"Champagne for my real friends. Real pain for my sham friends" (used as early as 1860 in the book The Perfect Gentleman. Famously used by painter Francis Bacon)



martedì 6 gennaio 2015

“MILANO? LIBRI!” (e il Notaio Franco Cavallone, con Giovanni Gandini fintamente defilato)


“MILANO? LIBRI!”
(e il Notaio Franco Cavallone, con Giovanni Gandini fintamente defilato)

 

Titolo e sottotitolo dicono tutto di quanto andrò a scrivere, in quanto – ognuno a proprio modo (anche per ragioni generazionali) – io e il Notaio Franco Cavallone avevamo in comune ([1]) una libreria: la Milano Libri, appunto.
In realtà non solamente “una libreria” perché essa è stata anche editore cruciale.
 
Non credo di esagerare se affermo che senza la Milano Libri la storia del fumetto italiano avrebbe potuto essere per lo meno ritardata, ma io credo sarebbe stata anche un poco diversa.
Ecco perché la bibliografia di queste righe potrebbe essere totale: tutto il catalogo editoriale, anche periodico, della Milano Libri almeno sino a che Oreste Del Buono diresse Linus, più le due eccezioni che seguono. Ma non ne varrebbe la pena.
A contrario, le fonti selezionate si possono ridurre a tre volumi: Caffè Milano di Giovanni Gandini (del 1987), Il Notaio Cavallone (collettaneo del 2005; fuori commercio) e Milano Libri 1962/2012 (collettaneo del 2012); quello di Gandini ([2]) è l’unico edito da altri: Scheiwiller. Si tratta di testi non facili da reperire ([3]).
 
In un incisivo testacoda ([4]): Cavallone è il prefatore dell’antologia di Gandini; il quale ivi scrive di Cavallone, ma senza nominarlo espressamente per cognome.
 
Copie di quei tre libricini evidentemente fanno parte della mia biblioteca.
Ricordo, molti anni fa, di aver assistito alla conferenza di Gianfranco Dioguardi, presentato da Umberto Eco, presso l’Accademia di Brera, un sabato pomeriggio a proposito del suo volume Il furore di essere libro. Ma io ricordo un titolo diverso: “Il furore di avere libri”. Quel volume, lo pubblicò mio zio, libraio antiquario.
 
Si torna comunque al punto di partenza: Milano e i libri.
 
Un certo giorno ti accorgi dei libri.
Ne sei proprietario, ma anche custode. Cosi ti domandi cosa sarà di loro alla tua morte ([5]).
 
I libri e i fumetti.
Come sancisce, letteralmente ma con una mera strizzata d’occhio, Umberto Eco a tutti quelli che sanno, capiscono e sorridono senza bisogno di note esplicative, quando egli pubblica quel libro incongruente e ameno che è La misteriosa fiamma della Regina Loana.
 

Ho parlato di fumetti: li trovate nelle due pagine che GG dedica a quelli “in città”: come visitatori, evidentemente, tranne la Rosselli (e le sorelle Giussani, aggiungo io alla lista sua, con evidente incongruenza ma forse neanche tanto) ([6]).
 

Fin troppo facile trovare delle esili oppure robuste fila del discorso: il Piemonte di Eco e Cavallone, la rivista Linus che coinvolge Eco e Cavallone (oltre a Del Buono, cui aggiungo lo stealth Ranieri Carano) ed è edita da – ormai evidentemente – “la” Milano Libri.
 

Si fa a questo punto il momento per buttare dei bei pezzi di carne in pasto ai lettori-fiera di queste mie righe, con una qualche benedizione di Anna Maria (o Annamaria o AnnaMaria), moglie di Giovanni nata Gregorietti, Gandini la quale – lei oggi finge di non ricordarlo, forse per giusta vanità femminile? – mi vedeva rovistare nel basement della Milano Libri di Via Verdi ([7]) a recuperare i numeri di Linus e dei relativi supplementi mancanti nella collezione di famiglia quando io nemmeno ero decenne, poi ancora io a comprare il Metallo Urlante francese e tutto quanto fosse edito dal genovese Ivaldi che ancora mi mancava ([8]).

 
Posso innanzitutto dirvi che non c’ero il 1° aprile 1965 alle ore 18.30 alla presentazione del primo numero di Linus ([9]) presso la già esistente da quasi esattamente tre anni libreria.
 

Per l’aria che tirava nel fumetto italiano, mi affido a una grande firma come Ferruccio Alessandri nel suo sintetico obituary per l’amico morto, questa volta realmente, il 17 febbraio 2006, di venerdì ([10]) (humor nero?): “Giovanni Gandini, un amico - In via Spiga si entrava in un giardino interno, poi su per una scaletta buia fino all’ingresso di un piccolo appartamento. Era la redazione di Linus. In cima alla scala c’era la prima stanza, dove lavoravano Fulvia e Cettina, al lavoro ‘serio’ (la posta, l’amministrazione, ecc.). Nella stanza che aveva le finestre sul giardino c’era l’ufficio dove Linus (anzi, ‘il Linus’, come si diceva alla milanese) veniva preparato. Una stanza con un camino, sempre spento, quasi tutta occupata da un grande tavolone quadrato. Da una finestra era man mano entrata una vite americana che cominciava a propagarsi su una parete. A questo tavolo lavoravano Giovanni Gandini e Ranieri Carano e ogni tanto Oreste Del Buono. Quando era uscito Linus, devo essere stato il primo lettore a leggerlo. Erano le sei del mattino e io stavo andando alla redazione di Gamma fantascienza. All’edicola della stazione, mentre compravo un quotidiano, buttarono giù un pacco. Un fascicolo verde, con su Linus e la sua copertina. Mi ricordo che lo lessi tra l’ammirato e il furioso (a Gamma stavamo baloccandoci con l’idea di fare una rivista a fumetti con i Peanuts) e conclusi da esperto: ‘Una bella rivista, ma commercialmente non durerà sei mesi...’ Sei mesi dopo lavoravo al Linus come redattore e grafico. Con Gandini l’atmosfera era rilassata. Non sembrava nemmeno di lavorare. Si parlava, si discuteva pacatamente (mi sembra ancora di sentire la sua voce baritonale) e ci si divertiva. Il suo atteggiamento verso il giornale era particolarissimo: lo faceva per sé, per qualche amico e per un pubblico ristretto che stimava. Il fatto che dopo un anno cominciasse ad avere un successo clamoroso lo contrariava. Diceva che il successo ti condiziona, e poi va a finire che si fa una pubblicazione commerciale. Infatti, al culmine del successo vendette la rivista a Rizzoli, credo un fatto unico nella storia dell’editoria. Quando sotto un Natale vennero a fare un servizio con Cochi & Renato, non si era fatto nemmeno vedere, e avevo dovuto rispondere io alle domande di un regista spocchioso. In seguito mi invitò a lavorare a una nuova rivista, grande come un lenzuolo, Il Giornalone, che non ebbe successo e dovette chiudere presto (‘Però ci siamo divertiti, Alessandri, no?’ mi disse). Io lavoravo dietro il deposito dei libri dall’altra parte del giardino. Non mi convocava, veniva lui. Mi ricordo la sua voce baritonale, che proveniva da dietro un enorme scaffale di libri che stava aggirando per entrare nel mio ‘ufficio’. Invece di provare quel minimo di allarme che sul lavoro si prova quando si è interpellati dal capo, con lui si provava un senso di rilassamento. Era un amico. Ed era sensibile. Quando si era deciso di mantenere solo quei pochi autori italiani, amici come Crepax e Lunari, non se la sentiva di rifiutare personalmente autori nuovi (cosa necessaria editorialmente per una serie di motivi di cui vi faccio grazia), e così aveva rifilato a me l’orribile bisogna. Fra quelli a cui dovetti dire no c’era anche un timido Bonvi alle prime armi... Anche se non pensavo che a questa notizia della sua morte avrei ricevuto una tale mazzata, in un certo senso sono contento che ci siamo persi di vista in questi ultimi anni, con lui che aveva perso la voce, con noi che siamo invecchiati. Almeno me lo ricordo così: ‘Alessandri, che ne dice di fare per Natale qualche bel poster con Snoopy?’ Perché non ordinava mai, chiedeva. E ti dava del lei” ([11]).

 

Ma era proprio quella l’aria? Secondo il Notaio Cavallone – con Oreste del Buono – andò così: “Nel frattempo, avevo continuato a coltivare, sotto forma di hobbies non compromettenti, i miei interessi ‘intellettuali’: libri, spettacoli, mostre, viaggi lampo e brevi soggiorni nelle capitali della cultura. Nel 1962, con alcuni miei amici, avevo investito i miei modesti risparmi nell’acquisto di una libreria intesa come negozio dove si vendono libri. Un divertimento come un altro, dal quale doveva nascere però un’esperienza straordinaria di immenso ulteriore divertimento, ma anche di lavoro serio e proficuo. Le singolari circostanze della nascita della rivista ‘Linus’, nell’aprile del 1965, sono state narrate a veglia, rievocate innumerevoli volte. […] Oreste del Buono la storia di solito la racconta così: ‘Era un’iniziativa di Giovanni Gandini e di un gruppo di amici che si ritrovavano la sera in una libreria di via Verdi a Milano, diretta dalla moglie di Gandini, Anna Maria. C’era un notaio, Franco Cavallone. Un avvocato, Bruno Cavallone. Un procuratore legale, Ranieri Carano. E di sicuro altra gente di legge. Tra cui l’avvocato Ciccio Mottola che apprezzava molto i Peanuts di Charles M. Schultz. Ne aveva parlato sinché non aveva convinto una parte degli amici a mettersi in società per pubblicare il primo libro di Peanuts: Arriva Charlie Brown. La grafica era stata di Salvatore Gregorietti, cognato di Gandini, la prefazione di Umberto Eco, che allora si interessava molto di fumetti, che trovava ancora materia di sorpresa e di scandalo per i benpensanti. Il primo libro era uscito nel 1963. Aveva avuto successo. Poi era uscito un altro libro di Peanuts. Aveva avuto successo. Cosi Gandini aveva avuto l’idea geniale di creare una rivista di fumetti diversa da tutte quelle che l’avevano preceduta. Ovverossia una rivista che raccogliesse i fumetti comici a preferenza di quelli avventurosi, le strisce quotidiane con le loro iterazioni e le loro sovrapposizioni oltre alle tavole settimanali, e non lasciasse i fumetti soli, ma li accompagnasse con note, commenti, con testi di un nuovo modo di guardare al sottogenere, alla figurazione narrativa” ([12]).

 

Io aggiungo che non solo in Italia tempo dopo apparvero Eureka! e altri epigoni (come Sorry o Il mago) con diversi dosaggi di generi a fumetti, ma Linus in breve divenne un format esportabile (sebbene non credo esportato, bensì solo copiato) in Francia dove apparve nel 1969 Charlie.

 

E Franco Cavallone chi era, anche e allora?
Questo: “Lui lavora da notaio e i rogiti li traduce dopo averli redatti in inglese. Ha una finestra sul cortile e una stanza con vista sui quotidiani”, “è lui che ha scritto sul primo numero ‘Linus è un nome facile anche da dire’”, “memoria della cultura, […] taglio d’abito impeccabile, […] sigaretta MS”, “Lo potete anche incontrare a Leopoli (raramente), al Connaught (spesso), a New York, a Venice (California), a Helsinki, Göteborg, Uppsala, Leningrado, Dublino”, “È gentile, ride, sorride, ogni tanto si arrabbia. Il mio amico Franco è sovrumano. Alt. Non correggete queste bozze, voglio che sia lui a segnare gli errori” ([13]).
Questo: “Per il notaio Cavallone valeva quel che Benedetto Croce disse una volta di Raffaele Mattioli: ‘Questo Mattioli parla di molti libri e ne parla con senno. Non sarebbe una cosa straordinaria. Lo straordinario è che li ha letti’” ([14]).
Questo: che leggeva i libri ma li lasciava “[…] proprio nuovi, appena arrivati dalla tipografia, o dalla legatoria. Eppure, per quanto riguarda almeno i libri di narrativa, le biografia e i saggi critici, Franco li ha letti quasi tutti dalla prima all’ultima pagina. Il miracolo ha origini lontane: si narra di un Natale o di un compleanno remoto, allorché Franco, bambino, avendo trovato in un armadio certi libri di Sàlgari o Salgàri che la mamma si accingeva a regalargli, li aveva letti tutti velocemente di nascosto, nonostante che avessero, come allora usava,’le pagine da tagliare’. Dopo di che, li aveva ricollocati nell’armadio, fingendo poi doverosa sorpresa al momento del regalo” ([15]).
Ma forse soprattutto questo: “Ho provato a figurarmi la sceneggiatura di una giornata di lavoro nel mio studio di Milano, da affidare magari a Michel Moore per la realizzazione. […] Le gentili pendolari collaboratrici se ne vanno e il notaio resta solo a vagheggiare i contorni familiari delle figure di Asterix e Obelix mentre scorrono controluce nel tramonto sul paesaggio dell’Auvergne” ([16]), e questo: “[…] così l’incarico di tradurre Peanuts passò a me e continuai a svolgerlo per oltre dieci anni, per migliaia di strisce […]. Tutte diligentemente tradotte in ufficio e, finché l’ufficio non fu il mio, con gli originali appoggiati su un cassetto aperto, in basso, e il testo italiano sul piano della scrivania, steso su insospettabili fogli uso bollo” ([17]).

 
Questo post lo dedico a Mario Scognamiglio, mio zio, che per un caso (cinico, ma non colpevole e nemmeno inaspettato), non ho potuto avere come interlocutore oggi (leggasi mesi fa) quando ci saremmo incontrati e intellettualmente scontrati alla pari nella assoluta diversità di cultori della pagina stampata e a cui, tutt’altro che inter alia, avrei voluto parlare di Eduard Limonov.

 

 

                                                                                                                      Steg

 

 

 

© 2015 Steg E HTTP://STEG-SPEAKERSCORNER.BLOGSPOT.COM/, Milano, Italia.
Tutti i diritti riservati/All rights reserved. Nessuna parte – compreso il suo titolo – di questa opera e/o la medesima nella sua interezza può essere riprodotta e/od archiviata (anche su sistemi elettronici) per scopi privati e/o riprodotta e/od archiviata per il pubblico senza il preventivo ottenimento, in ciascun caso, dell’espresso consenso scritto dell’autore/degli autori.

 




[1] Oltre alla facoltà universitaria.
[2] Un personaggio a sé stante, anche se non lo ho mai conosciuto de visu.
Meriterebbe di più di questo: http://it.wikipedia.org/wiki/Giovanni_Gandini.
Nemmeno è bastevole la notizia di pagina 179 del suo libro, non fosse altro che per il fatto di essere necessariamente priva degli ultimi 16 anni della sua vita.
Egli aveva aperto dopo aver abbandonato Milano Libri (e moglie) un negozietto proprio dietro il comando provinciale milanese dei carabinieri (e quindi vicinissimo alla sede del Corriere della Sera): splendida bottega, se non fosse che non sono mai riuscito a trovarla aperta, ove credo si nascondessero almeno: un gatto del Cheshire, un sarchiapone metropolitano, una copia del  Necronomicon manoscritta e l’elenco dei residenti in via Saterna.
Giovanni Gandini è come un testo letterario “perennemente in nota”, cioè un principale che gioca a marginale, questo è assolutamente evidente, uno al cui confronto Salinger (J.D.) risulta essere tacciabile di presenzialismo. A riprova di ciò, cito – in nota – quanto scrive dottamente Luca Boschi in un articolo un poco caotico (questo post lo è di più) pubblicato pare su un supplemento (on-line?) de Il Sole 24 Ore , tale Nova100, del 25 novembre 2012 (http://lucaboschi.nova100.ilsole24ore.com/2012/11/25/arriva-giovanni-gandini/): “Una volta gli amici di Exploit Comics, bella rivista di critica e informazione sul Fumetto alla quale di pregio di aver collaborato negli anni Ottanta, scrissero una lettera a Giovanni Gandini chiedendo di collaborare con la scrittura di un articolo sulla sua esperienza relativa alla creazione di Linus. Leonardo Gori e Sergio Lama mi mostrarono con mestizia la lettera inviata all’indirizzo della rivista da Milano. Purtroppo, Gandini era morto poco prima e il figlio, che firmava la comunicazione, si rammaricava di questo, mettendo a parte gli ‘scrittori amatoriali’ della situazione. Non era vero. Gandini era vivo e vegeto, non so nemmeno se avesse questo presunto figlio. Di fatto, la lettera l’aveva scritta lui per far circolare la voce, nel giro delle fanzine e delle prozine, che non voleva essere scocciato. Poco tempo dopo lo trovai al solito bar, orario aperitivo, in Via San Fermo, zona Solferino, dove aveva il suo negozietto di libri e affini attraverso il quale vendeva anche buona parte dell’archivio che era stato dalla sua Linus. Io stesso, con Ferruccio Giromini e Alfredo Castelli, comprai un po’ di quei materiali (libri, riviste americane rare, impianti, patinate), che ancora possiedo” (ho tolto i grassetti presenti in originale).
[3] Più semplice potrebbe essere recuperare
[4] Trovate questa parola in più dei miei post: essa ormai risulta desueta, non lo era sino a 40 anni fa, quando si guidavano automobili, indipendentemente dal genere maschile o femminile della parola.
[5] Per questo mi fa piacere essere il proprietario della copia di Storie non tanto regolari di Umberto Simonetta che fu di proprietà del Professor Alberto Candian (illustre processual-penalista), come dichiara il timbro della sua biblioteca che la accompagna.
[6] Quel testo gandiniano è riapparso sul web, lo riproduco qui: “Fumetti in città. Come vivrebbero i personaggi dei fumetti a Milano? Valentina di Guido Crepax è un’eccezione perché è nata in zona Magenta e la città la conosce almeno quanto Ornella Vanoni. Topolino e Minnie, nati nelle periferie americane degli Anni Trenta, prediligono sicuramente steccati da ‘Linea 3 avanza’ e aree incolte se ce n’è ancora. La loro casa potrebbe essere quel villino-cicala in piazzale Buonarroti dove Eriprando Visconti girò il suo primissimo film. Ma dove scende Gordon Flash? Qualcuno dice all’hotel Manin, secondo me in Prefettura, secondo altri in un attico del centro, ospite di Olcese. Linus, si sa, in ringhiera perché ogni mattina deve stendere la sua copertina. Mandrake con un semplice cenno della mano cambia residenza ogni giorno, dal Gallia al Plaza, dal Gran Hotel et de Milan, alla pensione Speranza di viale Padova. I fumetti sono un po’ tutti, i personaggi e il leggere, i divi odierni della Tv e i grandi attori del cinema. Jean Gabin è un attore che abbiamo amato ed è come averlo ogni sera su un giornalino. Chi non ricorda la canzone della Frehel in ‘Pepé le Moko’ prima che Gabin scenda i lunghi gradini della Casbah? ‘Où est-il mon moulin de la place Blanche, mon tabac, mon bistrot dans le coin…?’ Ma Gabin che gradini scende a Milano? Alla stazione di Porta Genova dove c’è il cavalcavia, ai Bastioni di Porta Venezia o Monte Merlo? Forse la scaletta del Ponte delle Gabelle. Non abbiamo su e giù nella nostra città, né fiumi color terra o azzurri che fanno le curve. Asterix e Obelix ci hanno lasciato dei canali che venivano dai campi verdi e uno l’hanno fatto rotondo per impedire alle macchine di oltrepassarlo. Barbarella si sarebbe fermata alle Sirenette e Tintin dai Carabinieri. Quando arriva Bobo so che va in Melzi d’Eril da Umberto Eco, e zio Paperone o da Cuccia o a Segrate. Copi viene a casa mia. Moebius in via Canonica per restare a due passi dal Monumentale, Biancaneve sulla Madonnina e i Sette Nani sulle guglie. Snoopy viene per parlare di magliette con i merli in via dei Giardini o per interessarsi di una nuova rivista che intende stampare direttamente sulle magliette. Cappuccetto Rosso non attraverserebbe mai i Boschetti verso sera per portare una bottiglia di Oltrepò Pavese alla nonnina che abita al 23 dell’Annunciata, mentre Arcibaldo lo vedo ogni mattina sulla gru della Questura. Gioca a Scala Cinquanta e va a mangiare alla Vecchia Pesa. Se Bonaventura ha perso il posto alla Commerciale per aver cambiato in contanti un foglio con su scritto “un milione”, in compenso ha avuto grande successo come stilista di pantaloni bianchi. Non c’è raduno degli Alpini che non veda tra i trentamila Cino e Franco, ma sono riunioni sporadiche che si tengono all’Arena e se uno li vede li riconosce subito non per la penna d’aquila ma per i calzoni corti”.
[7] Mi soffermo solo ora sul fatto che per i Milanesi - quelli che ammazzano al sabato, oppure solcavano nello stesso giorno della settimana le strade come filibustieri per librerie quando queste esistevano - la via non si è mai nominata anche con “Giuseppe”.
[8] Dopo le mie ripetute e metodiche incursioni, niente di meno, alla caverna di Alì Babà che fu la Libreria Il Sileno di Genova, presso cui ho avuto forse i più bei brividi da cacciatore di fumetti della mia vita e scoprii, da grande come non ero, Hugo Pratt nel suo massimo splendore di solista del fumetto.
[9] Trovate la riproduzione dell’invito a pagina 10 di Milano Libri 1962/2012.
[10] Reputo più attendibile Alessandri che di Wikipedia in punto.
[11] http://www.lfb.it/fff/fumetto/art/gandini_alessandri.htm. Incredibile quanto si trovi in rete, sapendo cercare. Di nuovo, ho eliminato i grassetti partendo dal testo originale e non da quello modificato reperibile altrove. Preciso che “Fulvia” è Fulvia Serra e “Cettina” è Cettina Novelli.
Io sono milanese, ma non ho mai detto “il Linus”
[12] Franco Cavallone, “Il notaio”, da Aa. Vv. (a cura di R. Stajano), La mia professione, Laterza, Roma-Bari, 1986; riprodotto anche in Il notaio Cavallone, cit. (da cui, pagine non numerate, lo ho tratto).
Ad uso dei giovani: sino alla legge 24 febbraio 1997, n. 27, prima di diventare avvocato occorreva praticare sei anni come “procuratore legale” (il che imponeva una serie di limitazioni e comportava anche un diverso tariffario), dopo – ovviamente – aver superato l’esame di stato relativo. Da detta riforma, chi supera l’esame è subito “avvocato”, 
[13] Giovanni Gandini, “Notaio Grand Cru”, in Caffè Milano, cit., pp. 97 e 98.
Ho corretto la grafia, erronea, di “Connought” (celeberrimo hotel di lusso londinese).
Incidentalmente, anche Gandini era laureato in Giurisprudenza alla Università degli Studi di Milano (meglio nota poi come “Statale” quando fu fondata l’Università Cattolica), facoltà dove aveva conosciuto l’amico.
[14] .Corrado Stajano, “Introduzione”, Il notaio Cavallone, cit., pagine non numerate.
Raffaele Mattioli fondò la Banca Commerciale Italiana e fu anche legionario a Fiume con Gabriele d’Annunzio.
[15] Bruno Cavallone, “Testimonianza” del 13 luglio 2005, idem.
[16] Franco Cavallone. Il testo è stato tratto da Il notaio Cavallone, cit., ma è del gennaio 2005: “Teneva una rubrica, Finestra sul cortile, sulla rivista del sindacato notai: FN FederNotizie” (Corrado Stajano, idem).
[17] “Il notaio”, cit.
Cioè redatto su quei particolari (per rigatura e margini) “fogli protocollo”, gli “uso bollo”, che sino a pochi anni fa ancora stavano, almeno, nelle borse di avvocati e notai.

Nessun commento:

Posta un commento