"Champagne for my real friends. Real pain for my sham friends" (used as early as 1860 in the book The Perfect Gentleman. Famously used by painter Francis Bacon)



giovedì 23 agosto 2012

A CLOCKWORK ORANGE


Quarta di copertina della cartella stampa realizzata per
il lancio del film  (©Warner Bros., mio esemplare)



A CLOCKWORK ORANGE
 

Per fortuna i lettori del blog sono giovani (intendo giovani veri). Questo mi permette di scrivere di nozioni e fatti che i loro genitori e i loro – ipotetici – fratelli maggiori dovrebbero conoscere, ma non conoscono.

 

Il mio primo impatto con questa entità che allora era fusa in uno, privata dell’articolo generico (“A” cioè “Una” ([1])), sta nel 33 giri (allora sinonimo di album) contenente la colonna sonora del film, omonimo, di Stanley Kubrick del 1971 tratto dal romanzo di Anthony Burgess del 1962.
C’è quell’occhio, quella lama, la lettera A maiuscolissima che si vede e non si vede, qualche foto di scena sul retro di copertina. Certo, c’è il ciglio inferiore finto di quel tipo che non sai chi è.
Poi la musica: hai tredici anni, sei Italiano e quindi non capisci nulla, perché ti mancano David Bowie ([2]), Marc Bolan e i Roxy Music. Ma questi suoni distorti regalati da Walter Carlos e poi “Singing In The Rain” ti segnano in modo irreversibile.

 

Chi devo ringraziare? La mia mamma che comprò quel disco dopo aver visto il film.
Quindi forse capite che aria respiravo, pur senza avere appesi alle pareti i Warhol e gli Oldenburg o altro, in casa.
 
Cominciano a filtrare frammenti, voci di persone oltraggiate dal film.
Io sono un ragazzino, mi leggo il libro, pubblicato da Einaudi (anche quello è in casa) che mi fa venire voglia di essere un “drugo”, sarà il 1974.
 

Il film lo vedo, da solo, verso il 1975 o 1976 in un compiacente cinema milanese che alterna visioni dozzinali e pellicole uniche.
Non sapevo ancora che nel Regno Unito Stanley Kubrick avesse posto il veto sul film sin dal 1972, dopo una serie di controversie derivanti dalla – pretesa – valenza causale violenta dell’opera sul pubblico. Sono un privilegiato e lo ignoro.
Giusto in tempo. Perché A Clockwork Orange è una delle, poche, essenze del punk “all’inglese” ([3]).
 
E tutti tifiamo Alex/Malcolm McDowell: ché quel tipo sulla copertina del disco è lui, il protagonista del romanzo e del film ([4]).
Passano gli anni, ma nessuno rinnega qualcosa.
 
Oggi, per assurdo, chi riconosce la silhouette di Alex e dei suoi droog su t-shirt da poco prezzo indossate da giovani che pensano di far colpo siamo soprattutto noi, che proprio non ci impressioniamo per nulla, avendone viste e qualche volta vissute ben di peggio sulle coste di Albione, dove gli skinhead non erano molto schizzinosi quanto a scelta dei bersagli: bastava essere stranieri.

 

Come minimo extra, chiudo con una citazione tratta da un articolo di 40 anni fa scritto da Anthony Burgess. Articolo che è stato ripreso nel 2012 dal New Yorker:

‘The title of the book comes from an old London expression, which I first heard from a very old Cockney in 1945: “He’s as queer as a clockwork orange” (queer meaning mad, not faggish). I liked the phrase because of its yoking of tradition and surrealism, and I determined some day to use it. It has rather specialised meanings for me. I worked in Malaya, where orang means a human being, and this connotation is attached to the word, as well as more obvious anagrams, like organ and organise (an orange is, a man is, but the State wants the living organ to be turned into a mechanical emanation of itself). Alex uses some Cockney expressions, also Lancashire ones (like snuff it, meaning to die), as well as Elizabethan locutions but his language is essentially Slav-based. It was essential for me to invent a slang of the future, and it seemed best to come from combining the two major political languages of the world—irony here, since Alex is very far from being a political animal. The American paperback edition of A Clockwork Orange has a glossary of Nadsat terms, but this was no idea of mine. As the novel is about brainwashing, so it is also a little device of brainwashing in itself or at least a carefully programmed series of lessons on the Russian language. You learn the words without noticing, and a glossary is unnecessary. More—because it’s there, you tend to use it, and this gets in the way of the programming.’ (Anthony Burgess, “Juice from A Clockwork Orange”, Rolling Stone, June 8th, 1972)

 

Capito malchik?

 

 

                                                                                                                      Steg



 

POST SCRIPTUM

 
Nessuna ragione particolare, se non che la foto mi pare molto bella e tipica di come i giovanissimi possano rendere completamente diverso tutto.

Ecco quindi che Vivian Kubrick “posta” (http://imgur.com/a/8koJE?desktop=1) fra le altre una immagine, questa, che la ritrae sul set del film (la data risulta sbagliata di un anno, direi). L’autore della foto sarebbe un certo Pablo Ferro: complimenti.

 

 

                                                                                                                      Steg

 




(© Pablo Ferro)

 

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[1] Attenzione: l’apostrofo non sempre è corretto.
[2] Che farà uso della colonna musicale per i suoi concerti: si ascolti per tutti il concerto del 3 luglio 1973 al Hammersmith Odeon di Londra, dopo essersi ispirato per certi costumi di scena proprio al film.
[3] Per 27 anni, dunque, nel Regno Unito l’opera del regista  newyorkese resta una specie di frutto proibito: con l’avvento della videoregistrazione domestica circoleranno copie pirata oppure importate da altri stati.
Nel 1999, morto Kubrick, finirà questa incredibile censura.
[4] Un tentativo di portare sullo schermo l’opera letteraria fu fatto negli anni sessanta, senza esito: Mick Jagger avrebbe dovuto interpretare Alex. C’è chi specula sulla possibilità che – pur essendo stati i diritti ceduti a Jagger – il film avrebbe potuto essere diretto da Nicolas Roeg: regista di Performance (protagonista proprio il cantante dei Rolling Stones) e qualche anno dopo di The Man Who Fell to Earth interpretato da David Bowie.
Più noto è, forse, il fatto che Kubrick scelse McDowell dopo averlo visto recitare in If…. di Lindsay Anderson.
Piccolo il mondo, vero?
 

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