ROCK N ROLL ANIMAL
Chiamate Furio Colombo !
Il fatto che io
provi un fastidio quasi fisico per lui ([1]) non
significa che io eviti di riconoscergli dei meriti.
Probabilmente si
tratta della sola persona in Italia in grado di scrivere un obituary soddisfacente di Lewis Allan Reed al di fuori
dei pochissimi reediani d’acciaio (chissà quel romano che ...) i quali non
frequentano i media tradizionali.
Quando morì
Nico, poca fu l’eco.
Io ero in
vacanza in Francia e con me avevo la prima edizione di Psychotic Reaction and Carburetor Dung di Lester
Bangs: i casi della vita.
E che dire della
morte di Sterling Morrison? Una riga.
Dunque, The Velvet
Underground sono finiti oggi, 27 ottobre 2013 ([2]).
Gli scenari non
esistono, esistono soltanto le prossime uscite e tutti quelli che corrono
tardivamente a comprare un CD o, tristezza, scaricare a pagamento una
registrazione senza tutto l’apparato visuale che è parte del tutto.
Ho scritto di
New York, dunque ho scritto anche di Lou Reed.
Ho scritto di
David Bowie, dunque ho scritto anche di Lou Reed.Ho già scritto anche di Lou Reed.
Lou e John
contro gli eredi di Andy Warhol: anche di quello ho scritto, con tristezza posto
che Drella aveva riunito i separati fondatori del cruciale quintetto (perché il primo album comunque comprende anche
Nico) contra hippy ([3]).
Per altre considerazioni,
lascio la pagina (in parentesi quadra un possibile titolo, mio, e mie precisazioni
per rendere il testo più chiaro) a Glezos (e per i più curiosi: cercatevi il
numero del marzo 2013 della rivista italiana Blow Up).
Steg
[FRA I TRE ACCORDI E L’ACCORDO SOLO]
L’ho
visto per la prima volta in carne ed ossa nel febbraio 1975, poco più che
bambino – il bambino ero io, mica lui. Un amico di famiglia quella sera al
Palalido di Milano era nel servizio d’ordine, e oggi penso al rischio di portarsi
dietro un infante infatuato dalla fama controversa di Lou Reed, sbarcato per la
prima volta nel Bel Paese. Erano i tempi di ‘Sally Can’t Dance’, su ‘Ciao 2001’ c’erano le pubblicità
dell’album e del tour italiano, ma lo conoscevano i proverbiali quattro gatti.
Chi oggi snocciola rosari, quelli che da oggi sono Vedovi Reed, dopo essere
stati Vedovi Di Chiunque, all’epoca erano molto presi da tutt’altro, tra una
barba una boccetta di patchouli e la loro brava stecchetta d’incenso condita da
un “fumante tè indiano” (se mi leggi sto parlando di te, caro mio, ho ancora il
tuo nome insieme a tutti gli altri ben stampati in testa).
Chi
conosceva Lou Reed? Alcuni, pochi, nessuno. Un bel po’ di tempo fa Sergio
Messina mi parlava dei viaggi mentali (e a volte non solo mentali) che in quel
di Roma ci si faceva solo guardando la copertina degli LP dei Velvet
Underground, magari concentrandosi bene su Nico. Quando venni a sapere
particolari e aneddoti sulla bionda tedesca musa di tanti (fonte: l’Equipe 84
del periodo romano, 1964-65, con lei che si era invaghita di un membro del
gruppo) il mito si autoregolò a scartamento ridotto. Ma su di lui, Lou Reed,
beh, la partita era di quelle sospese per nebbia.
Come
andò quella sera al Palalido fu immediatamente leggenda, per niente
metropolitana. Branduardi e String Driven Thing come support acts, gli
‘autonomi’ che strappano i cavi a questi ultimi (la band del futuro Van Der
Graaf Graham Smith, sopravvalutatissimo violinista dal sound che più
nevrastenico non si può). E poi arriva Lou Reed, che riesce anche a suonare
qualcosa tra cui ‘Heroin’, mentre gli slogan del gruppo nel secondo anello
vanno avanti imperterriti e lui li fa inquadrare con un faro e dice qualcosa
del tipo “Choose between those motherfuckers and me”, e se ne va. Io lì in
prima fila che non capisco cosa cazzo succede, il gruppo di contestatori scende
sotto, sale sul palco e inizia un delirio al microfono con highlights
rappresentati da parole come “musica gratis” - “ambiguità politica” - “lotta
contro questo e quello”. Il mio amico del servizio d’ordine mi prende per il
collo e mi trascina negli spogliatoi del Palalido, e da una porta metà aperta
si vede lui che singhiozza abbracciato dal suo uomo/donna dell’epoca (“Oh, hai
visto? Sta veramente con un travestito!!!”). Se ne lessero di ogni, dopo una
commediola all’italiana in tutto e per tutto. Il fatto che i contestatori
gravitassero attorno a Stampa Alternativa di Marcello Baraghini, beh, era quasi
esilarante. Famosa la dichiarazione di una supposta (di nome e di fatto)
attivista che sbottò nell’ indimenticabile “Faccio la militante tutto il
giorno, ho diritto anch’io a un po’ di relax!!!”. Such a perfect day.
Ah
sì. Lui, quello di Patty Pravo, ‘I giardini di Kensington’, sì sì, adesso
ricordo. Recensioni degli album post-Velvet, nessuno li compra. Dopo le
date-disastro di quel tour italiano (ne erano annunciate altre, alcune non si
tennero, altre non ebbero nemmeno inizio) la solfa resta identica. Non se lo
fuma nessuno. Poi il punk, e qui Lou Reed cambia pelle o meglio gliela fanno
cambiare, dal momento che improvvisamente torna comodissimo per far dire ai
Piergiuseppe Caporale & compagnia “Eh, ma vuoi mettere con Lou Reed”.
Quindi, tutti in coda dal Precursore, il Primo Punk, quello di Warhol, noi che
lo seguiamo dagli inizi. Negli USA [“]i[”] John Holmstrom ([i quali] sanno
benissimo chi è, loro scrivevano su ‘Punk’, mica su ‘Ciao 2001’ ) lo intervistano per
metterlo in mutande. Lui ovviamente non ci casca, risponde per le rime e
diventa da pre-eroe a post-stronzo. Qualche anno dopo, anche lì scatta la
sindrome da allegato letterario del New York Times: lui pre-questo,
pre-quell’altro e soprattutto Vera Anima Della Grande Mela. Che a lui piacesse
pensare di essere il verme, in quella mela, questo sembra non avere sfiorato la
mente di nessuno. In mezzo, i pochissimi che sotto tutte le latitudini fin dai
primi giorni solisti hanno umilmente comprato i suoi dischi in assoluto
silenzio, facendo sacrifici orrendi per averli, e ai quali lui ha fatto
compagnia mentre crescere si rivelava quella cosa descritta nelle ‘Liaisons
Dangereuses’, “la vita non è quello che pensavamo noi”.
Non
era quello che pensava neanche lui, e quello che resta – la sua musica, almeno
fino a ‘Metal Machine Music’ – lo dice sempre. Quello che è venuto dopo è
conversazione da tabaccheria, a metà strada tra ‘Smoke’ e ‘Blue In The Face’.
Nemmeno l’ingloriosa passerella da malato coi Metallica da Fazio conta
qualcosa. E soprattutto non ci dice niente, se non che quello che sostiene
Lemmy [dei Mötorhead]
(“Se tuo padre è uno stronzo e muore, è uno stronzo morto”) non vale per Lou
Reed.
Sempre
che John Holmstrom sia d’accordo, adesso.
Glezos
POST
SCRIPTUM
Provo
discreto fastidio per tutti quelli che hanno dichiarato che adesso è “finito
tutto”.
Avete
visto la foto del 2011 di Morrissey con Lou Reed? Reed ha già un’espressione
persa, debole, irreversibile.Soltanto persone come John Cale o David Bowie possono dichiarare quello che hanno dichiarato.
Posto,
però, che nessuno ha in tasca la verità, vi suggerisco di cercare “People Who
Died” di Jim Carroll (ne esiste anche una versione di John Cale, come ho
scoperto nel blog di una rivista
finanziaria!). Jim Carroll è morto già da anni, con poche parole spese in sua memoria.
Steg
©
2013 Glezos, Milano, Italia.
©
2013 Steg, Milano, Italia.
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pubblico senza il preventivo ottenimento, in ciascun caso, dell’espresso
consenso scritto del rispettivo autore.
[1] Come
per tutti i genuflessi alla Famiglia Agnelli.
[2] Nello
stesso giorno morì, nel 1990, Ugo Tognazzi.
[3] Che “un”
Pigpen fosse disperato non toglie alcunché alla immagine scanzonata di Haight
Ashbury.
secondo me ha fatto altre buone cose dopo metal machine music (magari più come singoli pezzi che come album veri e propri). per il resto ti do ragione. non è finito nulla, non adesso. adesso sta ricominciando.
RispondiEliminaps. bello il suggerimento di jim carroll.