EMILIO SALGARI: alcuni pensieri
Continuo a
pensare Emilio Sàlgari, ma ormai sempre dico e scrivo Emilio Salgàri, ritenuta
pronuncia corretta poiché il cognome deriverebbe da “salgàr”, un salice in
dialetto veneto (veronese?).
Un uno-due
crudele fa sì che il centenario della morte nel 2011 (con un francobollo di cui
nessun estraneo si è accorto) pare abbia assorbito i 150 della sua nascita nel
2012.
Il culto
salgariano è l’opposto di ogni altro ([1]): ci
si ritrova dentro per caso, nessuno fa resistenza al tuo ingresso.
I salgariani
sono sempre visti come uno sparuto gruppo di vecchi rimbecilliti, afflitti da
patologie cattive come il Parkinson o lo Alzheimer.
Non è proprio
così.
Probabilmente
non c’è scelta.
Salgari è una
cosa di famiglia: se Stefano “Stephen Gunn” Di Marino rammenta le protettive
prassi censoree materne rispetto a Jolanda
La figlia del Corsaro Nero ([2]),
anche io ho ricordi familiari.
Copie de Le tigri di Mompracem e de Il Corsaro Nero in una edizione con
copertine sgargiantissime ma senza illustrazioni interne dell’editore Lucchi mi
furono regalate da mio padre in una bella serata estiva milanese: era già buio,
eravamo al ristorante Al Ceppo dal Signor Attilio ([3]), ma
la bancarella era ancora aperta in quello slargo all’inizio di Via Soresina,
traversa di Corso Vercelli a Milano, e probabilmente tardava ad arrivare il
secondo piatto.
Finivano gli
anni sessanta e io neanche decenne già respiravo la nostalgia per la Milano di Giorgio
Scerbanenco d’estate, calda e quasi metafisica in certi angoli (non solo
umidamente fredda e nebbiosa d’inverno).
Più di un quarto
di secolo dopo il testimone passava, e io portavo in clinica a mio padre delle
copie de Il Re del mare ([4]) e di
qualche altro romanzo del Maestro veronese vecchie di decenni e comprate dal
libraio antiquario Malavasi.
Ho sempre
preferito Yanez a Sandokan.
Mi ha educato
più l’ultima pagina de Il Corsaro Nero che il politicamente corretto femminista
e di sinistra che non va da nessuna parte.
Gli eroi
salgariani hanno un coefficiente di imperfezione che li rende precursori dei
super eroi della Marvel targata Stan Lee.
In questo sono
molto moderni.
Salgari, come
tutti i grandissimi, viene “tirato per la giacchetta” da ogni lato.
Fatico a vedere
il lato rivoluzionario di un devoto suddito di Casa Savoia come lui era.
Certi studi
recenti hanno dimostrato che – oggettivamente – gli editori non lo affamavano.
Salgari è
semplicemente solo, come Friedrich Nietzsche che a Torino parla con un cavallo.
Fuori dal coro
si vive male e lui visse male.
Non ha neanche
senso inserirlo fra gli Artisti suicidi poiché non si possono classificare i
suicidi: si possono solo, spesso, trovare non banali i suicidi, ma cosa
potrebbe legare Robert Malaval ([5]) e
Hunter S. Thompson?
Un discorso
lineare su Salgari non lo credo possibile al di fuori delle sue opere.
Però dei “pensieri
da Salgari” possono essere la fonte di riflessioni o di una memoria altrimenti
orfane di spunti o peggio mai nate.
Steg
Tutti i diritti riservati. Nessuna parte
di questa opera e/o la medesima nella sua interezza può essere riprodotta e/o
archiviata (anche su sistemi elettronici) per scopi privati e/o riprodotta e/o
archiviata per il pubblico senza il preventivo ottenimento, in ciascun caso,
dell’espresso consenso scritto dell’autore.
[1]
Pensate al Fight Club (non il libro, ma il club, appunto) di Chuck Palahniuk.
[2] Solo
chi non ha memoria - faticosa e in bianco e nero, non sostenuta dagli archivi
RAI: meno compensi a certi ospiti e più fondi per la preservazione del
patrimonio programmi scrivo - può considerare stupido il programma della TV dei
ragazzi Giovanna la nonna del Corsaro
Nero.
[3] Che,
burbero, per me era ancora un po’ “il Signor Artiglio”... come lo storpiavo
qualche anno prima.
[4] È il
solo titolo che ricordo a memoria.
[5] Un
pittore di cui prima o poi scriverò un post:
data di morte 8 oppure 9 agosto 1980. Dunque egli è, anche, nel “club dei morti
con data incerta” (non necessariamente suicidi), come Stefano Tamburini o Jean
Seberg.
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