Una banale indagine sui marchi riferibili ai giocattoli oggi in circolazione evidenzierebbe una situazione di oligopolio che rincretinisce i minori di dodici anni.
Bambino e ragazzino io, a parte il delizioso dualismo Corgi Toys-Dinky Toys – in cui si inseriva la Politoys – per le automobiline, si impazziva per il G.I. Joe della Hasbro, poi c’erano le armi giocattolo (so-called …) dell’Edison: sulla serie “matic” ci siamo fatti le ossa ma probabilmente il fucile Bengala (pesantissimo) avrebbe potuto sparare davvero, i soldatini della Britains Ltd. bellissimi!
Per dirvi che ci hanno ucciso i sogni, occorreva spiegare i nostri sogni (molto parzialmente ([1])).
Circa una quindicina di anni fa chiusero a Milano il negozio “Noè” (proprio come l’arca ma era il cognome dei proprietari): lutto più cupo dell’ala di un corvo reale in una notte senza luna alla Tower Of London: basta giocattoli, al loro posto vetri di Murano in galleria di Via Manzoni.
Oggi leggo che Murano è in crisi: posso essere solidale con i soffiatori, meno con i loro datori di lavoro che hanno distrutto i sogni dei bambini e dei ragazzi perduti.
Su toni meno poetici è Arturo Pèrez-Reverte (scrittore spagnolo di successo) dalle colonne de La Lettura dell’8 gennaio 2012 a supplemento del Corriere della Sera. Dovete leggerlo e condividerlo.
Infatti, la sostanza del suo articolo non credo sia dissimile da quella da me appena esposta: quella dei giocattoli è un’economia più reale di quella dei soprammobili di vetro soffiato.
Oggi i negozi non cambiano più classe merceologica: chiudono.
I ristoranti chiudono perché si chiamano osterie, ma il menù dichiara 14 Euro per una zuppa di cipolle: una volta in trattoria ci trovavi il professore scapolo e l’artista o il giornalista spiantato (come da La vita agra di Luciano Bianciardi; era semplicemente il quartiere di Brera a Milano).
E a Ibiza ci vanno quasi tutti, a vomitare e a far finta di ... (si veda ancora Pèrez-Reverte).
Non ci sono colpe specifiche, solamente un’incapacità di credere che la produzione di ricchezza e di richiesta di superfluo potesse prima rallentare, poi fermarsi, poi addirittura diminuire. Le vacche magre sembravano abolite.
Eppure, eppure moltissimi – come gli stolti uccelli dodo del primo film della saga de L’era glaciale – corrono ancora ignari verso l’abisso pensando che la crisi non li tangerà nemmeno.
Stolti, ripeto.
Ma chissà con cosa giocavano loro ([2]), o meglio chissà se gli è chiaro quale fosse il significato esistenziale di quei giochi.
Steg
© 2012 Steg, Milano, Italia.
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[1] Non ho citato né il trenino elettrico, né l’autopista, né il Meccano.
[2] Lascio alle bambine di ieri disquisire sui loro giocattoli, seri almeno come i nostri evidentemente.
È compito dei pazienti lettori di questo blog disquisire e lamentarsi rispetto alla mia cattiva abitudine di uccidere certi finali con una footnote che non permette di presagire nulla di definitivo.
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