Quarta di copertina della cartella stampa realizzata per il lancio del film (©Warner Bros., mio esemplare) |
A CLOCKWORK ORANGE
Per fortuna i
lettori del blog sono giovani
(intendo giovani veri). Questo mi permette di scrivere di nozioni e fatti che i
loro genitori e i loro – ipotetici – fratelli maggiori dovrebbero conoscere, ma
non conoscono.
Il mio primo impatto
con questa entità che allora era fusa in uno, privata dell’articolo generico (“A”
cioè “Una” ([1])), sta nel 33 giri (allora
sinonimo di album) contenente la colonna sonora del film, omonimo, di Stanley
Kubrick del 1971 tratto dal romanzo di Anthony Burgess del 1962.
C’è quell’occhio,
quella lama, la lettera A maiuscolissima che si vede e non si vede, qualche
foto di scena sul retro di copertina. Certo, c’è il ciglio inferiore finto di
quel tipo che non sai chi è.
Poi la musica:
hai tredici anni, sei Italiano e quindi non capisci nulla, perché ti mancano
David Bowie ([2]), Marc Bolan e i Roxy
Music. Ma questi suoni distorti regalati da Walter Carlos e poi “Singing In The
Rain” ti segnano in modo irreversibile.
Chi devo
ringraziare? La mia mamma che comprò quel disco dopo aver visto il film.
Quindi forse
capite che aria respiravo, pur senza avere appesi alle pareti i Warhol e gli
Oldenburg o altro, in casa.
Cominciano a
filtrare frammenti, voci di persone oltraggiate dal film.
Io sono un
ragazzino, mi leggo il libro, pubblicato da Einaudi (anche quello è in casa)
che mi fa venire voglia di essere un “drugo”, sarà il 1974.
Il film lo vedo,
da solo, verso il 1975 o 1976
in un compiacente cinema milanese che alterna visioni
dozzinali e pellicole uniche.
Non sapevo ancora
che nel Regno Unito Stanley Kubrick avesse posto il veto sul film sin dal 1972,
dopo una serie di controversie derivanti dalla – pretesa – valenza causale violenta
dell’opera sul pubblico. Sono un privilegiato e lo ignoro.
Giusto in tempo.
Perché A Clockwork Orange è una
delle, poche, essenze del punk “all’inglese” ([3]).
E tutti tifiamo
Alex/Malcolm McDowell: ché quel tipo sulla copertina del disco è lui, il
protagonista del romanzo e del film ([4]).
Passano gli
anni, ma nessuno rinnega qualcosa.
Oggi, per
assurdo, chi riconosce la silhouette di Alex e dei suoi droog su t-shirt da
poco prezzo indossate da giovani che pensano di far colpo siamo soprattutto
noi, che proprio non ci impressioniamo per nulla, avendone viste e qualche
volta vissute ben di peggio sulle coste di Albione, dove gli skinhead non erano molto schizzinosi
quanto a scelta dei bersagli: bastava essere stranieri.
Come minimo
extra, chiudo con una citazione tratta da un articolo di 40 anni fa scritto da
Anthony Burgess. Articolo che è stato ripreso nel 2012 dal New Yorker:
‘The
title of the book comes from an old London
expression, which I first heard from a very old Cockney in 1945: “He’s as queer
as a clockwork orange” (queer meaning mad, not faggish). I liked the phrase
because of its yoking of tradition and surrealism, and I determined some day to
use it. It has rather specialised meanings for me. I worked in Malaya , where orang means a human being, and
this connotation is attached to the word, as well as more obvious anagrams,
like organ and organise (an orange is, a man is, but
the State wants the living organ to be turned into a mechanical emanation of
itself). Alex uses some Cockney expressions, also Lancashire
ones (like snuff it, meaning to die), as well as Elizabethan locutions
but his language is essentially Slav-based. It was essential for me to invent a
slang of the future, and it seemed best to come from combining the two major
political languages of the world—irony here, since Alex is very far from being
a political animal. The American paperback edition of A Clockwork Orange
has a glossary of Nadsat terms, but this was no idea of mine. As the novel is
about brainwashing, so it is also a little device of brainwashing in itself or
at least a carefully programmed series of lessons on the Russian language. You
learn the words without noticing, and a glossary is unnecessary. More—because
it’s there, you tend to use it, and this gets in the way of the programming.’ (Anthony Burgess, “Juice from A
Clockwork Orange”, Rolling Stone, June 8th, 1972)
Capito malchik?
Steg
POST SCRIPTUM
Nessuna ragione particolare, se non che la foto mi pare molto bella e
tipica di come i giovanissimi possano rendere completamente diverso tutto.
Ecco quindi che Vivian Kubrick “posta” (http://imgur.com/a/8koJE?desktop=1)
fra le altre una immagine, questa, che la ritrae sul set del film (la data risulta
sbagliata di un anno, direi). L’autore della foto sarebbe un certo Pablo Ferro:
complimenti.
Steg
Tutti i diritti riservati/All rights reserved. Nessuna parte – compreso il suo titolo – di questa opera letteraria e/o la
medesima nella sua interezza può essere riprodotta e/o archiviata (anche su
sistemi elettronici) per scopi privati e/o riprodotta e/o archiviata per il
pubblico senza il preventivo ottenimento, in ciascun caso, dell’espresso
consenso scritto dell’autore e/o degli autori e/o titolari dei diritti, anche fotografici.
[1]
Attenzione: l’apostrofo non sempre è corretto.
[2] Che
farà uso della colonna musicale per i suoi concerti: si ascolti per tutti il
concerto del 3 luglio 1973 al Hammersmith Odeon di Londra, dopo essersi
ispirato per certi costumi di scena proprio al film.
[3] Per 27 anni, dunque, nel
Regno Unito l’opera del regista
newyorkese resta una specie di frutto proibito: con l’avvento della
videoregistrazione domestica circoleranno copie pirata oppure importate da
altri stati.
Nel 1999, morto Kubrick, finirà questa incredibile
censura.
[4] Un
tentativo di portare sullo schermo l’opera letteraria fu fatto negli anni sessanta,
senza esito: Mick Jagger avrebbe dovuto interpretare Alex. C’è chi specula
sulla possibilità che – pur essendo stati i diritti ceduti a Jagger – il film
avrebbe potuto essere diretto da Nicolas Roeg: regista di Performance (protagonista proprio il cantante dei Rolling Stones) e
qualche anno dopo di The Man Who Fell to Earth interpretato da David Bowie.
Più noto è, forse, il fatto
che Kubrick scelse McDowell dopo averlo visto recitare in If…. di Lindsay Anderson.
Piccolo il mondo, vero?
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