche custode. Cosi ti domandi cosa sarà di loro alla tua
morte ([5]).
I libri e i fumetti.
Come sancisce,
letteralmente ma con una mera strizzata d’occhio, Umberto Eco a tutti quelli
che sanno, capiscono e sorridono senza bisogno di note esplicative, quando egli
pubblica quel libro incongruente e ameno che è La misteriosa fiamma della Regina Loana.
Ho parlato di
fumetti: li trovate nelle due pagine che GG dedica a quelli “in città”: come visitatori,
evidentemente, tranne la Rosselli (e le sorelle Giussani, aggiungo io alla
lista sua, con evidente incongruenza ma forse neanche tanto) ([6]).
Fin troppo
facile trovare delle esili oppure robuste fila del discorso: il Piemonte di Eco
e Cavallone, la rivista Linus che
coinvolge Eco e Cavallone (oltre a Del Buono, cui aggiungo lo stealth Ranieri Carano) ed è edita da –
ormai evidentemente – “la” Milano Libri.
Si fa a questo
punto il momento per buttare dei bei pezzi di carne in pasto ai lettori-fiera
di queste mie righe, con una qualche benedizione di Anna Maria (o Annamaria o
AnnaMaria), moglie di Giovanni nata Gregorietti, Gandini la quale – lei oggi finge
di non ricordarlo, forse per giusta vanità femminile? – mi vedeva rovistare nel
basement della Milano Libri di Via
Verdi ([7]) a
recuperare i numeri di Linus e dei
relativi supplementi mancanti nella collezione di famiglia quando io nemmeno
ero decenne, poi ancora io a comprare il Metallo
Urlante francese e tutto quanto fosse edito dal genovese Ivaldi che ancora
mi mancava ([8]).
Posso
innanzitutto dirvi che non c’ero il 1° aprile 1965 alle ore 18.30 alla
presentazione del primo numero di Linus ([9]) presso
la già esistente da quasi esattamente tre anni libreria.
Per l’aria che
tirava nel fumetto italiano, mi affido a una grande firma come Ferruccio
Alessandri nel suo sintetico obituary
per l’amico morto, questa volta realmente, il 17 febbraio 2006, di venerdì ([10]) (humor
nero?): “Giovanni Gandini, un amico - In
via Spiga si entrava in un giardino interno, poi su per una scaletta buia fino
all’ingresso di un piccolo appartamento. Era la redazione di Linus. In cima
alla scala c’era la prima stanza, dove lavoravano Fulvia e Cettina, al lavoro ‘serio’
(la posta, l’amministrazione, ecc.). Nella stanza che aveva le finestre sul
giardino c’era l’ufficio dove Linus (anzi, ‘il Linus’, come si diceva alla milanese) veniva preparato. Una
stanza con un camino, sempre spento, quasi tutta occupata da un grande tavolone
quadrato. Da una finestra era man mano entrata una vite americana che
cominciava a propagarsi su una parete. A questo tavolo lavoravano Giovanni
Gandini e Ranieri Carano e ogni tanto Oreste Del Buono. Quando era uscito Linus, devo essere stato il primo lettore a
leggerlo. Erano le sei del mattino e io stavo andando alla redazione di Gamma
fantascienza. All’edicola della stazione,
mentre compravo un quotidiano, buttarono giù un pacco. Un fascicolo verde, con
su Linus e la sua copertina. Mi ricordo che lo lessi tra l’ammirato e il
furioso (a Gamma stavamo baloccandoci con l’idea di fare una rivista a fumetti
con i Peanuts) e conclusi da esperto: ‘Una bella rivista, ma commercialmente
non durerà sei mesi...’ Sei mesi dopo lavoravo al Linus come redattore e grafico. Con Gandini l’atmosfera era rilassata. Non sembrava
nemmeno di lavorare. Si parlava, si discuteva pacatamente (mi sembra ancora di
sentire la sua voce baritonale) e ci si divertiva. Il suo atteggiamento verso
il giornale era particolarissimo: lo faceva per sé, per qualche amico e per un
pubblico ristretto che stimava. Il fatto che dopo un anno cominciasse ad avere
un successo clamoroso lo contrariava. Diceva che il successo ti condiziona, e
poi va a finire che si fa una pubblicazione commerciale. Infatti, al culmine
del successo vendette la rivista a Rizzoli, credo un fatto unico nella storia
dell’editoria. Quando sotto un Natale vennero a fare un servizio con Cochi
& Renato, non si era fatto nemmeno vedere, e avevo dovuto rispondere io
alle domande di un regista spocchioso. In seguito mi invitò a lavorare a una
nuova rivista, grande come un lenzuolo, Il Giornalone, che non ebbe successo e dovette chiudere presto (‘Però ci siamo
divertiti, Alessandri, no?’ mi disse). Io lavoravo dietro il deposito dei libri
dall’altra parte del giardino. Non mi convocava, veniva lui. Mi ricordo la sua
voce baritonale, che proveniva da dietro un enorme scaffale di libri che stava
aggirando per entrare nel mio ‘ufficio’. Invece di provare quel minimo di
allarme che sul lavoro si prova quando si è interpellati dal capo, con lui si
provava un senso di rilassamento. Era un amico. Ed era sensibile. Quando si era
deciso di mantenere solo quei pochi autori italiani, amici come Crepax e
Lunari, non se la sentiva di rifiutare personalmente autori nuovi (cosa
necessaria editorialmente per una serie di motivi di cui vi faccio grazia), e
così aveva rifilato a me l’orribile bisogna. Fra quelli a cui dovetti dire no c’era
anche un timido Bonvi alle prime armi... Anche se non pensavo che a questa
notizia della sua morte avrei ricevuto una tale mazzata, in un certo senso sono
contento che ci siamo persi di vista in questi ultimi anni, con lui che aveva
perso la voce, con noi che siamo invecchiati. Almeno me lo ricordo così: ‘Alessandri,
che ne dice di fare per Natale qualche bel poster con Snoopy?’ Perché non
ordinava mai, chiedeva. E ti dava del lei” ([11]).
Ma era proprio
quella l’aria? Secondo il Notaio Cavallone – con Oreste del Buono – andò così:
“Nel frattempo, avevo continuato a
coltivare, sotto forma di hobbies non
compromettenti, i miei interessi ‘intellettuali’: libri, spettacoli, mostre,
viaggi lampo e brevi soggiorni nelle capitali della cultura. Nel 1962, con
alcuni miei amici, avevo investito i miei modesti risparmi nell’acquisto di una
libreria intesa come negozio dove si vendono libri. Un divertimento come un
altro, dal quale doveva nascere però un’esperienza straordinaria di immenso
ulteriore divertimento, ma anche di lavoro serio e proficuo. Le singolari
circostanze della nascita della rivista ‘Linus’, nell’aprile del 1965, sono state
narrate a veglia, rievocate innumerevoli volte. […] Oreste del Buono la storia di solito la racconta così: ‘Era
un’iniziativa di Giovanni Gandini e di un gruppo di amici che si ritrovavano la
sera in una libreria di via Verdi a Milano, diretta dalla moglie di Gandini,
Anna Maria. C’era un notaio, Franco Cavallone. Un avvocato, Bruno Cavallone. Un
procuratore legale, Ranieri Carano. E di sicuro altra gente di legge. Tra cui
l’avvocato Ciccio Mottola che apprezzava molto i Peanuts di Charles M. Schultz. Ne aveva parlato
sinché non aveva convinto una parte degli amici a mettersi in società per
pubblicare il primo libro di Peanuts:
Arriva Charlie Brown. La grafica era
stata di Salvatore Gregorietti, cognato di Gandini, la prefazione di Umberto
Eco, che allora si interessava molto di fumetti, che trovava ancora materia di
sorpresa e di scandalo per i benpensanti. Il primo libro era uscito nel 1963.
Aveva avuto successo. Poi era uscito un altro libro di Peanuts. Aveva avuto successo. Cosi Gandini aveva
avuto l’idea geniale di creare una rivista di fumetti diversa da tutte quelle
che l’avevano preceduta. Ovverossia una rivista che raccogliesse i fumetti
comici a preferenza di quelli avventurosi, le strisce quotidiane con le loro
iterazioni e le loro sovrapposizioni oltre alle tavole settimanali, e non
lasciasse i fumetti soli, ma li accompagnasse con note, commenti, con testi di
un nuovo modo di guardare al sottogenere, alla figurazione narrativa” ([12]).
Io aggiungo che non
solo in Italia tempo dopo apparvero Eureka!
e altri epigoni (come Sorry o Il mago) con diversi dosaggi di generi a
fumetti, ma Linus in breve divenne un
format esportabile (sebbene non credo
esportato, bensì solo copiato) in Francia dove apparve nel 1969 Charlie.
E Franco
Cavallone chi era, anche e allora?
Questo: “Lui lavora da notaio e i rogiti li traduce
dopo averli redatti in inglese. Ha una finestra sul cortile e una stanza con
vista sui quotidiani”, “è lui che ha
scritto sul primo numero ‘Linus è un nome facile anche da dire’”, “memoria della cultura, […] taglio d’abito impeccabile, […] sigaretta MS”, “Lo potete anche incontrare a Leopoli (raramente), al Connaught
(spesso), a New York, a Venice (California), a Helsinki, Göteborg, Uppsala, Leningrado,
Dublino”, “È gentile, ride, sorride,
ogni tanto si arrabbia. Il mio amico Franco è sovrumano. Alt. Non correggete
queste bozze, voglio che sia lui a segnare gli errori” ([13]).
Questo: “Per il notaio Cavallone valeva quel che Benedetto
Croce disse una volta di Raffaele Mattioli: ‘Questo Mattioli parla di molti
libri e ne parla con senno. Non sarebbe una cosa straordinaria. Lo
straordinario è che li ha letti’” ([14]).
Questo: che
leggeva i libri ma li lasciava “[…] proprio
nuovi, appena arrivati dalla tipografia, o dalla legatoria. Eppure, per quanto
riguarda almeno i libri di narrativa, le biografia e i saggi critici, Franco li
ha letti quasi tutti dalla prima all’ultima pagina. Il miracolo ha origini
lontane: si narra di un Natale o di un compleanno remoto, allorché Franco,
bambino, avendo trovato in un armadio certi libri di Sàlgari o Salgàri che la
mamma si accingeva a regalargli, li aveva letti tutti velocemente di nascosto,
nonostante che avessero, come allora usava,’le pagine da tagliare’. Dopo di che,
li aveva ricollocati nell’armadio, fingendo poi doverosa sorpresa al momento
del regalo” ([15]).
Ma forse soprattutto
questo: “Ho provato a figurarmi la
sceneggiatura di una giornata di lavoro nel mio studio di Milano, da affidare
magari a Michel Moore per la realizzazione. […] Le gentili pendolari collaboratrici se ne vanno e il notaio resta solo
a vagheggiare i contorni familiari delle figure di Asterix e Obelix mentre
scorrono controluce nel tramonto sul paesaggio dell’Auvergne” ([16]), e
questo: “[…] così l’incarico di tradurre Peanuts passò a me e continuai a svolgerlo per
oltre dieci anni, per migliaia di strisce […]. Tutte diligentemente tradotte in ufficio e, finché l’ufficio non fu
il mio, con gli originali appoggiati su un cassetto aperto, in basso, e il
testo italiano sul piano della scrivania, steso su insospettabili fogli uso
bollo” ([17]).
Questo post lo dedico a Mario Scognamiglio, mio
zio, che per un caso (cinico, ma non colpevole e nemmeno inaspettato), non ho
potuto avere come interlocutore oggi (leggasi mesi fa) quando ci saremmo incontrati
e intellettualmente scontrati alla pari nella assoluta diversità di cultori
della pagina stampata e a cui, tutt’altro che inter alia, avrei voluto parlare di Eduard Limonov.
Steg
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sistemi elettronici) per scopi privati e/o riprodotta e/od archiviata per il
pubblico senza il preventivo ottenimento, in ciascun caso, dell’espresso
consenso scritto dell’autore/degli autori.
[1] Oltre
alla facoltà universitaria.
Nemmeno è bastevole la
notizia di pagina 179 del suo libro, non fosse altro che per il fatto di essere
necessariamente priva degli ultimi 16 anni della sua vita.
Egli aveva aperto dopo aver
abbandonato Milano Libri (e moglie) un negozietto proprio dietro il comando
provinciale milanese dei carabinieri (e quindi vicinissimo alla sede del Corriere della Sera): splendida bottega,
se non fosse che non sono mai riuscito a trovarla aperta, ove credo si
nascondessero almeno: un gatto del Cheshire, un sarchiapone metropolitano, una
copia del Necronomicon manoscritta e l’elenco dei residenti in via Saterna.
Giovanni Gandini è come un
testo letterario “perennemente in nota”, cioè un principale che gioca a
marginale, questo è assolutamente evidente, uno al cui confronto Salinger
(J.D.) risulta essere tacciabile di presenzialismo. A riprova di ciò, cito – in
nota – quanto scrive dottamente Luca Boschi in un articolo un poco caotico
(questo post lo è di più) pubblicato pare su un supplemento (on-line?) de Il Sole 24 Ore , tale Nova100, del 25 novembre 2012 (http://lucaboschi.nova100.ilsole24ore.com/2012/11/25/arriva-giovanni-gandini/):
“Una volta gli amici di Exploit Comics, bella rivista di critica e informazione
sul Fumetto alla quale di pregio di aver collaborato negli anni Ottanta,
scrissero una lettera a Giovanni
Gandini chiedendo di collaborare con la scrittura di un articolo sulla
sua esperienza relativa alla creazione di Linus. Leonardo Gori e Sergio Lama mi mostrarono con mestizia
la lettera inviata all’indirizzo della rivista da Milano. Purtroppo, Gandini
era morto poco prima e il figlio, che firmava la comunicazione, si rammaricava
di questo, mettendo a parte gli ‘scrittori amatoriali’ della situazione. Non
era vero. Gandini era vivo e vegeto, non so nemmeno se avesse questo presunto
figlio. Di fatto, la lettera l’aveva scritta lui per far circolare la voce, nel
giro delle fanzine e delle prozine, che non voleva essere scocciato. Poco tempo
dopo lo trovai al solito bar, orario aperitivo, in Via San Fermo, zona
Solferino, dove aveva il suo negozietto di libri e affini attraverso il quale
vendeva anche buona parte dell’archivio che era stato dalla sua Linus. Io stesso, con Ferruccio Giromini
e Alfredo Castelli, comprai un
po’ di quei materiali (libri, riviste americane rare, impianti, patinate), che
ancora possiedo” (ho tolto i grassetti presenti in originale).
[3] Più
semplice potrebbe essere recuperare
[4]
Trovate questa parola in più dei miei post:
essa ormai risulta desueta, non lo era sino a 40 anni fa, quando si guidavano
automobili, indipendentemente dal genere maschile o femminile della parola.
[5] Per
questo mi fa piacere essere il proprietario della copia di Storie non tanto regolari di Umberto Simonetta che fu di proprietà
del Professor Alberto Candian (illustre processual-penalista), come dichiara il
timbro della sua biblioteca che la accompagna.
[6] Quel
testo gandiniano è riapparso sul web, lo riproduco qui: “Fumetti in città. Come vivrebbero i personaggi dei fumetti a
Milano? Valentina di Guido Crepax è un’eccezione perché è nata in zona Magenta
e la città la conosce almeno quanto Ornella Vanoni. Topolino e Minnie, nati
nelle periferie americane degli Anni Trenta, prediligono sicuramente steccati
da ‘Linea 3 avanza’ e aree incolte se ce n’è ancora. La loro casa potrebbe
essere quel villino-cicala in piazzale Buonarroti dove Eriprando Visconti girò
il suo primissimo film. Ma dove scende Gordon Flash? Qualcuno dice all’hotel
Manin, secondo me in Prefettura, secondo altri in un attico del centro, ospite
di Olcese. Linus, si sa, in ringhiera perché ogni mattina deve stendere la sua
copertina. Mandrake con un semplice cenno della mano cambia residenza ogni
giorno, dal Gallia al Plaza, dal Gran Hotel et de Milan, alla pensione Speranza
di viale Padova. I fumetti sono un po’ tutti, i personaggi e il leggere, i divi
odierni della Tv e i grandi attori del cinema. Jean Gabin è un attore che
abbiamo amato ed è come averlo ogni sera su un giornalino. Chi non ricorda la
canzone della Frehel in ‘Pepé le Moko’ prima che Gabin scenda i lunghi gradini
della Casbah? ‘Où est-il mon moulin de la place Blanche, mon
tabac, mon bistrot dans le coin…?’ Ma Gabin che gradini scende a Milano?
Alla stazione di Porta Genova dove c’è il cavalcavia, ai Bastioni di Porta
Venezia o Monte Merlo? Forse la scaletta del Ponte delle Gabelle. Non abbiamo
su e giù nella nostra città, né fiumi color terra o azzurri che fanno le curve.
Asterix e Obelix ci hanno lasciato dei canali che venivano dai campi verdi e
uno l’hanno fatto rotondo per impedire alle macchine di oltrepassarlo.
Barbarella si sarebbe fermata alle Sirenette e Tintin dai Carabinieri. Quando
arriva Bobo so che va in Melzi d’Eril da Umberto Eco, e zio Paperone o da
Cuccia o a Segrate. Copi viene a casa mia. Moebius in via Canonica per restare
a due passi dal Monumentale, Biancaneve sulla Madonnina e i Sette Nani sulle
guglie. Snoopy viene per parlare di magliette con i merli in via dei Giardini o
per interessarsi di una nuova rivista che intende stampare direttamente sulle
magliette. Cappuccetto Rosso non attraverserebbe mai i Boschetti verso sera per
portare una bottiglia di Oltrepò Pavese alla nonnina che abita al 23 dell’Annunciata,
mentre Arcibaldo lo vedo ogni mattina sulla gru della Questura. Gioca a Scala
Cinquanta e va a mangiare alla Vecchia Pesa. Se Bonaventura ha perso il posto
alla Commerciale per aver cambiato in contanti un foglio con su scritto “un
milione”, in compenso ha avuto grande successo come stilista di pantaloni
bianchi. Non c’è raduno degli Alpini che non veda tra i trentamila Cino e
Franco, ma sono riunioni sporadiche che si tengono all’Arena e se uno li vede
li riconosce subito non per la penna d’aquila ma per i calzoni corti”.
[7] Mi
soffermo solo ora sul fatto che per i Milanesi - quelli che ammazzano al
sabato, oppure solcavano nello stesso giorno della settimana le strade come filibustieri
per librerie quando queste esistevano - la via non si è mai nominata anche con
“Giuseppe”.
[8] Dopo
le mie ripetute e metodiche incursioni, niente di meno, alla caverna di Alì
Babà che fu la Libreria Il Sileno di Genova, presso cui ho avuto forse i più
bei brividi da cacciatore di fumetti della mia vita e scoprii, da grande come
non ero, Hugo Pratt nel suo massimo splendore di solista del fumetto.
[10]
Reputo più attendibile Alessandri che di Wikipedia in punto.
[11] http://www.lfb.it/fff/fumetto/art/gandini_alessandri.htm.
Incredibile quanto si trovi in rete, sapendo cercare. Di nuovo, ho eliminato i
grassetti partendo dal testo originale e non da quello modificato reperibile
altrove. Preciso che “Fulvia” è Fulvia Serra e “Cettina” è Cettina Novelli.
Io sono milanese, ma non ho
mai detto “il Linus”
[12]
Franco Cavallone, “Il notaio”, da Aa. Vv. (a cura di R. Stajano), La mia professione, Laterza, Roma-Bari,
1986; riprodotto anche in Il notaio
Cavallone, cit. (da cui, pagine non numerate, lo ho tratto).
Ad uso dei giovani: sino
alla legge 24 febbraio 1997, n. 27, prima di diventare avvocato occorreva
praticare sei anni come “procuratore legale” (il che imponeva una serie di
limitazioni e comportava anche un diverso tariffario), dopo – ovviamente – aver
superato l’esame di stato relativo. Da detta riforma, chi supera l’esame è
subito “avvocato”,
Ho corretto la grafia,
erronea, di “Connought” (celeberrimo hotel di lusso londinese).
Incidentalmente, anche
Gandini era laureato in Giurisprudenza alla Università degli Studi di Milano
(meglio nota poi come “Statale” quando fu fondata l’Università Cattolica),
facoltà dove aveva conosciuto l’amico.
Raffaele Mattioli fondò la
Banca Commerciale Italiana e fu anche legionario a Fiume con Gabriele
d’Annunzio.
[16]
Franco Cavallone. Il testo è stato tratto da Il notaio Cavallone, cit., ma è del gennaio 2005: “Teneva una rubrica, Finestra sul cortile, sulla rivista del sindacato notai: FN
FederNotizie” (Corrado Stajano, idem).
[17] “Il
notaio”, cit.
Cioè redatto su quei
particolari (per rigatura e margini) “fogli protocollo”, gli “uso bollo”, che
sino a pochi anni fa ancora stavano, almeno, nelle borse di avvocati e notai.
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