I
RAGAZZINI DELL’ELIPORTO DI MILANO
(ovvero
circa i miei anni alle elementari)
(Steg about
Steg Series - 2)
Fascia di anni:
circa 1964-1970 ([1]).
Steg Question: cosa c’entra l’eliporto?
Steg Answer: avevamo traslocato,
primavera 1964 mi pare, in questa via – Francesco Algarotti – cortissima nel
lato iniziale (il nostro): solo numeri pari, sul lato di fronte un vivaio-serra
di piante del “vecchio”, per noi, Signor Fumagalli.
Di fronte al
vivaio, attraversata la strada ([2]), un
distributore di benzina con autolavaggio e poi un terreno incolto più o meno attraversato
da lingue di asfalto che conduceva, in fondo in fondo, a Piazza Carbonari: l’ex
eliporto appunto che tutti chiamavano “eliporto”.
SQ: dunque?
SA: ero troppo piccolo per avere avuto amici stabili della vecchia zona (non molto distante da casa nuova in verità), credo che ci sia stata una sorta di “limbo” di amicizie nell’ultimo anno di asilo, ma cominciai a conoscerei miei coetanei o quasi intorno a casa.
E alla fine si
andava a giocare all’eliporto quasi sempre, attraversando la strada da soli,
noi seienni. In breve con le biciclette divenne punto di ritrovo anche per “andare
a fare un giro”.
SQ: gli amici e
compagni di gioco?
SA: beh il vivaio in qualche modo divideva due mondi che si incontravano a scuola (probabilmente i
mondi erano di più, ma per noi …), l’altro mondo era Via Paoli.
Quindi c’erano
gli amici dell’isolato vero e proprio: Massimo, Roberto, il giovanissimo Gigi
(e le sue sorelle maggiori Iole, Susanna e Silvia ([3])).
Poi “quelli di Via Paoli” perché qualcuno di loro era nella stessa mia classe:
Franco B. con fratello maggiore (e un cocker fra i primi che vidi), Ettore B.
la cui mamma era stata compagna di scuola della mia, il famoso “il Pxxxdi” ([4]) autentico
portavoce della piromania dei sottodecenni (fra cui militavamo direi noi tutti) e
il suo alcool denaturato per bruciare l’erba verde dei praticelli dei giardini
condominiali.
Poi c’erano gli
amici “sganciati” frequentati più o meno saltuariamente, figli di amici dei miei
genitori: i fissi erano Marco, Gigi (e il piccolo Peppo) che per un po’
abitarono nello stesso palazzo poi si trasferirono fuori zona.
Come già ho
scritto con felice sintesi: “gli amici sono eterogenei, una vera diagonale
sociale in cui nessuno invidia nessuno e la merenda si fa a casa di quello di cui
si è a casa”.
SQ: i fumetti?
SA: beh qui il
discorso si fa articolato.
In casa entrano
Topolino e altre pubblicazioni Disney-Mondadori, poi in modo sporadico di tutto
(forse un albo dei Classici Audacia, un albetto di Superman però chiamato Nembo Kid) e
proprio dal 1965, che è l’anno di svolta scolastico per me, Linus tutti i mesi.
Mi sarà sempre contestato
negli ultimi tre anni di “sezione B” alla scuola Galvani che non leggevo libri
e ciò penalizzava il mio Italiano scritto. La mia lentissima riscossa, totale,
partì con Il giornalino di Gian Burrasca.
SQ: poi c’è una
sorta di pagina milanese che non disdegni riprendere.
SA: è Diabolik.
Per quanto qui
rileva, scrissi anni fa in questa sede: “Le graziose gemelle le vedo a casa
loro: San Siro? Da qualche parte verso il 1970, io viaggio sui dieci anni
abbondanti, loro circa qualche mese meno ([5]). Casa con piscina.
“Pomeriggio,
telefilm della serie Flipper alla tv. Una loro nonna a badare su di noi, se ben
ricordo.
Giornata di
sole: qualche albo di Diabolik portato a bordo piscina. Le gemelle, ricordo
solo il nome di una di loro: Valeria, mi dicono – più o meno – che Diabolik si
può leggere più o meno tollerati dalla loro madre, ma Kriminal ... Quello
davvero è per i grandi.”.
Ecco, Diabolik
era l’unico fumetto “milanese”, Linus era una rivista quindi altro.
Poi quando passava davanti all'eliporto una Jaguar E-type noi appunto dicevamo: “guarda l’auto di Diabolik”; forse una volta ne passò una cabriolet ([6]).
SQ: e gli
adulti?
SA: per noi i “grandi”.
O erano i genitori degli amici, oppure strane figure incrociate al bar o,
ancora, al tavolo del poker casalingo della domenica. Due esempi.
L’Armando, un
giovanotto frequentante un bar-osteria a fianco dell’eliporto che mi aveva
preso a mascotte (mi è capitato spesso: ero trattato da persona, solo più
giovane) e mi regalava i chewing-gum della Wrigley’s. Un giorno sentii la
canzone “L’Armando” cantata da Jannacci (dovevo essere sui quattro anni, però) e
finché non lo rividi fui un po’ preoccupato per la sua incolumità.
Un collega
giornalista di mio padre, non buon giocatore, che talvolta mi dava una mancetta portafortuna
(per lui) prima di cominciare il pokerino, se vinceva altra mancetta non
infrequentemente.
Poi la mamma
dell’Ettore B. che mi insegnò il poker alla fine di una festa di compleanno del
figlio.
SQ: il bar?
SA: altro anello
di congiunzione generazionale. Quello dei genitori di Roberto P. evidentemente
il più rilevante; ci andavo anche con papà a giocare a flipper prima di cena se
ero di nuovo a casa intorno alle sette di sera.
Noi Coca-cola in
bottiglia con la cannuccia, i grandi le loro cose: spruzzati, “camparini” in
sequenza, “dammi un baby” …
SQ: altri
negozi?
SA: di fianco al
bar dei P. c’è il cartolaio nella cui vetrina troviamo i modellini che ci fanno
sognare (oltre i terribili opuscoli per le ricerche scolastiche); qualche
isolato più giù in Via Pola quello di giocattoli dove sicuramente abbiamo comprato
una Aston Martin di 007, oppure un Yellow Submarine strano come quello del film
che non abbiamo visto (Missione
Goldfinger sì), con papà da Movo di Piazza Principessa Clotilde per i
soldatini.
I 45 giri si
comprano nel negozio di elettrodomestici che, già verso il 1968, vende anche le
prime MC7 “compilate” con i successi della Hit Parade (presentata da Lelio
Luttazzi) o di Bandiera Gialla (condotta da Renzo Arbore e Gianni Boncompagni),
due trasmissioni RAI perché le radio libere ancora non c’erano.
Terribili tagli
di capelli dal barbiere a fianco.
Ovviamente, il
centro di Milano era altra cosa: Noé e Nano Bleu erano i templi dei giocattoli;
il bar all’ultimo piano de La Rinascente oppure La Racchetta (in un futuro non
lontanissimo divenuto primo Burghy di Italia) dove si beveva anche il latte di
mandorle (versione chic della orzata).
SQ: spedizioni, vostre?
SA: tutte in bicicletta,
spesso senza meta. Siam sempre tornati a casa sani e salvi.
Pochissime botte
fra noi; frequenti graffiature e sbucciature di ginocchia, gomiti ed avambracci.
Precisazione: io
ero fuori da tutto quello che fosse calcio.
E nessun uomo
nero ci ha traumatizzato ([7]).
SQ: televisione?
SA: mi limito
allo stretto indispensabile.
O TV dei Ragazzi
(cui si aggiunse quella dei piccoli prima) e a dormire prima di Carosello, o TV
fino a Carosello, e sabato magari uno strappo all’orario. E dalla mia seconda
elementare in poi direi forse fino alle 22.00 licenza di video.
Ricordo quindi pezzi
di Maigret, Sherlock Holmes, La freccia nera (del primo e del terzo imperdibili
le sigle), il Giamburrasca diretto da Lina Wertmüller
… ricordo un temibile Paolo Stoppa … e per la televisione pomeridiana onore a
Sergio Tofano, Paolo Poli e a “I racconti del faro”, nonché a quel classico
perso che furono le serie di “Giovanna, la nonna del Corsaro Nero”.
SQ: film?
SA: dipendeva un
po’ da chi ti portava, direi (non essendo io uno da oratorio). Morta mia nonna
materna che io neanche arrivavo ai quattro anni e cinque mesi, western col
nonno paterno, ma Per un pugno di dollari visto con mia mamma come anche
Mary Poppins, “gli 007”, eccetera.
SA: direi che è
ora di andare.
Ma ribadisco un
altro concetto: siamo cresciuti non obesi, non storpi, non analfabeti di
ritorno, abbiamo fatto le nostre stupidate, abbiamo guardato la televisione e
letto più fumetti che libri, siamo cresciuti come siamo cresciuti.
Steg
ADDENDUM
SQ: cosa ti è tornato in mente?
SA: mah due simboli del decennio precedente (uno barthesiano, come noto
almeno a chi ha un serio interesse per i miti moderni) che però divennero
diciamo così visibili in Italia negli anni sessanta.
La macchina fotografica Rolleiflex che usavi inquadrando dall’alto e che
sembrava meno ostica.
E, soprattutto, la Citroën DS ([8]): credo
che ce ne siano state due in famiglia, se ben ricordo, la prima color bordeaux
e la seconda grigia: i viaggi erano divertenti e il sedile posteriore per me
solo (o quasi: qualche piccolo bagaglio) era una specie di regno; diciamo che “la
dea” non si capisce se non ci si ha viaggiato, poi scoprii un po’ più grande la
famosa storia ([9]) dell’attentato a DeGaulle.
Steg
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[2] Via Pola e Via Luigi Galvani senza soluzione di continuità.
[3] RIP per quest’ultima, deceduta qualche anno fa.
[4] Raro caso, per l’epoca, di nominato per cognome, ma degno di articolo determinativo alla milanese.
[5] Figlie della sorella di un’amica di famiglia, Nuccia, sorta di mia zia adottiva.
[6] Ma mi fermo qui, altrimenti mi metto a riprendere troppo di quanto già scritto a suo proposito però con cisiderazioni di me adulto.
[7] Ma forse il mio maestro di terza, quarta e quinta … Non si spinse mai oltre una soglia evidente, e piaceva alle nostre mamme, quindi chissà.
[8] Potete partire da qui: https://faminorehome.wordpress.com/2019/08/29/roland-barthes-la-bellezza-senza-tempo-della-citroen-ds/
[9] Si veda ad esempio: https://autologia.net/cinema-e-auto-la-ds-lo-sciacallo-ventura-maccione-e-brel/
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