ILLUSIONI
MEDIATICHE IN LETTERATURA E IN MUSICA
L’argomento non è
del tutto nuovo per il mio blog, le
prospettive sono diverse.
In Italia (ma
non solo, però della mia nazione scrivo), una volta, le persone ricche e
incolte compravano metri di libri, o di copertine (ma in tal caso era facile
smascherarli), per gli scaffali delle loro biblioteche.
Poi arrivarono i
radical chic (termine coniato da Tom
Wolfe) che esibivano i dorsi dei libri di certi editori (essenzialmente due, se
proprio si doveva sceglierne uno privilegiavano quello di Via Sa Giovanni Sul
Muro, a Milano).
Chiunque abbia
senno, un certo giorno tratta ambo le categorie come idioti, perché ci sono
solo mangialibri (
) oppure bibliofili,
entrambi furiosi (
).
Spesso i dorsi degli
scaffali delle loro biblioteche mostrano tomi poco raccomandabili come le
annotate salgariane di Mario Spagnol, o i monumentali formato album di Garzanti
e Casterman che custodiscono fumetti. La lotta è persa: un formato compromette
tutto e poi non serve nemmeno quello, i libri si accumulano inesorabilmente.
Quando comparve
il formato CD anche persone, fra cui amici, degni di ogni stima dopo un po’ si
persero e dispersero. I dischi, si chiamavano cosi solo quelli in vinile,
vennero venduti, regalati, abbandonati e con loro i giradischi, che chiamavamo
tutti “piatti”.
I primi CD
suonavano malino, quindi le rimasterizzazioni cominciarono ben presto, si
aggiungevano tracce ai CD (
) e
tutti a sostituire anche i sostituti con nuovi sostituti.
Incidentalmente,
ma non troppo: credo di aver venduto una dozzina di dischi, uno lo cercai poco
dopo e lo trovai (
). Sì perché si scoprì che
non tutto era in CD.
Il disco in
vinile è scomodo, ed è diventato costoso – rispetto a un CD (il difetto davvero
“originale” di questo formato è che tutti si sentono autorizzati a riempire
almeno 50 minuti) –, mentre la musica
scaricata non ha aspetto.
Chi compra oggi
il disco non lo ascolta come dovrebbe: cioè senza rispetto eccessivo per
l’usura (
) del
supporto e con coscienza della decadenza inevitabile della confezione e,
chiaramente magari stando in una posizione non ottimale rispetto ai diffusori
sonori. Lo ascolta invece come quando sfoglia un tomo lussuoso, finge di
guardare la copertina e spera che ci sia il codice per “scaricare” il disco su
un apparecchio a riproduzione digitale: ma come non lo hai comprato perché suona
meglio il vinile e poi alla fine ti accontenti delle compressioni industriali?
Chi legge un
libro in digitale si pone mai il problema di non poter – al di là dell’odore
della carta (o della pergamena o del cuoio o ...) – stare in piedi a cercare
fra i dorsi o di sentire il peso di un volume o soprattutto di soffermarsi su
un segnalibro o segnapagina o sottolineature?
Soprattutto: se
non trova il formato digitale non legge?
Il libro di
carta vincerà sempre se fabbricato con buona cellulosa e il disco in vinile
prima o poi tornerà ad essere un formato, non “IL” formato, per ascoltare
musica registrata.
In ultima
analisi, chi crede alle tecnologie in sé, anche con finalità ordinatorie (
), è
un illuso.
Chi ama davvero il
fine (letteratura e musica) soffre – anche se magari lo giustifica – il mezzo,
non lo idolatra (
).
Steg
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