NEW
YORK CITY E IL SUO BEL FANTASMA
(non
andarci da adulti, ma solo tornarci)
Questo è il
quarto (ma è quasi il quinto) ([1]) post
che dedico a New York.
Le angolazioni
mi risultano facili non appena qualcosa me le richiama.
West Side Story oggi non dice molto,
nemmeno il tetto con le gabbie dei piccioni di On The Waterfront. Eppure sono film marcatamente newyorkesi ([2]).
Probabilmente
anche certe prose di Truman Capote, la terza fatica di Bret Easton Ellis o quel
gioiellino di apparente leggerezza che è Fabulous
Nobodies di Lee Tulloch non riescono più a dare quel gusto della Città che
non dorme mai che essi hanno invece in sé.
E pensare che
queste righe nascono dai documentari presenti nel secondo DVD di Taxi Driver in un’edizione commemorativa
fuori moda (sic!), esso ormai film ([3]) che è
anche un evidente omaggio alla metropoli sulle rive del Hudson, la quale per
certi aspetti è diventata tutt’altro, un tutt’altro che spesso è spesso “poco”
e “niente più”. Cioè novità assolutamente dimenticabili.
Pensavo che l’arrivo
in Gotham City dall’aeroporto era di grande impatto molti anni fa.
Ma che arrivarci
da Newark come spesso accade (leggi un turismo sempre più feroce e di massa)
spegne molto fascino, mentre la linea d’orizzonte di Manhattan che appare venendo
dal JFK o dal Laguardia un poco taglia ancora ([4]) il
fiato alla ennesima visita.
I taxi da tempo non
sono più quelle mezze scommesse gialle con le righe a scacchi bianconere anche
senza aria condizionata e però sempre con quelle “partition” di metallo e
plexiglass spesso un centimetro abbondante che ti mettevano in guardia ancora
intorno all’inizio della decade ottanta.
Siamo dunque al
fantasma di una certa città, con Times Square pedonalizzata per fine 2015, tanto
per esemplificare mentre per tutti era comunque un lento ingorgo veicolare, e
il chiosco di arruolamento nel US Marines Corp.
Altre cose le si
dava per scontate: dunque improvvidamente non ho mai comprato una sceneggiatura
di film, con la copertina di un qualche colore fluorescente, venduta su un
banchetto lungo la Broadway verso la NYU.
Le ho viste per
anni, poi sono sparite e della loro sparizione ci si accorge troppo tardi.
Curioso il
destino della Nuova Amsterdam: dal suo fallimento o quasi alla sua rinascita
fin troppo ordinata e pulita (tranne certe stazioni e tunnel della sua
metropolitana, quelli impossibili da bonificare), con un prezzo da pagare molto
alto. Cioè con l’eliminazione di pezzi della sua cronaca che stava diventando
storia.
Ha un senso
andare a New York? Probabilmente non ha senso se si hanno cinquant’anni o anche
solo quaranta: a cercare ciò che non c’è più o che non è più vuol dire essere
passatisti. Solo chi ci è già stato può tornarci, e magari collezionare qualche
altra delusione.
Per chi ne ha
venti forse è diverso, ma con l’avvertenza che molto di quello che vi
propongono è, nemmeno una replica bensì, una ricostruzione ([5]).
Steg
POST SCRIPTUM
Raramente aggiungo a così breve distanza qualche ulteriore osservazione,
ma dati i commenti di due attenti lettori, preciso.
Se si va oggi, soprattutto a 40 (o più) anni, a Gotham City per la prima
volta si rischia di cercare il niente: cosa vedrete agli angoli “up To Lexington, 125” oppure “53rd and
3rd” ([6])?
Era già inutile percorrere Mercer Street (Manhattan) nel 1980.
A tutto il resto, aggiungo due film, utili o meno: After Hours ([7]) di
Martin Scorsese e Alphabet City di
Amos Poe.
Steg
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consenso scritto dell’autore/degli autori.
[1]
Rispettivamente:
[2]
Sebbene il secondo sia girato nel New Jersey.
[3]
Dobbiamo aspettarci cosa per il 40° anniversario del film?
[4] Il
problema è il poco.
[5] Quale
il significato di mangiare – specifico mangiare: tutti quelli che vanno per il
solo merchandising sono dei vorrei non posso – al locale Hard Rock Café?
Nessuna, eppure quello sulla 57th West Street, al civico 221, fu il secondo
dopo l’originale londinese ad aprire: https://www.flickr.com/photos/johnsen/3224300971.
[6] Rispettivamente “I’m Waiting For My
Man” e l’omonima “53rd and 3rd”.