La versione meno comune della sovracoperta (invariato il volume) della prima edizione del 1971; poi ripubblicato in Italia come Aspettando Corto |
HUGO PRATT
Può darsi che
qualche lettore del blog pensi che io
non apprezzi Hugo Pratt.
Totalmente
sbagliato.
Però come capita
con tutti gli autori o gli interpreti particolarmente apprezzati, se non si
sconfina in una passione maniacale (nel senso deteriore del termine) ad un
certo punto si abbandona la linea della santificazione e si arriva alla critica
quando la critica occorre farla.
Sette anni fa
scrissi una sorta di presentazione per un volume collettaneo dedicato al
fumettista italiano più famoso nel mondo e chiesi di non scrivere a proposito di
uno dei suoi personaggi e/o serie più apprezzati, ma “degli indiani”.
Perché i
pellerossa prattiani, come certi suoi character
africani (quale Cush che non a caso è raffigurato in una tavola-tributo dedicatagli
da Tanino Liberatore con la testa mozzata di Corto Maltese infilzata su un
pezzo di legno), sono davvero unici.
Le ben note
“donne disegnate di Pratt” sono altra cosa, perché credo che il/la
lettore/lettrice siano affascinati da un tipo che cercano anche nella loro vita
reale; il che conferma indirettamente la sua capacità di creare delle figure
che travalicavano lo spazio delle tavole a fumetti.
Ma nonostante le
sue indubbie grandissime doti di artista, anche Hugo Pratt era fatto come tutti
gli esseri umani, e quello che si pensa comunemente sia il Pratt vero in realtà
è tanto vero quanto lo era Hemingway, per esemplificare.
Succede però che
la gente non sia poi così propensa a reggere l’impatto del mito visto senza
piedistallo, il che forse da solo spiega per quale motivo un bel libro (per chi
vuole leggere a proposito di un Hugo più Ugo che lo HP delle avventure di
Giuseppe Bergman) come Un romanzo
d’avventura di Alberto Ongaro potesse rimanere non ristampato per quasi 40
anni.
Un altro
tentativo, e lo dico positivamente, è il più recente Avec Hugo di sua figlia Silvina Pratt (pubblicato anche in Italia).
Forse qualcuno
si dispiacerà di queste righe, ma a me da più fastidio che la firma di Hugo
Pratt sia trattata come un marchio registrato (lo è), o che si sia proceduto al
revisionismo coloristico sostituendo quelli di Ann(e) Frognier con i colori di
Patrizia Zanotti (e altri).
Non necessito di
spiegazioni “in diritto” per la prima scelta e non ho bisogno di “saperne” per
la seconda, conosco bene i due argomenti.
Poi naturalmente
mi immergo nelle splendide pagine della prima (1972) edizione di Wheeling, oppure in certe stralunate narrazioni
di Le pulci penetranti, o sfoglio
qualche numero dei primi 20 (che sono 19) de Il Sgt. Kirk e ritrovo il “fumettaro”.
Quel fumettaro che
avevo scoperto quando ancora non era, per fortuna, un idolo delle masse di
lettori e a cui dissi, con discreta sfacciataggine incontrandolo a Lucca nel
1976: “credevo che lei fosse più alto”,
dopo avergli chiesto “Scusi Lei è Hugo
Pratt?” ed ottenendo come risposta “Sssi
fra le tante cose sono anche Hugo Pratt”. Mi fece il primo della mia piccola
serie di suoi autografi.
Era un bel personaggio
allora ([1])
il futuro Maestro di Malamocco.
Ah, a chi
interessa, questo è ciò che scrissi in quella introduzione (a cui ho corretto
un termine ripetuto):
‘WHEELING
Sono stato autorizzato a scrivere una introduzione piuttosto “libera”,
il che significa fatta di impressioni, piuttosto che di dettagli storici
(rinvenibili in altre sedi, prattiane e non data la natura della storia).
Anche Wheeling arriva in Italia con Ivaldi e
con modalità quasi regali: un lussuoso volume in formato orizzontale (di cui
esiste una tiratura – pare 187 copie – su carta, Fabriano, di maggior
grammatura: spiega l’editore per il semplice fatto che gli fu offerta a
condizioni molto vantaggiose una partita di quella carta) a riprova della
lungimiranza del Mecenate ligure cui moltissimo si deve per la diffusione di
Pratt.
Fra le pagine introduttive ricche di foto,
testi e soprattutto splendide tavole a colori prattiane - in cui ancora non c’è
quella perdita dei contorni e quindi di linee a pennino che caratterizzerà la
sua più matura produzione acquerellata - ci si smarrisce, quasi si trascura la
storia vera e propria, di ampio respiro come si addice alla narrativa
d’avventura, di quella frontiera sebbene un poco “spostata”: sia temporalmente
a ritroso sia geograficamente un poco più in alto, rispetto all’epopea western.
Col senno di poi, evidentemente, si può capire come Hugo Pratt si sia
in qualche modo fatto le ossa con questa saga, con personaggi ben definiti e
caratterizzati, seppure storici, prima di arrivare cinque anni dopo a quella
che resta la pietra angolare dell’intero edificio della sua opera: Una Ballata
del Mare Salato.
Entrambi i lavori hanno, peraltro, origini in qualche modo umili: la
letteratura d’evasione di stampo anglosassone di cui l’Autore mai si
vergognava, anzi si vantava: Zane Grey (e ovviamente Fenimore Cooper) oltre che
Passaggio a Nord Ovest di Kenneth Roberts per quel che qui importa.
Il “mio Wheeling” è quello, sebbene poi sia stato ampliato e
completato, molti anni dopo.
Lì si trova anche Hugo Pratt, che presta il proprio volto al rinnegato
Simon Girty e questo è un dettaglio curioso, perché nel
Credo che questa storia sia rimasta nel sangue al suo creatore per tanti
risvolti, non del tutto evidenti.
Non si spiegherebbe altrimenti il fatto che il secondo episodio ed
alcune tavole di raccordo siano state completate ad ogni costo, per apparire
nella edizione definitiva, in volume, di qualche mese postuma rispetto alla morte
del loro creatore.
Nella seconda parte, quella non argentina appunto, si trovano
pellerossa massoni in omaggio anche a questo lato della vita di Pratt, ma
secondo me a Pratt “piacevano davvero tanto gli indiani” delle pianure del
nord, sia nelle apparenze sia nei comportamenti.
Dal profilo a matita e biro magistralmente
schizzato su un foglio A4 con il numero di telefono di Bertieri in bella
evidenza (fu pubblicato in un portfolio poco noto) a quello splendido esempio
di cattiveria e di cinismo che è Jesuit Joe, con quella morale tutta sua come
era Hugo Pratt, anche lui in fondo glaciale nello sguardo e nei giudizi, quando
voleva.
Gli indiani, gli indiani … In fondo gli
unici soggetti capaci di rubare la scena a Corto Maltese nel cuore dei lettori,
mica poco, no?’
Steg
POST SCRIPTUM
(dieci anni
dopo)
Quando Pratt
decise di intitolare la sua biografia, optò per quel titolo davvero curioso: Le
pulci penetranti. A chi diceva qualcosa quel titolo?
Ebbene – e se
qualcuno già ha fatto questa ipotesi io non lo sapevo (o io non me ne ricordo):
Georges Simenon scrive uno dei racconti più godibili con protagonista il
Commissario Maigret nella primavera del 1946, il 2 maggio è la data formale,
con il titolo “Le client le
plus obstiné du monde” ([2]). Il personaggio Ernest Combarieu ha
sofferto in Africa (arriva dal Congo) di “pulci penetranti”.
Il Maestro di
Malamocco lesse quel racconto? Volle quindi omaggiare l’autore belga ma nessuno
se ne accorse?
Steg
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scritto dell’autore.
Chissà se qualcuno la ha conservata quella foto.
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