BRUCE
SPRINGSTEEN
E LA
SPOCCHIA DEL CRITICO MUSICALE
Non ricordo come mai, qualche anno fa
comprai (e pure a prezzo pieno) un libro di Alessandro Portelli intitolato Badlands,
sottotitolo Springsteen e l'America: il lavoro e i sogni ([1]).
L'ho ripreso (in effetti lo avevo sfogliato e nulla più)
in ragione del fatto che - come tutti i non appassionati di Bruce Springsteen
che hanno una discreta conoscenza musicale - faccio eccezione per Nebraska ([2])
e ho comprato una monografia dedicatagli da Warren Zanes: Deliver Me from
Nowhere ([3]) dello
scorso 2023 (non in edizione italiana ovviamente).
A parte il fatto che Portelli dedica al pivotale album
del 1982 solo righe sparse, mi par di sentire odore di vecchio e poco
informato.
Due esempi basteranno, anche perché non ho molta voglia
di spendere troppe righe per questo signore ultra ottantenne che sembra voglia
pensare di essere l'unico ad aver nel secondo dopoguerra (ricordo a me stesso
Mario Soldati “ante”) frequentato gli USA dopo Furio Colombo fra gli Italiani
della penna.
Esempio uno: compiaciuta meraviglia siccome Springsteen
dal vivo qualche volta esegue “Summertime Blues” di Eddie Cochran.
Beh The Who e Marc
Bolan ... Inter alia e senza scomodare ricerche sul web.
Per saltum di
canzone, ma sempre in argomento “rock (and roll oppure no?) e lavoro” citazione
di Portelli quasi schifata dei Suicide in riferimento alla loro canzone “Dream
Baby Dream” di cui esiste anche una cover di studio di Springsteen.
Ma forse una spiegazione, banale, c’è: Portelli non
inserisce nel lungo e dotto elenco di testi compulsati quello di Clinton Heylin
dedicato a Springsteen, del 2012 ([4]).
Ed ivi si menziona qualche frase da una intervista in cui Springsteen evoca “Frankie Teardrop”, ancora dei Suicide.
Come si dice: “so long Portelli”, anzi “goodbye”.
Steg
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[2] https://en.wikipedia.org/wiki/Nebraska_(album)
[3] Sottotitolato The Making of Bruce Springsteen’s Nebraska, edito da Crown negli USA.
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