"Champagne for my real friends. Real pain for my sham friends" (used as early as 1860 in the book The Perfect Gentleman. Famously used by painter Francis Bacon)



giovedì 13 settembre 2012

LEONARDO “LEOPARDO” RE CECCONI (il Fangio dei D.J. radiofonici)


LEONARDO “LEOPARDO” RE CECCONI
(il Fangio dei D.J. radiofonici)

 

Se come scrive David Bowie il disc jockey è ciò che suona ([1]), allora credo che non poca e sempre crescente sia la frustrazione nelle radio da diversi (troppi) anni.
I D.J. ormai sono diventati tutti (o quasi?) conduttori, e possono quindi ritrovare la loro vera identità solamente se la loro professione la svolgono nei locali pubblici.

 

La figura del disc jockey (letteralmente fantino del disco) ha avuto alti e bassi ([2]) e probabilmente oggi ([3]) salvo per coloro che davvero amano la musica (penso ai club tematici che poi rischiano di ridursi a “recinti culturali”) in Italia essa non è molto considerata; sarà mia opinione personale, ma Bob Sinclair o David Guetta non possono essere paragonati a Carl Craig (tanto per fare il primo nome che mi viene in mente).
Va un po’ meglio all’estero, ed infatti le stelle dei piatti sono quasi sempre degli stranieri (indipendentemente dalla loro qualità).

 

Bene, e allora?
Allora in Italia la radio in FM (non è mai stata MF, anche se per esteso tutti parlavano di modulazione di frequenza) dal 1975 è stata una rivoluzione culturale di non poco conto: oso dire che prima di Internet essa ha sconvolto, in meglio, la vita di molti, soprattutto di teen-ager e giovani in genere.
Un’esplosione sonora che comincia dal nord e che, a parte emittenti di cui nessuno ricorda mai il nome ([4]), è legata a Radio Milano International, con studi e uffici in Via Locatelli ([5]), in poco tempo dotata anche di nickname: “Oneoone” dai 101 (circa) megahertz su cui trasmette(va).

 

La radio è fatta dai suoi disc jockey, che fra gli scaffali dell’archivio cercano cosa “mettere e passare” durante le loro trasmissioni e con il pacco di vinile sottobraccio – quasi tutti 12”, ma anche qualche 7” ([6]) – vanno in studio ([7]).
Non voglio farvi una storia di Oneoone, bensì farvi capire come funzionavano le cose.

 

Fra le grandi voci dei centouno, il gigante (dal 1977) fu sempre e solo una figura più pallida di un coccodrillo albino newyorkese e magra quanto quei rettili leggendari: Leonardo Re Cecconi, a tutti noto come Leopardo e che aveva come personal jingle ovviamente un ruggito. Senza dimenticare il doppio fischio seguito da un “ragazzi!” che lo accompagnava nei suoi intercalare ([8]).

 

A parte il fatto che lui era già incredibile quando trasmetteva il soul, fosse esso di plastica (cioè la disco) o genuino, Leopardo faceva il crossover tentando di allargare i gusti degli ascoltatori.
Ecco che quindi che riesce ad entrare in classifica d’ascolto ([9]) una canzone come “Trans Europe Express” (“Europa” nella versione tedesca) dei Kraftwerk.
Nel 1979-80 fa ben di più: il titolo della trasmissione, pomeridiana, non cambia, ma dentro si permette di inserire “A Forest” di The Cure e anche i Joy Division e, non meno significativo, “A Love Supreme” di John Coltrane.
Nei suoi racconti per gli ascoltatori ci sono anche quelli su WBLS (“In a class by itself”, lo slogan) ovvero la stazione radio più nera di New York City all’epoca.

 

Ecco con Leopardo non si perdeva un minuto, perché tutta la sua trasmissione era uno show.

 

D’accordo, ma che c’entra Fangio?
Juan Manuel Fangio è stato uno dei rari fuoriclasse dell’automobilismo sportivo ([10]) con una peculiarità: era poco “fedele” alle case per cui correva.
Cosi anche Leopardo a un certo punto lascia per la concorrenza e passa a Studio 105: come dire Rivera che passa all’Inter …
 
 
 
Tornerà “a casa” qualche anno dopo, ma ormai è incostante ([11]) e – forse – anche noi non ascoltiamo più la radio come facevamo da ragazzi.
Del resto “le radio” non sono più le stesse, come ho premesso: cominciano ad apparire strane figure di “tecnici” e “responsabili della programmazione”: ovvero il D.J. non va più in archivio a prendere i dischi (o i CD), il D.J. non mette più i dischi sul piatto e i CD sul lettore, il D.J. non abbassa più la testina del braccio e non schiaccia il bottone del laser; da qualche anno ce ne sono anche, di questi che sono solo speaker (cioè letteralmente “parlatori”) che dicono ciò che gli hanno scritto: che tristezza!
 

Leopardo muore di cancro il 22 gennaio 2004, un po’ più che cinquantenne ([12]). Più che la fine di uno stile, sembra la fine di un’epoca intera.



E del ruggente ex studente alla Facoltà d’architettura, leggenda vuole scoperto da Cecchetto, oggi rimane solo qualche “file audio” faticosamente rintracciabile in Internet e delle foto. Un po’ poco, come se non si riuscisse a realizzare una bella compilation, magari un doppio CD, dove far vivere le due sue anime ruggenti: quella più popolare e quella dell’educatore alla buona musica, ovviamente intervallando il tutto con la sua voce.

 

 

                                                                                                                        Steg


 

 
POST SCRIPTUM

Nel novembre 2013 ho trovato, non su You Tube, questa gemma audio: https://soundcloud.com/paoloonline/leopardo-21-11-1979-radio-milano-international . Qui si ruggisce davvero!
 
 


                                                                                                                      Steg

 


 

 

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[1]I am a d.j./I am what I play” (David Bowie, “D.J.” contenuta nell’album Lodger).
[2] Considerate quanto è scritto nell’ottimo blog bowiano Pushing Ahead of the Dame intorno a questa canzone e a questo professionista: http://bowiesongs.wordpress.com/category/lodger-1979/.
[3] Per lo ieri prossimo vi rimando al mio post “Out in Clubland Having Fun”.
[4] Un po’ come quei marchi che non superano l’ambito locale, appunto; ma non per questo sono sinonimo di raffinatezza.
[5] Una brevissima strada traversa di quella Via Vittor Pisani dove vengono girati tanti filmati pubblicitari perché probabilmente è l’unica strada italiana a sembrare … non italiana. Del resto amatori e detrattori dicevano che RMI era la radio più americana d’Italia.
Oggi la sede è altrove, e la radio ha anche cambiato nome.
[6] Ovviamente allora si parlava di disco mix, LP e 45 giri.
[7] Grandi arrabbiature quando qualcuno non ha rimesso a posto i dischi.
[8] Ad esempio era uso dire “questi non portano certo scarpette da ballo” (cito verbatim) per annunciare i Van Halen (se ben ricordo).
[9] La trasmissione del sabato diventava “Soul Train Disco Dance” da “Soul Train” che era nei cinque giorni precedenti. Il titolo era un omaggio ad un classico del Philly Sound.
[10] Chiamiamolo Formula Uno per comodità, ma c’erano anche altre corse, come la Carrera Panamericana o la sempiterna 500 miglia di Indianapolis.
[11] Cosciente delle proprie capacità da tempo tende a preferire il “miglior offerente”. È un dato di fatto: del resto la sua presenza è in grado di rendere popolare anche una discoteca.
[12] Verosimilmente la data di nascita corretta è 1 settembre 1953 (e non 1954 come scritto in qualche suo profilo).

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