"Champagne for my real friends. Real pain for my sham friends" (used as early as 1860 in the book The Perfect Gentleman. Famously used by painter Francis Bacon)



martedì 30 luglio 2013

PROOF FOOLED - SECONDA PARTE (concorrenza e salute: qualche considerazione)


PROOF FOOLED - SECONDA PARTE
(concorrenza e salute: qualche considerazione)

 

Un buon osservatorio quanto alle “guerre dei gradi” ([1]) sono i negozi duty free degli aeroporti, nello specifico quello di Heathrow, terminal 5.

 

Nell’attesa della partenza, in un momento di tendenziale oculatezza nelle spese, decido di acquistare anche ([2]) un litro di Gordon’s gin a 47,3°, un po’ in onore di come si beveva a 20 anni (o quello o Beefeater) un po’ perché quello è il distillato di ginepro che si beve in Calle Vallaresso (Venezia), ma appunto con il twist di 7,3 gradi in più del solito.
Invece no: perché mi costerebbe il doppio del prezzo esposto in quanto lo importo in Italia. Non capisco che differenza ci sia fra un CD e una bevanda alcoolica: se compro da Amazon UK un fonogramma il prezzo è uguale per tutta Europa ([3]). Con discreta pace della concorrenza (o si deve fare una guerra in diritto come accadde, appunto, per i fonogrammi molti anni fa?) ([4]).

 

Permane, poi, l’altro punctum dolens: l’allineamento a 47° e più dei gin.
Quindi il messaggio è solo quello che dice: siete voi solamente che dovete responsabilizzarvi nel bere ma in riferimento a bevande che voi scegliete più o meno ([5]), non molto potete scegliere.
“Il fumo uccide”, anche le armi, ma se sparo in poligono di regola non provoco danni letali; e quale è la linea di “responsabilità alcoolica”?

 

Naturalmente, comportatevi come volete, ma attenzione a cosa vorreste comprare, cosa effettivamente comprate, a che prezzo lo comprate, che uso ne potrete fare.

 

 

                                                                                                                      Steg

 

 

 

© 2013 Steg, Milano, Italia.
Tutti i diritti riservati/All rights reserved. Nessuna parte di questa opera – compreso il suo titolo – e/o la medesima nella sua interezza può essere riprodotta e/od archiviata (anche su sistemi elettronici) per scopi privati e/o riprodotta e/od archiviata per il pubblico senza il preventivo ottenimento, in ciascun caso, dell’espresso consenso scritto dell’autore.

 





[1] Rinvio al mio post “Proof fooled”.
[2] L’altra bottiglia è un quasi sconosciuto, per ora, Oxley gin: 47 gradi volumetrici.
Perché? Perché ormai il gin di base della mia marca preferita mi costa meno in una nota drogheria di Milano.)
[3] Non necessariamente è uguale su tutti i “siti” Amazon europei.
[4] Che dire, poi, di quel Gordon’s non comprato che su certi voli (quali) British Airways costerebbe il 35% meno del prezzo del duty free shop?
[5] Perché i 10 gin più venduti non hanno tutti due gamme: 40° e 47° gradi, disponibili ovunque per farci scegliere?

domenica 28 luglio 2013

A PROPOSITO DI DONNE E MISS E VELINE (ATTUALI O EX, ASPIRANTI INCLUSE)


A PROPOSITO DI DONNE E MISS E VELINE
(ATTUALI O EX, ASPIRANTI INCLUSE)

 

Il Presidente della Camera, Onorevole Laura Boldrini, ritiene, sicuramente in buona fede, che il non trasmettere l’edizione del 2013 di Miss Italia da parte della RAI sia una conquista per le donne.
Mi rendo conto che alle masse occorre parlare con una lingua semplificata, ma non troppo altrimenti anche c’è il rischio di banalizzarsi.
 

Faccio qualche nome: Marlene Dietrich, Betty/Bettie Page, Marilyn Monroe, aggiungo Martina Colombari siccome Miss Italia e siccome stufa del maschilismo di Alberto Tomba (che quindi lasciò) ([1]).
Che ne pensate miei lettori? Figure da rifuggire oppure da ammirare?
E che dire di quanto dichiarato dalle ex veline Maddalena Corvaglia e Elisabetta Canalis nel servizio di copertina di Sette del 12 luglio 2013?

 

Avevo una compagna di classe, S., al liceo, di fede politica fascista, la quale veniva regolarmente spintonata o peggio dai componenti dei “servizi d’ordine” extraparlamentari di sinistra in occasione di ogni sciopero e corteo.
S., alla fine, entrò nel collettivo femminista della scuola: le compagne (e “compagne”) la rispettavano, eppure gli ideali di S. erano diversi (e continuava ad essere malmenata).
E quale può essere il giudizio finale su Francesca Mambro: peggiore o migliore rispetto a certi “angeli del ciclostile” della sinistra extraparlamentare?
 

Ecco, mi pare che donne famose e donne coraggiose che hanno usato anche il proprio corpo (o che lo hanno subìto insieme al proprio cervello: sono inscindibili, ricordo a tutti) smentiscano certi luoghi comuni.

Mi torna in mente uno slogan femminista, ma probabilmente è femminile: “né puttane né madonne, ma solo donne”. Evitiamo, allora, di glorificare unicamente le “madonne laiche” e consideriamo tutte le donne come tali, aspiranti miss incluse.

 

 

                                                                                                                      Steg

 

 

 

© 2013 Steg, Milano, Italia.
Tutti i diritti riservati/All rights reserved. Nessuna parte di questa opera – compreso il suo titolo – e/o la medesima nella sua interezza può essere riprodotta e/od archiviata (anche su sistemi elettronici) per scopi privati e/o riprodotta e/od archiviata per il pubblico senza il preventivo ottenimento, in ciascun caso, dell’espresso consenso scritto dell’autore.
 




[1] Data la minor popolarità rispetto alle altre tre, rammento come oggi ella sia impegnata socialmente, come se volesse raggiungere Donna Marella Agnelli capo-crocerossina in un viaggio pellegrinaggio a Lourdes o Giulia Maria Crespi con il FAI.
Tomba era geloso perché lei, Martina, posava per “marchi” di abbigliamento intimo.

NACH TONITO (una conoscenza interrotta prima dell’usura)

L’edizione scelta per David Bowie
(copia di mia proprietà)



NACH TONITO
(una conoscenza interrotta prima dell’usura)
 
I vampireschi appetiti che si saziano anche mediante i miei post non capiranno molto, pazienza. Del resto questo è un altro scritto per pochi.
 
Vorrei chiedere a Tonito: “sei stato a Berlino?”
 
Vorrei chiedere a Tonito: “hai letto Nietzsche?”
 
Vorrei chiedere a Tonito, soprattutto: “perché ti piace David Bowie ([1])?”
 
Avendo io impiegato anni per redigere e rendere leggibile ad altri (se non concludere, come dimostrano queste righe) il “Tonito Memorial”, non può sorprendere se una ulteriore spiegazione di quelle mie pagine abbia richiesto altre dozzine di mesi per definirsi ([2]).
 
Quella con Tonito è stata per me – allora io non ero una persona cosi interessante (o meglio non mi reputavo io; salvo smentita di qualcuno, come mi disse Billy Houlston a proposito del mio frequentare Siouxsie and the Banshees) – una grandiosa conoscenza (non uso il termine amicizia in quanto credo eccessivo o, comunque, abusato) diluita ed interrotta.
Mi rendo conto di ciò solo in questi giorni, avendo diagnosticato, a malincuore ma definitivamente, come una amicizia durata mezzo secolo sia per me sepolta ([3]).
 
Le amicizie e le conoscenze spesso finiscono per usura di uno dei due, che diventa noioso/a; per le amicizie la soglia di percezione è semplicemente meno spiccata di quanto accade fra conoscenze interessanti in quanto si genera una tolleranza reciproca.
Con Tonito non ho potuto, per cause a noi non imputabili, nemmeno ipotizzare di raggiungere quel rischio di soglia usura, c’era ancora molto da dire prima della noia.
 
Vorrei chiedere a Tonito: “che ne pensi di Bill Sienkiewicz e di Howard Chaykin (tu che su foglietti a quadretti snoccioli storyboard senza fatica)?”
 
Vorrei chiedere a Tonito: “del finto ‘effetto scarno’ di Keibol Black di Miguel Àngel Martìn cosa mi dici?”
 
Chiaramente, la lista può proseguire. È un esercizio infinito ed impossibile, perché gli avvenimenti di oltre sedici anni influenzerebbero anche lui ([4]), ma tant’è.
Non è che io sia senza interlocutori, però me ne manca sempre almeno uno, e le tempeste cerebrali sono, sempre, insufficienti.
 
 
                                                                                                                      Steg
 
 
 
© 2013 Steg, Milano, Italia.
Tutti i diritti riservati/All rights reserved. Nessuna parte di questa opera – compreso il suo titolo – e/o la medesima nella sua interezza può essere riprodotta e/od archiviata (anche su sistemi elettronici) per scopi privati e/o riprodotta e/od archiviata per il pubblico senza il preventivo ottenimento, in ciascun caso, dell’espresso consenso scritto dell’autore.
 


[1] È facile oggi, 2013, spiegarsi, ma nel 1996 stavamo ancora digerendo, nel migliore dei casi, 1.Outside.
[2] L’illustrazione di accompagnamento questo post ha un’origine, ancora una volta, bowiana. Nelle sessioni fotografiche per Diamond Dogs v’è ne è una, scattata da Terry O’Neill, di cui fa parte la celeberrima foto in bianco e nero con il cane danese che salta in alto e David Bowie seduto in una tenuta quasi da gaucho alla Rodolfo Valentino. Ai suoi piedi un libro aperto con la copertina in qualche evidenza: è quello di Walter Ross, dedicato nella sostanza a James Dean. Caveat: non tutte le edizioni hanno quella copertina, quella che rileva è del 1958.
Inizialmente, avevo pensato di utilizzarla per “Tonito Memorial”.
Una curiosità per iniziati, e in fondo noi tutti eravamo degli iniziati.
[3] Altro non serve aggiungere.
[4] Che quindi avrebbe potuto diventare noioso, non lo escludo, il fatto è che non mi è concesso scoprirlo.


sabato 27 luglio 2013

PREFERISCO SEMPRE MICK JONES (non scrivendo di Joe Strummer)

Metal badge del 1987


PREFERISCO SEMPRE MICK JONES
(non scrivendo di Joe Strummer)
 

Nel giugno 2009, più o meno all’altezza del Record and Tape Exchange di Notting Hill Gate a Londra incrociammo (io e la mia fidanzata) qualcuno che assomigliava molto a Mick Jones ([1]), non lo fermai.
Un paio di giorni dopo puntai 5 sterline su un cavallo chiamato Big Audio, era dato 23 a 1 e vinse una corsa del Royal Derby, ad Ascot ([2]).

 

Joe Strummer: eccessivamente verboso e professorale, quasi come quei preti di borgata che frequentemente valicano la linea e nella sostanza sono da evitare come i loro avversari. Noioso.
Infatti, in Italia The Clash spesso non sono un gruppo: sono Joe Strummer “più altri tre” (o quattro: eresia, evidentemente.).

 

Vidi ed ascoltai i Big Audio Dynamite nella primavera 1987 allo (perché è un locale) Irving Plaza di Manhattan con la mia amica Vxxxxxe (al solito proteggo gli innocenti).
Impatto notevole, furono ([3]) poi la mia colonna sonora (avevo un piccolo blaster e compravo audio cassette) mentre con influenza e febbre preparavo gli esami finali alla Columbia University Law School.

 

Di Strummer apres The Clash non ho mai trovato un filo conduttore.
Solo delle schegge prive di un legante, contenute in fonogrammi anche costosi.
Da anni una copia hardcover della sua biografia Redempion Song resta lì fra i libri da leggere, intatta, senza mia curiosità.
Forse mi basta il resoconto di sue meschinità che trovo nelle ben più interessanti biografie di The Clash e nelle recensioni di quel libro di Chris Salewicz (comprato appena uscì per mia serietà).

 

Ma Strummer muore, prima di Natale 2002 ([4]) e allora ecco un bel santino!
La sua retorica viene accantonata, le sue contraddizioni anche.
Tanto che, con trista logica commerciale per gonzi travet che vivono (?!) attraverso i loro idoli incapaci di vederne i difetti ([5]) viene proposta nel 2012 (come se fosse chissà quale scoperta) in fonogramma ufficiale la registrazione del suo ultimo concerto del 2002, 15 novembre alla (perché è una sala) Acton Hall di Londra, con Mick Jones partecipe nelle canzoni di chiusura. Anni che quel concerto sta nelle nostre collezioni (per Mick Jones), anche con “il libro dei pompieri che scioperano” comprato fortunosamente.

 

Voi, che per sbaglio capitate in questo blog, continuate pure a vivere la vostra vita tramite terzi e, ovviamente, a votare lasagne e martello.
Quale “legge ha vinto” ([6])? E lo show di quale dottore ascoltate alla radio ([7])?

 

 

                                                                                                                      Steg

 

 

 

© 2013 Steg, Milano, Italia.
Tutti i diritti riservati/All rights reserved. Nessuna parte di questa opera – compreso il suo titolo – e/o la medesima nella sua interezza può essere riprodotta e/od archiviata (anche su sistemi elettronici) per scopi privati e/o riprodotta e/od archiviata per il pubblico senza il preventivo ottenimento, in ciascun caso, dell’espresso consenso scritto dell’autore.

 





[1] Nel 197? nella stazione di metropolitana di NHG mi ricordo di aver incrociato Viv Albertine: era molto bella, che fosse una brava chitarrista lo sapevo sin dall’agosto 1978: concerto al Music Machine di The Slits.
Nel suo album solista, The Vermillion Border, fra i ringraziati c’è Mick Jones.
[2] Bella giornata lì ad Ascot, vinsi anche un piazzato in un’altra corsa: champagne!
[3] Incidentalmente: che fine ha fatto il progetto di una versione expanded anche del loro secondo album: N. 10, Upping Street?
[4] Nessun errore cronologico: morte prima, biografia di Chris Salewicz poi.
[5] Ricordate l’immagine della t-shirt di W. Axl Rose “KILL YOUR IDOLS”?
[6] Cfr. “I Fought The Law” (Sonny Curtis).
[7] Cfr. “Capital Radio” (Joe Strummer e Mick Jones).

mercoledì 24 luglio 2013

PERLE MEDIATICHE 25 – REALI E SNOB E GIORNALISTI


PERLE MEDIATICHE 25 – REALI E SNOB E GIORNALISTI

 

snobsnòb› s. ingl. [parola che significava in origine «cittadino di basso ceto» e nell’ingl. dialettale «ciabattino», assunta nel gergo studentesco inglese per indicare una persona estranea all’ambiente, passata quindi a significare «persona non fine, non adeguata a un ambiente colto e raffinato», e diffusa in Europa dal romanzo The book of snobs (1848) di W. Thackeray; è priva di fondamento l’opinione, molto diffusa, che sia un’abbreviazione della locuz. lat. s(ine) nob(ilitate) «senza nobiltà»] (pl. snobssnòb›), usata in ital. come s. m. e f. e agg. – Chi ammira e imita ciò che è o crede sia caratteristico o distintivo di ambienti più elevati; chi ostenta modi aristocratici, raffinati, eccentrici, e talora di altezza, superiorità” (da http://www.treccani.it/vocabolario/snob/).

 

“Baby Cambridge è il volto della trasformazione di una vecchia monarchia in una monarchia moderna e meno snob” (Fabio Cavalera, Corriere della Sera, 23 luglio 2013, pagina 17).

 

 

                                                                                                                      Steg

 

 

 

© 2013 Steg, Milano, Italia.
Tutti i diritti riservati/All Rights reserved. Nessuna parte di questa opera – compreso il suo titolo – e/o la medesima nella sua interezza può essere riprodotta e/od archiviata (anche su sistemi elettronici) per scopi privati e/o riprodotta e/od archiviata per il pubblico senza il preventivo ottenimento, in ciascun caso, dell’espresso consenso scritto dell’autore.

venerdì 19 luglio 2013

DEPECHE MODE (thoughts from Milano)


Metal badge, probably from 1998 



DEPECHE MODE
(thoughts from Milano)

 

Given the fact that I wrote in English very few times for this blog, it may appear an oddity that I am now writing not in Italian about an artist I do like and care for a lot, but which does not rank within, say, my favourite three.

 

The reason for this exception is both of very short and very long period, the first derives from the latter.
Depeche Mode are not a fad: that’s why after years I attended again another concert of them and still value as masterpieces two albums they made: Black Celebration and Music For The Masses ([1]).

 

While I did (and do) not understand the vast majority of people who crowded Milano (Italy) football temple San Siro Stadium on the night of July 18th, 2013 (their second concert in this venue if I remember well) as they were way different in look (I was one of the very few wearing full black as if I were attending a DAF or a DM gig in Zürich ([2])), age (see on the contrary 101, the movie directed by D. A. Pennbaker), musical tastes (women were in the “average public” of those listening to love crooners of any kind) from me, I have to conclude that DM have a “diagonal” following.
Not even with binoculars I managed to understand who, at the front before the stage, were hailing a hand-made flag stating “Dave’s Slaves”: were those gay boys or else?
How comes local ladies scream for the mimics and naked torso of Dave Gahan, who I always consider in terms of looks and poses a unique mix of Sal Mineo, Marc Almond and (inevitably) a bullfighter, hence a homoerotic image which should appeal more to males (including heterosexual ones ([3]))?

 

How comes Martin Gore is now respected as a guitarist, singer and whatever else, while before he was the “nutter who inexplicably can write great songs he is too shy to perform”?

 

What about Andy Fletcher who stays behind and happy but at press conferences speaks like the Minister of Propaganda?

 

Why Black Celebration, the album, is becoming prominent again (like when I attended that Swiss gig)?

 

DM “cross” people also geographically, and this is well demonstrated by a documentary which you may have failed to know about (like I did) also because it does not have as of today, five years after its first screening, a DVD release ([4]): The Posters Came From The Walls.

 

The geography of following still makes Britain, and notably England and specifically their hometown Basildon, not “the country and town” of Depeche Mode, as it is very well outlined in an interesting article by Dr. Sophie Deboick by the title “Basildon Bond: Depeche Mode & The Essex New Town” published at the end of 2011 in the excellent web-magazine The Quietus ([5]).

 

So?
So the Deps’ mysteries still make them all (including the now, since a while, ex Alan Wilder) an interesting band, which manages to use guitars but not so much, sometimes goes for stompers a-la-Glitter-via-Sheffield (“Soothe My Soul”), which can cope with Anton Corbijn being somehow “artistically married” with both them and U2 ([6]) (hence he cannot always have great ideas).
And they make me write about them once more.

 

 

                                                                                                                      Steg

 



© 2013 e 2024 Steg, Milano, Italia.
All rights reserved/Tutti i diritti riservati.
No part – including its title – of this work and/or the same in its entirety can be reproduced and/or filed (including by means of electronic systems) for private uses and/or reproduced and/or filed (including by means of electronic systems) for the public without previously obtaining in each and any case, the explicit consent from the author.


 

 




[1] I wrote, although briefly, about “me and Depeche Mode” in the post by the title “From Basildon: Lessons In Musical Danger”: English title for a writing in Italian which is quite an odd in terms of how I usually write. I had to do it in that way because I thought I would have been too obvious if I chose a linear outline.
Hence, some overlapping between these two posts may apply.
[2] Respectively a couple of years ago and more than twenty-five: see footnote above.
[3] Do I have to namedrop Kenneth Anger and a quote from Richey James of Manic Street Preachers: “All Rock ‘n’ Roll is homosexual”?
[4] Because of Mute retaining copyright but not releasing, it has a story a bit like Cocksucker Blues (for those familiar with this Rolling Stones documentary).
You may still find some clips and pieces on the web.
[6] Who someone describe as people making music for people who do not like music.

giovedì 18 luglio 2013

SENTENZE (Tombstone series – 6)


SENTENZE
(Tombstone series – 6)

 

In Italia le sentenze più “rispettate” sono quelle che non ci riguardano.

 

 

                                                                                                                      Steg

 

 

 

© 2013 Steg, Milano, Italia.
Tutti i diritti riservati. Nessuna parte di questa opera – compreso il suo titolo – e/o la medesima nella sua interezza può essere riprodotta e/od archiviata (anche su sistemi elettronici) per scopi privati e/o riprodotta e/od archiviata per il pubblico senza il preventivo ottenimento, in ciascun caso, dell’espresso consenso scritto dell’autore.

 

mercoledì 17 luglio 2013

ANDREA G. PINKETTS (Sketches series - 3)

ANDREA G. PINKETTS

(Sketches series - 3)

 

La mia frequentazione amichevole (come da sua dedica nella mia copia in prima edizione de Il senso della frase) di Andrea G. Pinketts si concluse molti anni fa, quando a fronte di una blanda critica rivolta a lui o al suo sodale di avventura fumettistica Ade Capone nel corso di una presentazione, fui bersaglio del lancio di un accendino di plastica in un locale di Corso Garibaldi (no, non Le Trottoir), a Milano, che non esiste più: era il Post Cafè ([1]) ([2]).

Proseguii nella lettura dei suoi libri per diverso tempo, ma ormai saranno dieci anni che non cerco una sua novità editoriale.

 

Mi piaceva il suo stile (andai persino a cercare un locale in Via Vincenzo Monti citato nel suo prenominato capolavoro: Il senso della frase): storie ambientate essenzialmente a Milano quando la mia città non era ancora oggetto di tentativi di revival giallistici, meno pesante nelle atmosfere di altri, insomma godibile.

I primi cinque libri che ha scritto da solo valgono la pena ([3]) entro una letteratura di genere che però ha anche un taglio parzialmente cronistico.

 

Poi il calembour ha sostituito the meaning of the phrase, ed è diventato maniera. Peccato.

Probabilmente, dopo aver letto queste righe Pinketts deciderà di tirarmi qualche altro oggetto.

 

 

                                                                                                                      Steg

 

 

 

ADDENDUM

 

Dopo queste righe del 2013 ho scritto ancora di Andrea G. Pinketts nell’anno 2016, in un post piuttosto articolato, nel quale lui faceva da trait d’union letterario; tanto che non è nemmeno menzionato nel titolo del post ([4]).

 

Negli anni poi mi era capitato di incrociarlo per strada, e la domenica a Le Trottoir (nella sede primigenia di Corso Garibaldi) quando si andava a bere l’aperitivo, ed allora lui aveva la stilografica sul tavolo.

Più tardi a qualche presentazione di libri in cui spesso sua era la prefazione.

 

Nel frattempo, l’Autore aveva raggiunto una discreta esposizione televisiva, che però rivelava anche la sua forma fisica non più perfetta.

Egli aveva poi altresì una rubrica sulla testata Noir Magazine ([5]), su cui apparve anche il primo capitolo di quello che doveva essere il “davvero ultimo” romanzo con protagonista Lazzaro Santandrea: Ho fatto giardino ([6]). Così non fu, perché la saga si chiuse con La capanna dello Zio Rom.

 

Tralasciando le vicende personali, sono attualmente alle prese con la seconda rilettura de Il senso della frase e mi sono chiesto ([7]) se esso non fu mai intitolato La “Piaga d’autunno”: e la riflessione nasce dal reputare quest’opera letteraria sicuramente “noir”, ma molto meno spiritosa di quanto la si voglia far credere.

 

A Pinketts è stata, all’inizio del 2019, dedicata una biografia, che ho letto e annotato: Per qualche strana ragione io piacevo ([8]). Si tratta di una tesi di laurea che ha fondamentalmente tre mancanze.

La prima è che già come tesi di laurea ha il difetto di essere, anche se l’autrice la chiama “metabiografia”, carente di precisi riferimenti biografici (il che con il passare degli anni si rivela un punto debole per qualsiasi testo “scientifico”, cioè di studio). La seconda è la totale assenza di un suo aggiornamento (e di una rilettura e parziale riscrittura?), con il risultato evidentemente della incompletezza. La terza è che all’autrice manca ogni senso della città di Milano e quindi le sue citazioni appaiono non di rado troppo personali rispetto all’Autore esaminato.

 

 

“SLIGHT RETURN”

 

A fine 2020, novembre, è ripubblicato il primo romanzo del suo alter ego Santandrea: con una prefazione di Andrea Cappi e con una mezza dozzina di pagine di appendici consistenti in brevi scritti dell’Autore nato Pinchetti.

Avendo appena terminato di leggerla, mi chiedo se la raccolta di racconti Ho una tresca con la tipa nella vasca non sia il migliore libro autobiografico di Pinketts (con il peggior titolo): ve lo dovete comprare usato o remainder (la mia copia è la numero ottantacinque, di una prima edizione che forse rimane unica).

 

Ne approfitto anche - visto che prima o poi tirerà la bora, senza James Joyce - per indurre qualche lettore alla ricerca di una edizione Garzanti che non ne avrà altre del romanzo di Giorgio Scerbanenco Al servizio di chi mi vuole, prefato da Pinketts.

Una conferma dell’asse Milano/Trieste che ha avuto importanza per questi due grandi scrittori milanesi “di ogni genere”.

Finish? Non esattamente: quella prefazione è pubblicata in appendice alla riedizione de Il vizio dell'agnello (nel 2021).

 

 

                                                                                                                      Steg

 

 

 

 

 

 

© 2013, da 2020 a 2023 Steg, Milano, Italia.

Tutti i diritti riservati/All rights reserved. Nessuna parte – incluso il suo titolo – di questa opera e/o la medesima nella sua interezza può essere riprodotta e/od archiviata (anche su sistemi elettronici) per scopi privati e/o riprodotta e/od archiviata per il pubblico senza il preventivo ottenimento, in ciascun caso, dell’espresso consenso scritto dell’autore.

 



[1] Ampia descrizione e “confessione” dell’autore nel capitolo XII de Il conto dell’ultima cena, Mondadori (prima edizione del 1998).

[2] Quando lessi (alla sua uscita) Il conto dell'ultima cena (quarto della trilogia pinkettsiana, come noto) osservai soprattutto che non era - non poteva? - essere all'altezza del romanzo precedente.

Oggi rileggendolo fra morti e locali scomparsi a Milano (regge il solo Bar Magenta fra quelli storici), lo leggo in modo diverso.

Con Pinketts mi faccio delle belle camminate mentali per Milano (senza scomodare Charles Baudelaire o Walter Benjamin, i quali però si scomodano da soli).

Avvertenza: questa nota e la precisazione precedente sono del giugno 2022.

[3] Nel 1995 mi dannai per trovare il primo, poi riedito da Feltrinelli sull’onda del successo: Lazzaro, vieni fuori. Lo comprai alla Libreria del giallo (non esiste più) allora con una sede bella e centrale in Milano.

In sintesi: cercate tutto il pubblicato dal precitato editore e aggiungeteci Il conto dell’ultima cena edito da Mondadori.

[6] Uno stealth editoriale, data la sua rarità. Romanzo tortuoso, e rimpiangente, sebbene non ultimo della saga, come già si è notato.

[7] Senza il volume sotto gli occhi la considerazione ha poco senso, ma una logica invece ce l’ha.