L’ANGOLO
ACCADEMICO DI NEW YORK CITY
(Sketches
series – 21)
Per ragioni che
non rilevano in questa sede, mentre lavoravo alla mia tesi di laurea saltò
fuori l’ipotesi di tentare di frequentare un master negli USA. Oltre 30 anni
fa, esistevano solo master degni di tale nome, erano tutti o quasi all’estero,
il prestigio di quelli nordamericani era assolutamente massimo, anche se, per
prudenza, misi in elenco altresì la London School of Economics.
La rosa delle
università con cui tentare la lunga procedura dell’iscrizione era abbastanza
semplice: Ivy League, cioè la lega dell’edera ([1]), e
qualcosa d’altro (leggasi California), il tutto focalizzato sulle law schools. (le nostre facoltà di
giurisprudenza).
A memoria, il
primo anno (fresco di laurea) tentai con: Harvard, Yale, Columbia, Michigan,
UCLA e LSE; rimasi in equilibrio con la sola Columbia fino a luglio 1985, senza
successo. L’anno successivo, intanto ormai un poco più esperto anche delle
folli procedure di autenticazione documenti, dei corrieri transatlantici, delle
lettere di presentazione obbligatorie, ridussi il tutto a Harvard, Yale e
Columbia in cuor mio sperando di farcela e, magari, di poter scegliere e che nelle
alternative ci fosse la Columbia School Of Law, cioè New York con un campus
molto bello, a poche street da Harlem.
Conoscevo la
Columbia University e anche la New York University ([2]) in
quanto avevo frequentato le rispettive biblioteche di facoltà per ricerche
riguardanti la mia tesi nella primavera 1983.
Andò bene: la
Columbia mi accettò ad aprile, mentre Yale mi metteva in una sorta di pre-lista
di “ammissibili”: non c’era ragione per aspettare e, poi, in fondo, lì volevo
andare, quindi cominciarono le altre trafile: visto studentesco, garanzie
bancarie, eccetera.
Anche su questo argomento,
New York City non si scompone e i ragionamenti alla fine sono uguali per tutti
i newyorkesi di nascita o di adozione, prendo a prestito quelli di Jerome
Charyn, ebreo newyorkese, laureato alla Columbia: “Aveva frequentato per un anno la Harvard University, ma Cambridge nel
Massachusetts, doveva essergli sembrata una specie di Sahara. Lui aveva bisogno
di New York” ([3]) “Phipps volle fermarsi a New Haven a fare colazione. Holden rabbrividì,
quando vide le torri di Yale. Era come entrare in un paese straniero, un paese
dell’Inghilterra […]” ([4]).
Leggenda vuole
che il cognome del protagonista del romanzo sia stato scelto ispirandosi a
Holden Caulfield.
Se vi è venuta
voglia di New York, provate con Metropolis: New York as Myth, Marketplace
and Magical Land, pubblicato da Charyn nel 1986 e almeno edito due volte
anche in Italiano.
Steg
POST SCRIPTUM TARDIVO E DEDICATO
Estate 2022, caldo.
Ho “ripreso”
Suzanne Vega, che fu studentessa al Barnard College.
Magari prima o
poi un post solo per lei.
Per ora, posso consigliarvi un album
dal vivo: An Evening Of New York Songs And Stories.
Steg
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[1] Le otto università raggruppate sotto questo nome sono Brown University,
Columbia University, Cornell University, Dartmouth
College, Harvard University, the University of Pennsylvania, Princeton University, and Yale
University.
Cioè atenei ababstanza
antichi, per I parametri nordamericani, da avere edera che cresce sui loro
muri.
[2] Più giovane, più rampante
e più caratterizzata da una forte matrice ebraica fra studenti e “strutture”.
[3] J. CHARYN, Elsinore,
traduzione italiana (trad. L. Grimaldi): Milano, Interno Giallo Editore, I
edizione, 1992, p. 37.
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