MAIDA
VALE: un romanzo “rimuovibile”
(Bambaataa
series – 1)
Comincio con un
aspetto positivo: nasce, forse, questa nuova serie – che si riferisce a una
nota “canzone” di Africa Bambaataa: “Looking for the Perfect Beat” – per recensire
delusioni.
Nota lirica: non
uso il termine “rimuovibile” nel senso anglosassone e in particolare in
riferimento a una precisa canzone ([1]).
Premessa: il
libro di cui scriverò lo ho comprato (come peraltro per me è regola), quindi non
solo non ho vincoli, ma sono deluso che questo romanzo non mi sia proprio piaciuto:
il romanzo è Maida Vale di Michele Benedello ([2]).
Ho infilato fra
le pagine del volume i miei bravi listelli di carta per avere i riferimenti,
che però sono riferimenti a contrario rispetto al mio solito, poiché sono negativi.
Prima
considerazione: questo non è il primo romanzo pubblicato dell’autore, checché
se ne dica – per quale ragione, ormai, non mi interessa più – perché esiste già
Pimlico ([3]) ([4]).
Mi duole davvero
essere stato vanamente illuso da questa opera letteraria, perché in questi
semestri di Covid ho letto e riletto così tanto che anche solo nel calcolo
probabilistico ben circostanziato davo per probabile che le aspettative, almeno
quelle minime, di nuovo e piacevole sarebbero state rispettate e, magari, avrei
scritto una recensione positiva ([5]).
Tutta la narrazione
si regge su delle canzoni, di cui peraltro non sono mai citati compositori ed
autori, solo gli interpreti (almeno in un caso egli non è quello originale).
Un dato banalissimo:
in questa storia non c’è nemmeno un personaggio omosessuale o bisessuale o
pansessuale (espressione di Morrissey questa, mi pare. Si rinviene una lata
citazione mancuniana nel titolo della illustre prefazione al testo, ma a questo
punto sembra solo un prestito di parole).
Il fatto che ciò
salti all’occhio del lettore eterosessuale e non giovane quale sono io è peculiare.
La trama è molto
esile, e si anima solo negli ultimi capitoli.
È un romanzo
minimalista allora? Beh non siamo ai tempi del brat pack di Bret Easton Ellis
e Jay McInerney e l’espediente di non dare al protagonista un nome è anche (e
prima) nel romanzo d’esordio di quest’ultimo autore ([6]).
Tutto si risolve
in due realtà – quella del protagonista e quella degli altri – entrambe altrettanto
usuali (e perciò ben note), esse quindi ([7]) si
sarebbero valorizzate solamente in una loro grande “scrittura”, la quale qui non
si trova proprio.
Esiste, anche,
una sorta di idiosincrasia dell’autore per certi nomi femminili, i quali
vengono impiegati in accezione negativa: si tratta di amori finiti e name-dropping
di sfogo?
Una ultima annotazione,
a scanso di equivoci: nella saga salgariana Yanez De Gomera non muore (e
neanche Sandokan).
Steg
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pubblico senza il preventivo ottenimento, in ciascun caso, dell’espresso
consenso scritto dell’autore/degli autori.
[1] Che,
peraltro, mi è tornata in mente, ma in essa il termine è utilizzato per il
titolo in forma di iperbole pessimistica: “Removables” dei Manic Street Preachers.
[2] Dueville, Ronzani Editore,
2021.
[3] Non
posso in alcun modo garantire la accessibilità a questa stringa. Io, comunque,
non solo ho scaricato l’intero testo dell’opera, ma lo ho anche sistemato (dove
ho potuto) eliminando una discreta quantità di refusi più o meno evidenti.
https://www.accademiafelicita.it/life-culture/pimlico-un-romanzo/
Pare curioso appoggiarsi a
una organizzazione come questa quando si sbandierano durezza e purezza, ma si
sa, autore e protagonista non sempre coincidono.
[4] A
pagina 127 di Maida Vale c’è un ammiccamento o una confessione a ciò.
Il terzo – prossimo – romanzo
potrebbe intitolarsi Ruislip (che però si pronuncia, circa, “railip”)?
[5] Peraltro, “the true critic is unfair, insincere, and not rational”
(Oscar Wilde, The Critic as Artist).
[6] Senza
scomodare i ben più celebri casi di Alessandro Manzoni o Chuck Palahniuk, ex
multis.
[7]
Sebbene il diritto d’autore tuteli la forma e non l’idea in sé.
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