"Champagne for my real friends. Real pain for my sham friends" (used as early as 1860 in the book The Perfect Gentleman. Famously used by painter Francis Bacon)



mercoledì 3 luglio 2019

I RAGAZZINI DELL’ELIPORTO DI MILANO (ovvero circa i miei anni alle elementari) (Steg about Steg Series - 2)


I RAGAZZINI DELL’ELIPORTO DI MILANO

(ovvero circa i miei anni alle elementari)

(Steg about Steg Series - 2)

 

Fascia di anni: circa 1964-1970 ([1]).

 

Steg Question: cosa c’entra l’eliporto?

Steg Answer: avevamo traslocato, primavera 1964 mi pare, in questa via – Francesco Algarotti – cortissima nel lato iniziale (il nostro): solo numeri pari, sul lato di fronte un vivaio-serra di piante del “vecchio”, per noi, Signor Fumagalli.

Di fronte al vivaio, attraversata la strada ([2]), un distributore di benzina con autolavaggio e poi un terreno incolto più o meno attraversato da lingue di asfalto che conduceva, in fondo in fondo, a Piazza Carbonari: l’ex eliporto appunto che tutti chiamavano “eliporto”.

 

SQ: dunque?

SA: ero troppo piccolo per avere avuto amici stabili della vecchia zona (non molto distante da casa nuova in verità), credo che ci sia stata una sorta di “limbo” di amicizie nell’ultimo anno di asilo, ma cominciai a conoscerei miei coetanei o quasi intorno a casa.

E alla fine si andava a giocare all’eliporto quasi sempre, attraversando la strada da soli, noi seienni. In breve con le biciclette divenne punto di ritrovo anche per “andare a fare un giro”.

 

SQ: gli amici e compagni di gioco?

SA: beh il vivaio in qualche modo divideva due mondi che si incontravano a scuola (probabilmente i mondi erano di più, ma per noi …), l’altro mondo era Via Paoli.

Quindi c’erano gli amici dell’isolato vero e proprio: Massimo, Roberto, il giovanissimo Gigi (e le sue sorelle maggiori Iole, Susanna e Silvia ([3])). Poi “quelli di Via Paoli” perché qualcuno di loro era nella stessa mia classe: Franco B. con fratello maggiore (e un cocker fra i primi che vidi), Ettore B. la cui mamma era stata compagna di scuola della mia, il famoso “il Pxxxdi” ([4]) autentico portavoce della piromania dei sottodecenni (fra cui militavamo direi noi tutti) e il suo alcool denaturato per bruciare l’erba verde dei praticelli dei giardini condominiali.

Poi c’erano gli amici “sganciati” frequentati più o meno saltuariamente, figli di amici dei miei genitori: i fissi erano Marco, Gigi (e il piccolo Peppo) che per un po’ abitarono nello stesso palazzo poi si trasferirono fuori zona.

Come già ho scritto con felice sintesi: “gli amici sono eterogenei, una vera diagonale sociale in cui nessuno invidia nessuno e la merenda si fa a casa di quello di cui si è a casa”.

 

SQ: i fumetti?

SA: beh qui il discorso si fa articolato.

In casa entrano Topolino e altre pubblicazioni Disney-Mondadori, poi in modo sporadico di tutto (forse un albo dei Classici Audacia, un albetto di Superman però chiamato Nembo Kid) e proprio dal 1965, che è l’anno di svolta scolastico per me, Linus tutti i mesi.

Mi sarà sempre contestato negli ultimi tre anni di “sezione B” alla scuola Galvani che non leggevo libri e ciò penalizzava il mio Italiano scritto. La mia lentissima riscossa, totale, partì con Il giornalino di Gian Burrasca.

 

SQ: poi c’è una sorta di pagina milanese che non disdegni riprendere.

SA: è Diabolik.

Per quanto qui rileva, scrissi anni fa in questa sede: “Le graziose gemelle le vedo a casa loro: San Siro? Da qualche parte verso il 1970, io viaggio sui dieci anni abbondanti, loro circa qualche mese meno ([5]). Casa con piscina.

Pomeriggio, telefilm della serie Flipper alla tv. Una loro nonna a badare su di noi, se ben ricordo.

Giornata di sole: qualche albo di Diabolik portato a bordo piscina. Le gemelle, ricordo solo il nome di una di loro: Valeria, mi dicono – più o meno – che Diabolik si può leggere più o meno tollerati dalla loro madre, ma Kriminal ... Quello davvero è per i grandi.”.

Ecco, Diabolik era l’unico fumetto “milanese”, Linus era una rivista quindi altro.

Poi quando passava davanti all'eliporto una Jaguar E-type noi appunto dicevamo: “guarda l’auto di Diabolik”; forse una volta ne passò una cabriolet ([6]).

 

SQ: e gli adulti?

SA: per noi i “grandi”. O erano i genitori degli amici, oppure strane figure incrociate al bar o, ancora, al tavolo del poker casalingo della domenica. Due esempi.

L’Armando, un giovanotto frequentante un bar-osteria a fianco dell’eliporto che mi aveva preso a mascotte (mi è capitato spesso: ero trattato da persona, solo più giovane) e mi regalava i chewing-gum della Wrigley’s. Un giorno sentii la canzone “L’Armando” cantata da Jannacci (dovevo essere sui quattro anni, però) e finché non lo rividi fui un po’ preoccupato per la sua incolumità.

Un collega giornalista di mio padre, non buon giocatore, che talvolta mi dava una mancetta portafortuna (per lui) prima di cominciare il pokerino, se vinceva altra mancetta non infrequentemente.

Poi la mamma dell’Ettore B. che mi insegnò il poker alla fine di una festa di compleanno del figlio.

 

SQ: il bar?

SA: altro anello di congiunzione generazionale. Quello dei genitori di Roberto P. evidentemente il più rilevante; ci andavo anche con papà a giocare a flipper prima di cena se ero di nuovo a casa intorno alle sette di sera.

Noi Coca-cola in bottiglia con la cannuccia, i grandi le loro cose: spruzzati, “camparini” in sequenza, “dammi un baby” …

 

SQ: altri negozi?

SA: di fianco al bar dei P. c’è il cartolaio nella cui vetrina troviamo i modellini che ci fanno sognare (oltre i terribili opuscoli per le ricerche scolastiche); qualche isolato più giù in Via Pola quello di giocattoli dove sicuramente abbiamo comprato una Aston Martin di 007, oppure un Yellow Submarine strano come quello del film che non abbiamo visto (Missione Goldfinger sì), con papà da Movo di Piazza Principessa Clotilde per i soldatini.

I 45 giri si comprano nel negozio di elettrodomestici che, già verso il 1968, vende anche le prime MC7 “compilate” con i successi della Hit Parade (presentata da Lelio Luttazzi) o di Bandiera Gialla (condotta da Renzo Arbore e Gianni Boncompagni), due trasmissioni RAI perché le radio libere ancora non c’erano.

Terribili tagli di capelli dal barbiere a fianco.

Ovviamente, il centro di Milano era altra cosa: Noé e Nano Bleu erano i templi dei giocattoli; il bar all’ultimo piano de La Rinascente oppure La Racchetta (in un futuro non lontanissimo divenuto primo Burghy di Italia) dove si beveva anche il latte di mandorle (versione chic della orzata).

 

SQ: spedizioni, vostre?

SA: tutte in bicicletta, spesso senza meta. Siam sempre tornati a casa sani e salvi.

Pochissime botte fra noi; frequenti graffiature e sbucciature di ginocchia, gomiti ed avambracci.

Precisazione: io ero fuori da tutto quello che fosse calcio.

E nessun uomo nero ci ha traumatizzato ([7]).

 

SQ: televisione?

SA: mi limito allo stretto indispensabile.

O TV dei Ragazzi (cui si aggiunse quella dei piccoli prima) e a dormire prima di Carosello, o TV fino a Carosello, e sabato magari uno strappo all’orario. E dalla mia seconda elementare in poi direi forse fino alle 22.00 licenza di video.

Ricordo quindi pezzi di Maigret, Sherlock Holmes, La freccia nera (del primo e del terzo imperdibili le sigle), il Giamburrasca diretto da Lina Wertmüller … ricordo un temibile Paolo Stoppa … e per la televisione pomeridiana onore a Sergio Tofano, Paolo Poli e a “I racconti del faro”, nonché a quel classico perso che furono le serie di “Giovanna, la nonna del Corsaro Nero”.

 

SQ: film?

SA: dipendeva un po’ da chi ti portava, direi (non essendo io uno da oratorio). Morta mia nonna materna che io neanche arrivavo ai quattro anni e cinque mesi, western col nonno paterno, ma Per un pugno di dollari visto con mia mamma come anche Mary Poppins, “gli 007”, eccetera.

 

SA: direi che è ora di andare.

Ma ribadisco un altro concetto: siamo cresciuti non obesi, non storpi, non analfabeti di ritorno, abbiamo fatto le nostre stupidate, abbiamo guardato la televisione e letto più fumetti che libri, siamo cresciuti come siamo cresciuti.

 

 

                                                                                                                      Steg

 

 

 

ADDENDUM

 

SQ: cosa ti è tornato in mente?

SA: mah due simboli del decennio precedente (uno barthesiano, come noto almeno a chi ha un serio interesse per i miti moderni) che però divennero diciamo così visibili in Italia negli anni sessanta.

La macchina fotografica Rolleiflex che usavi inquadrando dall’alto e che sembrava meno ostica.

E, soprattutto, la Citroën DS ([8]): credo che ce ne siano state due in famiglia, se ben ricordo, la prima color bordeaux e la seconda grigia: i viaggi erano divertenti e il sedile posteriore per me solo (o quasi: qualche piccolo bagaglio) era una specie di regno; diciamo che “la dea” non si capisce se non ci si ha viaggiato, poi scoprii un po’ più grande la famosa storia ([9]) dell’attentato a DeGaulle.

 

 

 

                                                                                                                      Steg

 

 

 

 

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[1] Alcuni materiali sono presi o ripresi dal post https://steg-speakerscorner.blogspot.com/2012/05/keith-moon-mi-ricorda-il-mio-amico-gigi.html e forse qualcosa da https://steg-speakerscorner.blogspot.com/2012/03/danger-diabolik-50-anni-febbraio-1987.html.
[2] Via Pola e Via Luigi Galvani senza soluzione di continuità.
[3] RIP per quest’ultima, deceduta qualche anno fa.
[4] Raro caso, per l’epoca, di nominato per cognome, ma degno di articolo determinativo alla milanese.
[5] Figlie della sorella di un’amica di famiglia, Nuccia, sorta di mia zia adottiva.
[6] Ma mi fermo qui, altrimenti mi metto a riprendere troppo di quanto già scritto a suo proposito però con cisiderazioni di me adulto.
[7] Ma forse il mio maestro di terza, quarta e quinta … Non si spinse mai oltre una soglia evidente, e piaceva alle nostre mamme, quindi chissà.
[8] Potete partire da qui: https://faminorehome.wordpress.com/2019/08/29/roland-barthes-la-bellezza-senza-tempo-della-citroen-ds/
[9] Si veda ad esempio: https://autologia.net/cinema-e-auto-la-ds-lo-sciacallo-ventura-maccione-e-brel/


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