"Champagne for my real friends. Real pain for my sham friends" (used as early as 1860 in the book The Perfect Gentleman. Famously used by painter Francis Bacon)



mercoledì 17 dicembre 2014

ARTURO PÉREZ-REVERTE (Sketches series - 19)


ARTURO PÉREZ-REVERTE
(Sketches series - 19)

 
Se l’autore ha scritto una sola opera, apparentemente è più semplice scriverne.
Se si tratta di un autore di genere, rimane ancora superficialmente agevole scriverne.
 
Poi capita un autore che scrive sia opere di genere sia opere non di genere (o viceversa?).
Quale è il genere? Due opere non di genere sullo stesso argomento sono un secondo genere?
Devo prima aver letto tutto di lui per scrivere un testo corretto? Fatto questo quante interviste devo aver seguito (perché non “leggo” You Tube) per darne un profilo non troppo frammentario?
 
Ma come? Ci hanno insegnato che un autore letterario (chissà perché in altri ambiti no) scrive sempre lo stesso libro.
Forse no (non è infrequente che io descriva per negazione) oppure forse egli/ella scrive sempre la stessa vita (vera o voluta): la propria.
 
La Spagna non è tutta uguale ma, e, soprattutto, io ho una visione linguisticamente castigliana e globale della nazione, senza distinguo politici catalani e/o baschi (almeno sino a che non ci sarà l’indipendenza ([1])), in parte anche Arturo Pérez-Reverte la vede così.
 
Ho avuto la fortuna di assistere a una conferenza milanese di Arturo Pérez-Reverte, il 15 novembre 2014.
Fortuna per più ragioni: i pensieri espressi dal vivo sono più efficaci dei medesimi appresi tramite una registrazione (seppure audiovisiva e di ottima qualità ([2])).
Ma la reiterazione dei medesimi pensieri, lungi dall’essere un tedio, rincuora su certe posizioni angolari (sia perché fondamentali, sia perché spigolose rispetto alla media dei politicamente corretti) dell’Autore che io condivido.
Sono potuto subito arrivare a Il pittore di battaglie, uno dei più bei libri da me letti negli ultimi anni e che, pur se successivo, consiglio di leggere prima di Territorio comanche che lo precede e lo motiva. Ciò in quanto El pintor de batallas è stato citato a più riprese dal suo autore nel corso dell’incontro con il pubblico milanese.
 
Il risultato di tutto ciò è, come mi capita talvolta, qualcosa di incongruente con la fama dell’Autore nativo di Cartagena, la quale si basa sulla saga di Alatriste, salgariana nello spirito e non solo, e su Il club Dumas (che è li da qualche semestre, in attesa che sia il suo casuale turno di lettura. Certo che lo leggerò).
Cioè mi sento ben separato su plurimi piani dal suo lettore medio italiano che, anche per miopia editoriale, difficilmente incapperebbe nei due titoli sopra citati i quali sono al momento nel limbo pre-remainder. Quel lettore che consuma senza percepire lo sforzo del suo creatore la narrativa seriale che tanto tutti rincuora.
Ovviamente in Spagna tutto è diverso.
 
Andate a leggere Limonov di Emmanuel Carrère. Troverete un gusto familiare di sfida alla norma intellettualmente comoda. Proprio come accade con Pérez-Reverte.
Quello che cambia è solo il punto di vista, forse - anche se potrebbe parere strano - intellettualmente più difficile per il testimone storico murciano di quanto possa esserlo per il protagonista/testimone (ma con pseudonimo, nasce Eduard Veniaminovich Savenko) storico Eduard Limonov russo.
Incidentalmente: questa vicinanza la ho segnalata vis a vis quel 15 novembre 2014 all’Autore, il quale, non credo solo per educazione, mi ha detto che il volume di Carrère è fra quelli che sono lì da leggere.
 
Per i precisi (ben oltre questi miei pensieri scarsissimi): http://www.perezreverte.com/.
 
 
                                                                                                                      Steg
 
 
 
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[1] Curiosi gli Italiani che tifano per l’indipendenza nei territori spagnoli ma criticano gli indipendentisti nazionali.
[2] Ci sono diverse belle interviste su YT, cercate quelle lunghe; se non conoscete lo Spagnolo, trovate il modo di seguirle comunque.

mercoledì 10 dicembre 2014

PIERO MANZONI DUE


PIERO MANZONI DUE
(ovvero la rimessa a nuovo dell’artista, morto o vivo)



Leggo un libro pubblicato nel 1990: L’ultima linea di Piero Manzoni, scritto da Paolo Barrile.
Un romanzo ma con molte notizie, dunque una finzione cronistica.

 

Piero Manzoni non è un santo, e lui difficilmente avrebbe voluto esserlo.

 

Casualmente, riordinando la mia piccola bibliografia manzoniana, in questo dicembre 2014 incappo in una notizia vecchia di un anno e più; la Fondazione Manzoni intentava causa a Dario Biagi per il suo libro Il ribelle gentile ([1]) in quanto esso sarebbe diffamatorio. Certo non è “ufficiale” come la biografia scritta da Flaminio Gualoni sotto l’egida della Fondazione ([2]) quel volume, ma proprio il suo autore lo dichiara e peraltro di ricerche ne ha fatte.
La Fondazione è soccombente, in quanto il volume di Biagi non risulta ritirato dal mercato.

 

In base a un complesso di norme della legge n. 633 del 22 aprile 1941, “gli autori delle opere d’arte e di manoscritti hanno diritto ad un compenso sul prezzo di ogni vendita successiva alla prima cessione delle opere stesse da parte dell’autore” ([3]) e anche se il massimo ammontare di questo compenso è di Euro 12.500,00 ([4]), considerati i valori d’asta raggiunti da Manzoni non si tratta esattamente della mancia al lustrascarpe.

 

Ecco allora che come con Hugo Pratt (da vivo e da morto) e con David Bowie (da vivo) e con Morrissey (da vivo), un’immagine ben definita e accattivante dell’Artista Manzoni non è irrilevante.

 

Forse per questo, se quasi un quarto di secolo fa affermazioni - da interviste di Barrile - come: “A Piero, soprattutto alla fine, andava bene tutto: bianchini, pernod, vermouth, vino, soprattutto vino” ([5]) e “Piero [...] era in coma etilico. Nanda [Vigo, sua fidanzata] lo sapeva, ma non era preoccupata” ([6]) e “Dicono che Piero si fosse suicidato. Non è vero. Ma in un certo senso può essere. Lui stesso mi confidò negli ultimi tempi, e in diverse circostanze, di averci pensato” ([7]) potevano essere tollerate (o non conosciute o, addirittura, conosciute ma semplicemente scientemente denegate), nel 2013 possono essere pregiudizievoli ([8]).

 

Del resto, l’affermazione della sorella minore di Piero Manzoni, Elena, rinvenibile nel documentario del 2014, ufficiale evidentemente, Piero Manzoni Artista (regia di Andrea Bettinetti), per cui egli avrebbe impiegato per la realizzazione della propria Merda d’artista delle preesistenti confezioni di carne in scatola appare risibile: chi ha mai commercializzato razioni da 30 (trenta!) grammi?
Per quale motivo doveva mentire Dadamaino (nata Edoarda Emilia Maino) a Barrile dichiarando nel 1990 (forse 1989) che Manzoni defecava per finalità multipla, ma nobile (secondo altri ivi si sarebbe “allenato”, per poi produrre a casa propria) nella vasca da bagno di Via Bitonto, in quell’appartamento milanese di proprietà dei genitori di Edoarda, giovane sodale di Piero? ([9])
 
Ma così vanno le cose, e quindi nessuna menzione dell’opera di Barrile da parte della biografia che gode dell’investitura della Fondazione, e nemmeno della tesi di diploma di Mauro Maffezzoni del 1986 ([10]) e neanche della tesi di laurea di Antonella Fabemoli, concittadina di Manzoni, del 2003 ([11]): tutti e tre i volumi sono citati da Biagi ([12]).
Ebbene, questo tipo di revisionismo storico continua a non piacermi, lo ho già scritto ([13]), ma è meglio essere chiari.

 

 

                                                                                                                      Steg

 

 

 

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[1] Sottotitolato: La vera storia di Piero Manzoni.
[2] Piero Manzoni Vita d’artista, di qualche mese precedente il tomo incriminato.
[3] Articolo 144, comma 1, legge n. 633/1941.
Alla morte il diritto si trasferisce per 70 anni agli eredi (articolo 148).
[4] Articolo 150, legge n. 633/1941.
[5] L’ultima linea …, cit., p. 190.
[6] Idem, p. 191.
[7] Idem, p. 192.
[8] Mi piacerebbe leggere gli atti di causa, anche perché se io fossi stato il legale di Biagi avrei fra l’altro fatto presente come non solo Barrile nel 1990, ma anche l’autorevolissimo Corriere della Sera nel giugno 2007 a pagina 43 (una splash page realizzata in occasione di una mostra retrospettiva napoletana sull’artista milanese, nato a Soncino) così dichiarava “Tutte le biografie riferiscono che Manzoni morì d’infarto; alcune testimonianze scritte affermano che l’ultima persona a rivolgergli la parola fu probabilmente Pino Pomé, l’ oste che gestiva la trattoria all’ Oca d’Oro di via Lentasio, a due passi dal corso di Porta Romana. Ma le cose non andarono così. Piero Manzoni morì a 29 anni, nelle prime ore del mattino del 6 febbraio 1963, a causa di una devastante cirrosi epatica: il collasso cardiaco fu una conseguenza. A raccontarlo è Nanda Vigo, allora compagna dell’ artista.” (l’articolo è a firma di Francesca Bonazzoli, intitolato “Mi innamorai delle sue visioni e lo seguii fino all’ultimo bar”, fu pubblicato il giorno 3 ed è ripreso anche da Biagi).
[9] E chi è adesso proprietario della Merda numero 17 che l’amico aveva regalato all’amica e che io vidi esposta nel 2010 a Bologna?
[10] Intitolata Indagine su Piero Manzoni e discussa all’accademia di Brera.
[11] Intitolata Il caso Piero Manzoni – Quando l’escremento divenne Arte; nel 2009 auto pubblicata come libro, è ancora disponibile.
[12] Cui faccio un solo appunto: aver modificato (salvo dove citava altri) la grafia di Giamaica.

giovedì 4 dicembre 2014

I MILANESI (“Salviamo Milano” reprise)


I MILANESI
(“Salviamo Milano” reprise)

 

Ho impressionato (pittoricamente, non fotograficamente) di milanesità, in modo più o meno diretto, alcuni precedenti post.

 

Loredana Bertè, Luciano Bianciardi, Gianni Brera, Dino Buzzati, Franco Cavallone, Oreste Del Buono, Gian Carlo Fusco, Giovanni Gandini, Angela e Luciana Giussani, Piero Manzoni, Gigi-Yole-Susanna-Silvia e tutti gli amici dell’eliporto di Via Galvani (whatthefuck!), Renato Olivieri, Pietro, Enrico Ruggeri, Giorgio Scerbanenco, Umberto Simonetta, Antonio “Tonito” Talatin, Beppe Viola.
Emilio Salgari sarebbe stato un grande milanese; infatti, ben pochi di quelli qui sopra elencati sono nati a Milano.

 

Un vero milanese rimpiange i panini di “Cesare degli special” in Via Turati, non quelli di Gattullo.
E sa indicare la sede primigenia del Donini.
Premio speciale per chi mi dice che negozio c’era di fianco al lato bar del Savini (non serve essere “futuristi a caraffa” o sapere chi occupava i primi 4 box del ristorante simbolo di Milano, allora, per saperlo).
Perché Milano è morta, non per colpa (o a causa) di Bettino Craxi, e non risorge.

 

Ricordo una tarda sera, dopo cena, “al Giamaica” ([1]) con mamma e papà, dicembre: io dovevo essere sugli 8-9 anni: mi ordinano un “canarino”: la Signora Lina chiede ai miei genitori se sono adottato: il mio giaccone blu da marinaio ([2]) evidentemente fa molto Martinitt ([3]), smentita e mezze risate dei miei genitori di cui sono subito reso partecipe (grazie).

 

Io ho ricevuto la Pour Le Merite jugend-gavrochista per il mio frequentare Brera quando ancora Crippa o Kodra pagavano i conti al Soldato d’Italia con i quadri, le Merde non si vendevano, i travestiti erano delle anomalie (e a un alunno delle scuole elementari talune perplessità suscitavano) e, qualche anno dopo, con Pietro si tirava, lui alla guida io sui 14-15 passeggero, con/il (dune) buggy con motore Porsche (freni fuckallisti, evidentemente, e cinture di sicurezza whatfor?) sui listoni di Via Pontaccio come fosse un dragster su un quarto di miglio e frenata a paracadute.

 

Gli schizzi della mia tavolozza sono finiti, perché non voglio ripetere gli acquerelli che trovate cercando fra le etichette di queste righe e con qualche sponda ulteriore nel blog.

 

E ricordate, se volete, che fra gli amici ci sono Mauro “Maurino” Di Francesco e Cochi Ponzoni (fra i morti Giorgio Porcaro, not forgotten) piuttosto che i famosi, un film come Kamikazen di cui non esiste DVD, etc.

 

Dedicato ([4]) a: Valerio A. (prima o poi ...); Pino M.; Gigi, Yole, Susanna e Silvia M.; Cesare M. (RIP 2014); Pietro Q.; tutti quelli che - vivi o morti - non abbisognano di istruzioni, compreso mio zio Mario S. (RIP 2014) un napoletano “di Milano” che ha spiegato due o tre cose a Umberto Eco (uno di Alessandria, ancora oggi, mai stato milanese).

 

Un milanese non parla mai di panettone.
Buon Natale, comunque.

 

 

                                                                                                                      Steg

 

 

 

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[1] Allora si chiamava ancora Giamaica. Adesso invece (anche il Giamaica non è più il Giamaica) http://www.jamaicabar.it/.
[2] Tagliatomi su misura da mio nonno, übertailor: si chieda a chi era allo Hurrah manhattanita nel 1980 a vedere i Dexy’s Midnight Runners a gomito con me che indossavo un suo blazer sfoderato.
[3] Se devo tifare, tifo Angelo Rizzoli senior, vs. Arnoldo Mondadori: cfr, Oreste Del Buono, Amici, amici degli amici, maestri ….
[4] Pantera Loredana dal ferino avorio luccicante in Via Verri al chiaro di luce artificiale fuori dal No Ties, 1980 a settembre di sera. Già scritto forse, ma fa niente.