(Ovvero: a “cheap holiday in other people’s misery” and in your own too) ([1])
Premetto che chi desidera una descrizione di come erano le crociere vere, uniche degne di tale nome, deve leggere quanto scritto su Il Foglio del 17 gennaio 2012 da Carlo Panella: “La banalità del mare”.
Il salmone affumicato finto e il caviale finto (entrambi con pesci allevati), lo champagne finto anche se la denominazione è vera (perché realizzato sempre più lontano dalle zone originarie). Solo tre esempi.
A un certo punto, diciamo inizio degli anni ‘80 del secolo scorso, con la scalata sociale che permette l’acquisto della pelliccia di visone (o tale dichiarata) anche nelle famiglie di operai, tutti vogliono tutto, ma non infrangendo le vetrine dei negozi e rubando le merci (il cosiddetto “esproprio proletario”) bensì diligentemente comprando ciò che forse non tutti possono permettersi perché scarso (non si tratta di sinonimo di costoso).
Ed ecco che allora comincia a strisciare il “finto”, se possibile non dichiarato tale, lusso per tutti.
I viaggi in aereo cominciano a farsi sempre più scomodi, si fanno sempre più rari i casi di un posto libero a fianco del proprio.
E gli alberghi? Anch’essi devono essere completi. Mai più una sorpresa (la bella camera non arriva perché se due camere sono diverse per dimensioni, quella di 1,50 metri quadrati in più diventa junior suite…), perché la tua stanza viene decisa con sempre più ampio anticipo.
I villaggi vacanze perdono la prerogativa francofona e cosi, pian piano, tutto viene appiattito in una capsula nazional-popolare che banalizza ogni località esotica dove la vacanza deve essere “come in Italia”. I turisti alle Maldive, o nel Mar Rosso, trascorrono la villeggiatura come in riviera in Romagna, ma inquinano di più.
Sintesi massima: le lasagne mangiate in Kenia, tutto compreso.
Sicché anche le navi diventano condomini con sala giochi e parco semi-sportivo, il mare un “incidente” (quindi si fa finta che non ci sia, una sorta di fondamenta liquide per un albergo) e l’escursione a terra non dista molto da calli e canali veneziani ricostruiti a Las Vegas ([2]).
Domanda: esiste ancora il mal di mare?
Tutti uguali.
Eppure tutti ancora disperati ad anelare per l’espresso e il quotidiano sportivo su carta non appena rientrati in Italia.
Villeggianti da macello, in fondo.
Squalificati e necessitanti sempre di personale che parli Italiano, le capacità e esperienza di quei lavoratori sono secondarie.
La cosa più vera rimane la morte, che strappa a una vita finta lo sfortunato turista di cui i mass media offrono un ricordo inevitabilmente mediocre e spesso sgranato (la foto realizzata con un telefono mobile?).
Mai più acquisti con grandi sconti di capi passati di moda, ma “firmati”, negli spacci che se chiamati outlet divengono belli e furbi per chi li visita come consumatore spesso bulimico (altre decine di chilometri di spostamenti, a inquinare); mai più svaghi sempre in gruppo, sempre vestiti a nuovo senza rendersi conto di sembrare come quei divani con il cellophane mai tolto di qualche lustro fa.
Ripeto la domanda: ma quella era vita vera?
Steg
© 2012 Steg, Milano, Italia.
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[1] Si veda “Holidays In The Sun” dei Sex Pistols per la citazione e la copertina del relativo singolo per l’essenza dell’argomento.
[2] Del resto, si pensi alla necessità di costruire una copia delle cuevas di Altamira, per evitare la distruzione di quello che si è preservato per 15.000, respirandoci su per 50 anni.
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