"Champagne for my real friends. Real pain for my sham friends" (used as early as 1860 in the book The Perfect Gentleman. Famously used by painter Francis Bacon)



lunedì 31 marzo 2014

C86 RIVISTA E AMPLIATA: SERVIRÀ?


C86 RIVISTA E AMPLIATA: SERVIRÀ?
 
C86: per sapere di cosa si tratta non devi essere giovane (fisso nel caso di specie l’asticella formale ai 25 anni) oppure essere un appassionato del genere musicale indie britannico oppure un fan dei Manic Street Preachers (tutti ben oltre i 40 anni) ([1]).
Indie” significa indipendente: gli Oasis nacquero indie come loro produttore di fonogrammi, ma non lo rimasero.
 
C86 gioca su “C90” un formato di audiocassetta (ecco un giovane che si domanda giustamente di cosa sto scrivendo) e “1986”, anno di uscita di questa compilation indissolubilmente legata al settimanale New Musical Express.
 
Evidentemente, C86 fotografa quell’anno.
Lo preciso in quanto mi sono posto il problema se rischio di usare due pesi due misure rispetto a Nuggets: Original Artyfacts from the First Psychedelic Era 1965-1968, compilation costituita da due LP che fu originariamente pubblicata nel 1972, ristampata nel 1976 e poi rieditata ampliata in 4 CD nel 1998. Direi di no, per due ragioni: già lo spettro di tempo abbracciato è ben diverso, inoltre il doppio vinile appartiene a un’epoca in cui la storia scorreva più lentamente e in maniera meno incline a bruciare gli outsider, anche se nelle note di copertina si rinviene uno dei primi usi della parola punk da parte del loro autore Lenny Kaye e quella parola le ha ridato prima vita e poi, verosimilmente, status definitivo.
 
Nel 2014 C86 sarà ripubblicata da un produttore indipendente o quasi come Cherry Red Records, in formato triplo CD, secondo e terzo compact con evidentemente molte altre canzoni dell’epoca.
Tralascio l’analisi in dettaglio delle perplessità “tecniche” che riassumo: la confezione probabilmente farà venire altri dolori di stomaco come accaduto per una compilation del 2013 ([2]) che, fra l’altro, già un poco ripercorre le stesse strade di “anorak, shoegazing and trainspotting” ([3]); se Cherry Red ha dovuto rintracciare alcune registrazioni “da vinile” ovviamente qualche problema audio potrebbe esserci.
 
Chi è il destinatario di C86 nel 2014? Il/la giovane che trova tutto su You Tube o smanetta fra portali torrente e simili? Dubito.
Dunque si rischia di guardare solo a quei tre gruppi di persone indicati in apertura: big deal!
 
E qui veniamo alla “cultura delle cassette audio”: nemmeno provo a indicare qualche riferimento: su Internet trovate tutto, ma anche su carta ne hanno scritto a iosa.
Fuori dal revival, però (cfr. Nick Hornby se proprio volete, ma lui tratta di vinile), come spiegare: cosa significava “fare un nastro”, riceverlo, ascoltarlo, 28 anni fa? Lo spiega uno di cinquant’anni a uno che non dovrebbe nemmeno ascoltarlo in quanto ne ha meno della metà? Con che linguaggio?
Di quelle cassette spesso sono rimaste certe belle copertine godibili da tutti, ma la memoria difficilmente si tramanda ([4]).
Pertanto, nemmeno su questo versante proseliti fra le nuove generazioni se ne vedono molti.
 
Sento insomma un po’ di sapore di reducismo.
 
 
                                                                                                                      Steg
 
 
 
POST SCRIPTUM
Se recito “C30, C60, C90, Go!” chi cito e da che epoca?
 
 
                                                                                                                      Steg
 
 
 
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[1] Volendo si veda il mio post “Pieghe musicali - Variazione 1001”.
[2] Intitolata Scared To Get Happy: A Story Of Indie Pop ’80-’89, stesso produttore.
[3] A propria volta sulla scia di una antologia doppia dal titolo, poco fantasioso, CD86: 48 Tracks From The Birth Of Indie Pop del 2008.
[4] Ricevo peraltro questa stringa da Michele di http://blackpizzas.blogspot.it/; se credete quindi: http://jaktapes.tumblr.com/.
Con una doppia avvertenza: duplicare semplicemente album originali non è molto creativo (a parte eventuali problemi giuridici); la mescolanza dei generi è evidente.

giovedì 27 marzo 2014

PERLE MEDIATICHE 30 - STILE E IGNORANZA (terza puntata) (fra calzoleria e macelleria)


PERLE MEDIATICHE 30 - STILE E IGNORANZA (terza puntata)
(fra calzoleria e macelleria)

 

Dopo i miei numeri 18 e 22 di Perle mediatiche, ecco forse il nadir della miniserie “Stile e ignoranza”.

 

Alla pagina 169 di Style Magazine aprile 2014, numero 4 (mensile del Corriere della sera) leggo: “Scarpe di vitello con fibbie laterali”.

 

A questo punto mi chiedo se esistono le varianti: nodino, ossobuco, cotoletta.
Probabilmente, per il modello stringato si usa l’arrosto.

 

A tacere di dove si potrebbero altrimenti posizionare le fibbie (peraltro doppie).

 

 

                                                                                                                      Steg

 

 

 

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domenica 23 marzo 2014

ARRIGO “HARRY’S BAR” CIPRIANI (Sketches series - 12)


ARRIGO “HARRY’S BAR” CIPRIANI
(Sketches series - 12)

 

Arrigo Cipriani per qualcuno è il creatore del Harry’s Bar di Venezia ([1]). In realtà quel locale lo fondò il padre Giuseppe ([2]) nel 1931 (più o meno in contemporanea con il concepimento del figlio maschio ([3])): insieme all’altrimenti sconosciuto Mister Harry Pickering, ma l’ignoranza come si sa non è merce rara di questi tempi.

 

Potereste anche smettere di leggere, ma …

 

Vale la pena nel 2014 di andare a mangiare in un ristorante di “proprietà” di Arrigo Cipriani? Non lo so.
Per due motivi che nulla hanno a che fare con la qualità del cibo, che non è il gusto ([4]): il personale ([5]) ([6]) e il fatto che non sapete se e dove trovereste Mister C (che indubbiamente è più brillante nelle “ciacole”dei suoi figli Carmela, Giovanna e Giuseppe, peraltro tutti e tre simpatici per quel pochissimo di cui posso dire di loro).

 

Di Cipriani Senior mi ricordo due cose, una inutile e una importante, vi racconto la seconda: tanti e tanti anni fa (25?) in una sera fredda, di folla nel locale, ci avevano fatto sedere al tavolo 12, che era (ed è) il peggior tavolo dell’unica sala che conta nel ristorante: passò di lì lui e mio padre si lamentò della posizione. La risposta?: “Ma come! Lei è in prima fila a vedere le ballerine e si lamenta?”.
Perché il locale veneziano (senza il quale tutti gli altri non esisterebbero in quanto insensati: mi pare ovvio) ha una sua filosofia, per cui ho visto gente mangiare con il cappotto sulle spalle su uno strapuntino fra il registratore di cassa e il bancone (probabilmente non erano clienti, sicuramente non erano Veneziani).
Verosimilmente, un poco di questo piglio marziale, poi infuso nel Bar, deriva al quasi ottantaduenne ammiraglio della flotta Cipriani dal fatto di aver tirato karate per moltissimo tempo, e si tratta di una persona comunque spigolosa già di per sé che deve aver non poco domato il suo spirito di “bastian contrario” per saper comunque sorridere ai clienti e magari (una volta, quando egli era sempre o quasi in laguna e al comando in sala “dabbasso”) consigliargli dei carciofi freschi o un vino in caraffa.

 

Il suo Martini perfetto non è il mio Martini perfetto, ma se Arrigo Cipriani deciderà di bersene di nuovo uno, idealmente brinderò volentieri con lui secondo la sua ricetta.

 

Arrigo Cipriani ha scritto diversi libri, mi sento di consigliarne uno non recente, un romanzo, di cui nemmeno so dove sia la finita mia copia: Eloisa e il Bellini.
Il Bellini, l’unico cocktail che non oso prepararmi e che non bevo mai “fuori sede”, perché non sarebbe mai nella media veneziana.

 

Spiacente: nessun aneddoto su Welles, Capote o Hemingway.

 

 

                                                                                                                      Steg

 

 

 

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[1] Di “bar di Harry” nel mondo ce ne è più di uno. Il decano è quello parigino (preesistente ma “Harry” dal 1923).
Siccome anche recentemente Arrigo Cipriani racconta delle sue disavventure legali, è curioso notare come l’omonimo romano del più famoso nel mondo di Calle Vallaresso dichiari ingenuamente “Harry’s Bar Roma nasce nel 1959, prenderà il nome solo nel 1962 ma il locale già esisteva dal 1918; quello di Firenze vanta la nascita nel 1952.
Ovvero 50 e oltre anni fa gli imprenditori erano meno litigiosi o più sicuri delle proprie capacità, opto per la seconda ipotesi. Sotto un profilo giuridico, invece, mi pare che in Italia certi marchi siano meno difendibili che altrove. Infatti:In December 2008 the High Court of England and Wales ruled that Orient-Express Hotels (which owns the Hotel Cipriani) owns the Cipriani trademark and that the use of "Cipriani" in the name of the London restaurant infringed its trademark rights. The decision was upheld on appeal by the Court of Appeal on 24 February 2010, which ordered that the restaurant's name would have to be changed by 24 April 2010. The new name of the restaurant is ‘C’” (da en.Wikipedia; per chi voglia leggersi la sentenza di secondo grado: http://www.bailii.org/ew/cases/EWCA/Civ/2010/110.html); e senza troppo piagnucolare, intervistato da Nicola Porro in coda a un programma televisivo di RAI2, Virus, il 14 marzo 2014 il ristoratore veneziano ha dichiarato che lo scivolone londinese gli è costato una quindicina di milioni di sterline “di danni” (e di spese legali, presumo): https://www.youtube.com/watch?v=7OXS5s-4I1M.
[2] 1900-1980.
Per “altro” rinvio al mio post “Perle mediatiche 13 – La critica gastronomica”.
[3] Sulle baruffe fra Arrigo e sua sorella maggiore Carla forse ancora qualche traccia si rinviene: http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1991/03/08/la-paprika-di-brass-divide-cipriani.html. Mi pare che poi la controversia fu conciliata.
[4] Ma io non “faccio copertoni” e non sono nemmeno un “consulente di viaggio”, quindi non recensisco.
[5] Un saluto, ancora, a Claudio (Ponzio): che comunque e sempre non sbaglia e non sbaglierà mai.
[6] Problema anche di altri locali: il ricambio generazionale è mediamente a peggiorare.

sabato 22 marzo 2014

A MILANO UNA DOMENICA DI “TRIPLE WITCHING” (“Is there life on Mars?” series - 5)


A MILANO UNA DOMENICA DI “TRIPLE WITCHING ([1])
(“Is there life on Mars?” series - 5) ([2])
 
Eccoci serviti con una bella domenica di triple streghe.
Milano, 23  marzo 2014:
1)      mattino e inizio pomeriggio la Stramilano (e le sue due derivazioni rispettivamente breve e agonistica, questa di oltre 21 chilometri) è una marcia di 10 chilometri, con partenza alle ore 9.00, che causerà per 30 (trenta) linee di trasporto pubblico deviazioni, rallentamenti e altro dall’inizio del servizio;
2)      Milano - Sanremo: celebre gara ciclistica di rilevanza internazionale con inizio alle ore 10.15, anch’essa contribuisce allo stravolgimento delle sopra indicate 30 linee di trasporto pubblico;
3)      Inter - Atalanta: partita di calcio di Serie A con inizio alle ore 15.00 allo Stadio Meazza di San Siro (non al campetto dell’oratorio).
 
Più coloro che, evidentemente preferendo il trasporto privato, circoleranno per andare a vedere gli edifici eccezionalmente aperti al pubblico: eh già c’è anche il fine settimana FAI.
 
Meteo previsto? Pioggia almeno in mattinata.
 
Geniale pianificazione dell’amministrazione comunale milanese. Un’altra.
 
 
                                                                                                                      Steg
 
 
 
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[1] Triple witching hour is the last hour of the stock market trading session (3:00-4:00 P.M., New York Time) on the third Friday of every March, June, September, and December. Those days are the expiration of three kinds of securities” (Wikipedia) .
La derivazione è dall’ora delle streghe, o “witching hour”, appunto: “With a modern literal meaning of “midnight,” the term witching hour refers to the time of day when creatures such as witches, demons, and ghosts are thought to appear and to be at their most powerful and black magic to be most effective. It may be used to refer to any arbitrary time of bad luck or in which something bad has a greater likelihood to occur” (Wikipedia).
[2] Da “Life on Mars” di David Bowie.

giovedì 20 marzo 2014

“SPRANGA IL MACCHINISTA O CANTA IN FALSETTO?”


“SPRANGA IL MACCHINISTA O CANTA IN FALSETTO?”


Fra maggio e giugno 1978 a Milano si poteva essere un bersaglio intellettuale (solo apparentemente musicale) che era a rischio soccombenza. Sconfitti si sarebbe finiti come molti altri, la maggioranza, appunto.


La radio in FM dichiarava Rolling Stones (“Miss You”) e nel ghetto fuggevole della discoteca (la dance culture la massa non la conosceva ([1])) una voce in falsetto che non avrebbe dovuto avere futuro: Sylvester con “You Make Me Feel (Mighty Real)” ([2]) ([3]).


Poi c’era la stampa musicale britannica: lì stava il mezzo gimmick del quinto singolo dei Sex (già ex?) Pistols, che doveva intitolarsi appunto “Cosh The Driver” salvo un ripiego su due titoli diversi, ma anche il pivotale quinto singolo ufficiale di The Clash, con copertina (o senza? Decidete voi) ([4]) e di nuovo una parte del titolo fra parentesi, e poi stava arrivando tutto il “dopo-/növo-” che sarebbe stato digerito (ma non assimilato) molti anni dopo.


Le orecchie a Londra avrebbero continuato a macinare reggae nei locali prima dei concerti, anche se la stagione del Roxy con Don Letts come DJ era finita.


Diciotto mesi dopo chi aveva abbastanza personalità aveva già lasciato le categorie della politica musicale (“the politics of dancing” recita una vecchia canzone), anche perché nemmeno gli USA erano stati con gli allori a seccarsi: No New York insegna.
Diventa da allora in poi impossibile tentare una qualsiasi classificazione. Per fortuna.


Passati anche gli eroi da club ([5]), ecco l’aria che davvero tirava quando nel settembre del 1982 The Face usci con la famosa copertina nella quale persino dei jeans blu potevano essere un capo di nuovo capace di parlare per chi li indossava ([6]).


Ma l’Italia evidentemente dava Sylvester per morto, non concepiva l’eventualità di abbandonare il cliché del punk che essa aveva fatto così fatica a accettare, mentre fra oratori e sezioni di partito non c’era spazio per un “fuck art let’s dance” che era comunque un’espressione individuale e che, udite udite, era anche una categoria di umano divertimento dove non si discriminavano gli omosessuali (e neanche gli eterosessuali, perché no) anche se magari qualche locale non era esattamente una bocciofila.


Purtroppo, una grande malattia dal piccolo nome avrebbe nel giro di qualche anno ucciso l’unicità vocale di Sylvester, che sarebbe così andato a raggiungere il suo sodale di qualche avventura alle porte dell’elettronica Patrick Cowley (morto nel 1982).


Ma per noi alla fine ha vinto il falsetto sulla spranga.



                                                                                                                      Steg




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[1] Illuminante in punto è “Indigestione disko” dei Decibel.
[2] Si noti la curiosa inversione della parte fra parentesi rispetto ai titoli di alcuni classici degli anni sessanta.
[3] Storcerà il naso qualche purista sapendo che in una sua top ten radiofonica Siouxsie inserì questa canzone. I ben informati sanno che Mrs. Ballion ballava al Bangs, al Chaguaramas e al El Sombrero.
[4] Tutte informazioni rinvenibili altrove.
[5] Rinvio al mio post “Out in clubland and having fun” di cui questo forse è una stripped down version.
[6] Per chi non possiede quel numero, una seconda possibilità di leggere l’articolo di Robert Elms intitolato “The New Young Soul Rebel” risiede nel volume Nightfever (a cura di Richard Benson) a pagina 26, ma senza immagini.

martedì 18 marzo 2014

SCRICCHIOLANO LE COLONNE (e forse è ora di fare un inchino e uscire di scena)


SCRICCHIOLANO LE COLONNE
(e forse è ora di fare un inchino e uscire di scena)

 
Quando morì Ron Asheton, chitarrista nella formazione più celebre di The Stooges, scrissi un messaggio di posta elettronica alla redazione del Corriere della Sera, posto che non avevano pubblicato la notizia del suo decesso. Naturalmente nessuna risposta, come accadde anche tempo dopo per Alain Bashung.
Figuriamoci per la morte di Scott Asheton ([1])! Non vale nemmeno la pena di ipotizzare una eco al di fuori dei media specialistici (e anche quelli … ([2])).
 
Siccome la memoria è corta, la mia semplicemente non tiene in considerazione tutti i miei pensieri, sono per lo meno soddisfatto di avere citato già Scott in un mio post ([3]).
 
Ma non è questo il punto.
 
Vedo morti ovunque, oppure artisti che sentono il fischio della falce del Tristo Mietitore, magari per interposta persona (si pensi a Roger Daltrey e al suo album con il malato terminale Wilko Johnson).
 
Non è mia intenzione affermare che tutti gli artisti debbano smettere di essere tali a una certa età (quale poi?), ma …
Lo ho già scritto in questo blog, lo ripeto verbatim: il rock ‘n’ roll è vecchio, tanto che da anni dico […] ispirandomi a Philip K. Dick e anche a Bladerunner che “il rock ‘n’ roll è come un replicante che scopre, per sua sfortuna, di non avere scadenza”.
 
Si può preferire schiantare in scena, però si deve essere sinceri e non considerarlo un incidente che non si vorrebbe subire. In caso contrario sarebbe il caso di pensare, piuttosto che a riunioni sempre più grottesche (con abbondante uso di tinture per capelli, gilet più o meno contenitivi e altro) dove manca solo qualche roadie peso massimo a tenere ferme le lancette del tempo per il performer di turno, a cambiare genere o a correggere il proprio repertorio.
Perché il problema è continuare a chiamarlo rock ‘n’ roll quando manca anche il fiato nel pronunciare quelle tre parole. Troviamogli un altro nome o, almeno, evitiamo di considerarlo sinonimo di gioventù eterna, non lo è.
 
Se poi la gente pensa che un concerto li ringiovanisca, un farmaco gli restituisca l’energia di alcuni lustri fa, eccetera, beh sono problemi loro, io schivo qualche martello tiratomi perché il Grillo Parlante continua a non essere gradito, anche quando “egli c’era mentre altri non c’erano” (e oggi dicono di esserci stati).
 
E adesso vedo di scegliere, un’altra volta, cosa ascoltarmi e in che edizione di The Stooges, i quali riuscirono a rendere sinistro o sensuale (vedete voi) anche il suono di un tamburello.
 
 
                                                                                                                      Steg
 
 
 
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[1] La “quota giovanilistica” per gli ultracinquantenni già coperta nei telegiornali dalla morte della fidanzata di Mick Jagger che forse, si cfr. “Substitute” di The Who, si tirava indietro gli anni.
[2] Aspettiamoci magari qualcosa di più dal bastione francese, sempre sodale e solidale con The Stooges e Iggy Pop.
[3] Si tratta di “Oreste Del Buono (senza dimenticare Pilade)”.

lunedì 17 marzo 2014

PLACEBO (“abbiamo fatto i compiti”)


PLACEBO
(“abbiamo fatto i compiti”)

 
Quando penso ai Placebo in termini puramente anemotivi concludo che sono (“è”) Brian Molko. Difficile staccarsi da una coincidenza non voluta, ma inevitabile, fra leader e gruppo, l’altro componente co-fondatore è Stefan Olsdal) inattaccabili sotto un profilo conoscitivo: è bastevole considerare la serie di versioni di altrui canzoni (sic!) che costituiscono il secondo CD di Sleeping With Ghosts e come aggiunta non essenziale per la conclusione appena offerta (ma si tratta di una dirimente aggiunta, occorrendo) anche un loro omaggio a Serge Gainsbourg.
 
Brian Molko sa arringare il pubblico in Inglese e in Francese.
Brian Molko sa anche suonare la chitarra ([1]).
Brian Molko è indubbiamente molto più impegnativo di Morrissey.
Infatti nessuno è più adorato di Morrissey, che non sa suonare la chitarra e che io non vorrei sentire ordinare una bottiglia di Perrier (è vegetariana, può ordinarla) in una lingua non sua “madre”.
 
Brian Molko fuma (o fumava), io non fumo.
La gente che fuma mi da spesso fastidio (semplicemente perché è troppa), non Brian Molko (e neanche Siouxsie).
 
Tornato da un concerto dei Placebo una dozzina di anni fa, io comprai on line tutti i singoli disponibili: gli album non mi bastavano.
 
Siccome le nostre generazioni non coincidono, apprezzo l’incrocio fra Nancy e Hardy (fate i compiti anche voi, per favore).
 
Che dire, poi, della “ragazza portacenere”? Puro omaggio bastardo a Kenneth Anger e a James Dean.
 
Certo la disperazione kitchen sink può pesare molto, più dura (o semplicemente, ma non solamente, meno melodrammatica) di quella di Marc Almond. Ma le meningi macinano e reagiscono, appunto più elettricamente, o almeno ci provano.
 
Brian Molko, un figlio di nome Cody e “sapore negli uomini”.
 
Ciglia finte “a orologeria” e smalto nero sulle unghie, un fisico folletto e androgino al cui confronto (anche) Kate Moss pare una massaia di solida costituzione.
 
Me ne rendo conto, questo è solo un bozzetto di grandi dimensioni.
Però non potevo ritardare oltre un riconoscimento a coloro (colui?) che, se io fossi nato nel 1979, forse mi avrebbero salvato dall’apatia.
 
 
                                                                                                                      Steg
 
 
 
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[1] Come un appartenente alla famiglia reale, egli non fa preferenze fra i manici Gibson e quelli Fender, che poi entrambi siano di fattura stateside è conseguenza dell’estensione del regno del rock’n’roll.

sabato 8 marzo 2014

IN DIFESA DI ALBERTO ONGARO, MA ANCORA CON L’ALBATROSS HUGO PRATT AL COLLO


 
IN DIFESA DI ALBERTO ONGARO,
MA ANCORA CON L’ALBATROSS HUGO PRATT AL COLLO

 

Non pretendo che i miei post abbiano titoli eclatanti per originalità, qualche volta essi sono mero sommario.
Nel caso di specie ([1]), con 14 parole e 1 virgola ho già espresso la mia opinione e semplicemente qui la illustro.
 
Alberto Ongaro è un giornalista e uno scrittore.
Alberto Ongaro ‘era’ amico di Hugo Pratt, anche quando il secondo era ancora vivo (in quanto il sodalizio era già finito).
La definizione più esatta è la prima, quella percepita da molti è la seconda senza tutto ciò che in essa segue alla apertura di parentesi e, probabilmente, anche senza ciò che segue alla virgola.

 

Sarebbe facile dare a Ongaro ciò che è di Ongaro (soprattutto come autore di libri; i giornalisti, celebri e non, sempre anelano al libro ([2])), ma il pubblico è pigro e forse si tratta di uno dei pochi casi in cui il tempo potrà essere galantuomo.

 

Non è un azzardo affermare che: senza l’amico Alberto ([3]), Hugo avrebbe potuto anche rimanere un disegnatore che veniva indicato come “all’anagrafe Ugo” ([4]), con una “t” sola nel cognome ([5]).

 

Nel 1970 il veneziano di Rimini non è noto come Guido Crepax, e nemmeno come Magnus (e Bunker).
Ma quell’anno Ongaro pubblica il libro che funge da pietra angolare, una delle quattro certo ma ne servono quattro, alla fama del futuro Maestro di Malamocco (paternità del titolo: Oreste Del Buono qualche tempo dopo): Un romanzo d’avventura.
Si noti: “Un” come “Una” (ballata del Mare Salato”) e “avventura” chiave dell’intera produzione di Hugo Pratt da L’Asso di picche a Morgan e (anche) oltre.

 

È, obiettivamente, un romanzo dotato di fascino, nel quale Paco – il coprotagonista assente – è tratteggiato a mio avviso su Alberto attribuendogli però certe caratteristiche di Ugo con qualche viceversa.
L’autore e amico si spinge anche nel sancire come vero il falso dell’acca, e in tal modo si consolida (se non si inaugura) la tendenza prattiana della mezcla fra fantasia e realtà.
Ma oltre il romanzo, con la lente del poi si scoprono quegli amici che negli anni andranno a sbiadirsi, a partire da quel Mario Faustinelli che sembra inchiodato – come una farfalla fra le molte di una collezione di cui non è il pezzo raro – nelle fragili pagine degli Albi Uragano, e quella donna minuta e unica nell’avere una sua vita – ad ogni costo – che è la gran belga d’Argentina Anne Frognier ([6]), la cui giungla fu verosimilmente più nel menage familiare con (H)ugo che non nelle vignette a lei anni prima dedicate dal futuro marito.

 

Con sincerità, nel paragrafo “H.P. et Hugo Pratt” di De l’autre côté de Corto ([7]), il non più “fumettaro” ma autore di “letteratura disegnata” (discreto revirement nel definirsi) dichiara a Dominique Petitfaux quanto al suo Le Pulci penetranti del 1971: “J’ai voulu ce livre parce que Alberto Ongaro venait de sortir son roman Un romanzo d’avventura, dont j’était le personnage principal, et je n’était pas d’accord avec l’image qu’il donnait de moi”.
Strano, dato che in occasione della ripubblicazione della sua seconda fatica letteraria, nel 2008, Ongaro ha dichiarato il contrario e non stento a credergli, posto che esiste anche una foto dei due amici alla presentazione del libro ongariano, posto che (copyright a parte) la vignetta che illustra la copertina del romanzo nel 1970 arriva diritta dalle tavole salate prattiane e per di più evoca l’adolescente (ancora!) Pandora Groovesnore e non un personaggio qualsiasi.

 

Ma soprattutto, il gioco dei due amici si scopre ex post con la cruciale intervista che il giornalista Alberto dedica al “Orson Welles dei fumetti” Hugo nel 1973 su L’Europeo ([8]).
Sono pagine su cui si regge, letteralmente, la leggenda che fonde Hugo Maltese e Corto Pratt e che appaiono quasi un anno dopo, si badi dopo, quell’articolo del 1972 pubblicato su Linus di settembre intitolato “Come nasce Corto Maltese?” sempre a firma Ongaro.
Desidero precisare che quella intervista è da anni (dal 2006) sparita dalla circolazione, come da revisionismo storico ormai costante (di nuovo non si trova il romanzo del 1970 di Ongaro se non andando per biblioteche).

 

Le distanze fra i due amici, non si dimentichi cosa scrisse Ongaro per Pratt (o disegnò questi per le sceneggiature dell’altro), si misurano nelle dichiarazioni del primo del 2002, le quali pur si inseriscono nella celebrazione del grande fumettista italiano consistente in un hors série della rivista Bo Doi ([9]): l’intervento di Ongaro porta il titolo “Mesquineries” e la parola si rinviene in questa frase: “Mais il y a ajouté toutes sortes de petites mesquineries qui ont amené à cette rupture”.

 

Il tentativo del 2008 dell’ex amico superstite di seppellire i rancori naufraga definitivamente con il volume corale del 2013 dal titolo Je me souvíens de PrattConversations à Malamocco avente altresì (o soprattutto) lo scopo di raccontare la verità secondo Silvina e Jonas Pratt ([10]), figli di Hugo e Anne, contra quella ufficiale ([11]). Ad esso partecipa anche il giornalista e scrittore veneziano.

 

Ho letto diversi libri di Alberto Ongaro, ma quello che fa parte della mia terna de chevet ([12]) rimane il romanzo in cui non succede nulla ai personaggi ma può succedere molto ai lettori, anche di diventare ... bidimensionali come Hugo e Paco o di rileggerlo trovandoci sempre qualcosa di nuovo ([13]).

 

 

                                                                                                                      Steg

 


Dedica dell'Autore su copia del suo primo romanzo: Il complice (1965)
(collezione privata)
 

 

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[1] Scritto un altro post, che non so se pubblicherò, mi sono accorto (secondo la legge inesorabile della tavola sinottica degli eventi) che le date richiedevano una ricostruzione non ad usum prattiani di un paio di eventi.
[2] Lo dichiaro da “figlio di cronista”, cronista che ormai ne ha scritti ben oltre la decina.
[3] Non dimentico Claude Moliterni, ma questi comunque conobbe Pratt dopo che egli aveva collaborato (anche) con Ongaro e quest’ultimo ovviamente aveva scritto il proprio romanzo prima che uscisse su Pif Gadget n. 1296 dell’aprile (data comunque anche di pubblicazione della fatica narrativa ongariana) 1970 la prima storia breve di Corto Maltese.
[4] E siccome Tognazzi non ha avuto bisogno di una consonante muta per affermarsi ...
[5] Secondo Florian RUBIS, Hugo Pratt ou le sens de la fable, Paris, Bein, 2009, pp. 23-24: i documenti italiani furono sempre e solo intestati a Ugo Prat.
[6] Da me (tardivamente, ma comunque) celebrata.
[7] Le edizioni sono molte (anche una italiana molti anni fa intitolata All’ombra di Corto), quindi volutamente non indico la pagina.
[8] Per l’esattezza sul numero 43 del 25 ottobre 1973 e intitolata “Una sera con Pratt. L’Orson Welles dei fumetti”.
Fu ripubblicata da Gianni Brunoro in Corto come un romanzo del 1984, ma senza le fotografie e ovviamente priva dell’appeal del rotocalco.
[9] Hors serie (numero 5) Hugo Pratt: settembre/ottobre/novembre 2002. In particolare si vedano le pagine 64, 65 e 66.
[10] Una verità qualche volta improponibile la loro: vivo l’autore le sue tavole originali circolavano senza problema e questo lo sanno tutti, morto l’autore esse hanno continuato a circolare.
[11] Il volume in questione è ricco di belle foto, ma di immagini prattiane neanche l’ombra, eccettuata qualche vecchia copertina.
[12] Da 40 anni abbondanti.
[13] A parte la passione per Venezia e per Buenos Aires.