"Champagne for my real friends. Real pain for my sham friends" (used as early as 1860 in the book The Perfect Gentleman. Famously used by painter Francis Bacon)



giovedì 14 gennaio 2016

THE BIG BRASS RING: ORSON WELLES E DAVID BOWIE (parallelismi impossibili fra due artisti incommensurabili)

THE BIG BRASS RING: ORSON WELLES E DAVID BOWIE

(parallelismi impossibili fra due artisti incommensurabili)

 

1. Un incipit interrotto.

Questo post doveva intitolarsi: “69: note minime accidentali bowiane intorno a un numero” e lo ho iniziato il 9 gennaio 2016.

Cominciava così.

 

Il giorno 8 gennaio 2016 David Bowie ha compiuto 69 anni e ha pubblicato Blackstar ([1]).

 

Il giorno 8 gennaio 2016 ho cominciato a leggere David Bowie ouvre le chien, di Jérôme Soligny ([2]).

 

Il numero 69 ([3]) è più affascinante di una parola palindroma. Basti pensare alla hendrixiana “If Six Was Nine” ([4]).

Più – forse? – seriamente, questo numero evoca graficamente, o è la riflessione aritmetica, di yin e yang.

 

Si parla, dunque, di opposti e di specchi.

 

La mia formazione accademica è stata forgiata da grandi Maestri e, anche, da dubbi che si sono rivelati fondamentali.

La base di ogni, ogni, mia lettura mia ricerca, mio approfondimento è ormai da decenni la seguente: trova e apprendi la regola, soltanto dopo potrai affrontare le eccezioni ([5]).

 

 

2. Una prosecuzione a due voci.

Qui si interrompeva il testo, e – indipendentemente dalla morte di David Bowie – il suo sviluppo è diverso per due ragioni: un pensiero interrotto a metà non lo ho più recuperato, il giorno 13 gennaio 2016 mi è passato per la mente l’impossibile parallelismo.

 

Prima, però, una precisazione: il libro di Soligny è molto interessante, ma leggerlo come testo di base per conoscere David Bowie è sconsigliato, in quanto esso non offre certezze, bensì presuppone altre e più ferme opere dedicate all’artista britannico per mettere anche in dubbio alcune date, alcune note tecniche, eccetera. Insomma, esso è un buon indice del fatto che anche grandissimi artisti non sono definibili e “sicuri” come regole immutabili, a partire dal fatto che anche loro si sono sempre dimostrati insoddisfatti di se stessi.

 

Orson Welles: nato il 6 maggio 1915 a Kenosha (USA), morto il 10 ottobre 1985 a Hollywood.

David Bowie: nato l’8 gennaio 1947 a Londra (Regno Unito), morto il 10 gennaio 2016 a New York (USA) ([6]).

Anche non considerando gli indici dell’aspettativa di vita, per cui almeno un lustro in più d’aspettativa sarebbe attribuibile a Bowie rispetto a Welles, è evidente che il primo nell’aspetto avesse una cera ben più sana del secondo.

Dunque, sin da subito l’apparente vicinanza di età alla morte fra questi due figure – per le quali anche sinonimi come colossi, giganti, titani e simili paiono insufficienti – si risolve in un dettaglio numerico ([7]).

Due opposti dunque? Forse non proprio.

 

Il titolo, quello nuovo e definitivo, di questo post è quello di un film non realizzato da Welles (molto rimaneggiato, apparve nel 1999 ([8]): per la sua incomprensibilità in Italiano, esso è stato tradotto con La posta in gioco ([9]). L’anello non è più piccolo ma è grande: dunque è una ricerca, una “quest” per l’eccellenza ([10]).

 

Che Welles e Bowie fossero due ambiziosi è indubbio.

Che le loro carriere per certi versi siano opposte anche: Welles alla prima regia è in vetta alla cinematografia in termini sicuramente qualitativi, David Bowie deve faticare molti anni prima di un successo “da classifica”.

Opposti, allora, come il 6 e il 9.

 

Specchi: dove si riflettono ([11]) immagini e personalità, non lo spirito delle persone complesse.

Nella stanza degli specchi si svolge una memorabile scena di The Lady from Shanghai diretto e interpretato da Orson Welles ([12]).

A David Bowie, cui è sempre stato stretto (pur se ancora utilizzato – e “autorizzato” – nel recente cofanetto [ Five Years 1969-1973 ] da Ray Davies) il soprannome “camaleonte” ([13]) in quanto questo animale cambia sì, ma non per distinguersi, certo non sono mancate molte personalità di scena e quanto a specchi basti rammentare la famosa immagine riflessa, che non è quella che ad esso si pone di fronte ne The Man Who Fell To Earth di cui Bowie è protagonista ([14]).

 

Overbudget: il più famoso per David Bowie fu quello per le scenografie del Diamond Dogs tour. Per Orson Welles essi non si contano.

 

Progetti incompiuti. Wikipedia dedica un capitolo ai film incompiuti o semplicemente sceneggiati di Welles, ne ricordo tre: Don Quixote, Heart Of Darkness e The Little Prince/Le Petit prince (incidentalmente: andate a riguardare la copertina di Reality di David Bowie).

I progetti incompiuti di David Bowie sono più semplici da identificare se si procede con un elenco di canzoni registrate e non pubblicate ufficialmente o in alcun modo pubblicate: per tutti valga l’album Toy e gli ultimi cinque demo di cui parla Tony Visconti come possibile seguito di Blackstar ([15]).

 

Ecco allora il minimo comun denominatore di due artisti diversi sin dal rispettivo aspetto fisico (invero irrilevante per la loro fama mondiale): l’ottenimento del big brass ring o del Saint Graal ([16]): il premio ultimo, certo dotato anche di un enorme potere.

Per entrambi però esso alla fine si rivela non essere altro da sé, bensì solamente l’opera d’arte ultima siccome definitiva e assoluta anche per il suo autore, non pago di tutto quanto egli ha già creato.

In fondo, sia Welles sia Bowie affermavano la possibilità dell’uomo di essere super, anzi di poter aspirare financo allo status di Supergod, ahimè mortale come tutto.

 

 

                                                                                                                      Steg

 

 

 

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[1] Suo ventiseiesimo album solista di studio. 25 sarebbero calcolando quello intitolato The Buddha of Suburbia una colonna sonora.

[2] Paris, Editions La Table Ronde, 2015.

[3] Astenersi spiritosi per forza.

[4] Che risale a quando Bowie era ancora un giovane artista di belle speranze o poco più.

[5] C’era a questo punto una lunga nota fuori testo che ho eliminato, probabilmente l’avrei eliminata comunque.

[6] L’eventuale luogo accidentale di morte diverso per Bowie non rileva in quanto accidentale, appunto.

Rilevano invece le città, opposte fra loro oggettivamente per entrambi e soggettivamente almeno per l’artista britannico. Come ricordai in un vecchio post, Los Angeles è la città che dice “fuck me”, New York la città che dice “fuck you”; ma per Bowie la metropoli californiana fu quasi fatale, mentre Gotham City divenne una sorta di seconda patria.

[7] A meno di addentrarsi nei dettagli cabalistici, non è materia che sono in grado nemmeno di accennare.

[9] Si veda il volume contenente la sceneggiatura nella versione italiana: O. Welles, La posta in gioco, Genova, Costa & Nolan, 1989, la spiegazione del titolo alla pagina 10 e anche https://en.wikipedia.org/wiki/Brass_ring.

[10] Invero già nella sua dimensione normale in Inglese si parla di brass ring come sinonimo di primo premio .

[11] Jean Cocteau: “Les miroirs feraient bien de réfléchir un peu plus avant de renvoyer les images” (da Le sang d'un poète).

[12] E da Rita Hayworth, allora sua moglie.

[13] Tutto nasce con l’uso del termine da parte sua nel testo di “The Bewlay Brothers”?

[14] Regia di Nicolas Roeg e sceneggiatura di Paul Mayersberg (autore anche per Merry Christmas Mr. Lawrence).

[15] Secondo una ben nota teoria, l’ultima canzone (rectius registrazione della medesima) in un album di David Bowie suggerisce lo stile musicale dell’album successivo.

[16] Bowie riferiva il suo interesse per il Terzo Reich anche alle ricerche del Graal portate avanti su ordine di Hitler. 

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