GOING BANANAS?
(ovvero note semiserie a proposito di diritto d’autore,
diritti della personalità e santificazioni affrettate)
La notizia è molto più interessante (anche al di fuori del profilo giuridico) di quel che sembri.
Provenendo dagli USA, da New York City in particolare, essa mi risulta ancora più cara.
I soggetti coinvolti, poi, dei monumenti. Ma coloro che sono il casus belli in realtà sono a stento menzionati.
I fatti, come sono risultati prima da scarni rapporti di agenzie d’informazione serie (Reuters) e siti Internet a prova di sensazione (BBC), e poi dalla lettura dell’atto introduttivo della causa (20 pagine), sono qui riassunti ([1]).
The Velvet Underground ([2]) nel gennaio 2012 intentano – presso una corte di Manhattan, in applicazione della normativa federale sul copyright (ma per smentirne l’applicazione in favore della controparte), falsa designazione dell’origine dei prodotti, concorrenza sleale in base alla normativa statale applicabile, appropriazione indebita del “valore” assunto dal marchio (in modo incidentale si possono ipotizzare diritti alla immagine commerciale) ([3]) – una causa contro la Andy Warhol Foundation for Visual Arts.
Ciò in quanto la fondazione lo scorso 2011 ha concesso in licenza ad Apple (ecco i “rovina famiglie” – more to follow) l’artwork della banana sbucciabile del primo album ([4]), The Velvet Underground and Nico, per impieghi commerciali.
Notevole vicenda perché:
- pare improbabile che gli artisti abbiano diritti patrimoniali di qualche genere su questo che realmente si può chiamare (più che “lavoro d’arte”) “opera d’arte”, ma come vedremo non si parla, per ora, di artisti in senso stretto,
- costume vorrebbe che quella “copertina” fosse stata pagata dal produttore di fonogrammi dell’album in questione: MGM Records (allora, oggi Universal). Evidentemente non fu così, anzi il gruppo e il Maestro Warhol si divisero un anticipo di 3.000,00 dollari;
- Andy Warhol, in ogni caso, fu il catalizzatore del riavvicinamento fra Lou Reed e John condusse al loro album dedicato al comune mentore: Songs For Drella, pubblicato nel 1990. Del 1992 è poi la reunion di The Velvet Underground.
Eppure il sicuramente litigioso Lou (Statunitense) e il più riflessivo John (Gallese) conducono ([5]) attraverso la loro “partnership commerciale” ([6]) una campagna contro – non il colosso Apple, del resto “terza parte” e se fossimo in Italia sicuramente immune da critiche in diritto, ma – l’anello debole e cioè gli eredi di Warhol, una fondazione, in una vicenda che ha chiaramente delle connotazioni emotive ben ponderate dagli attori nella causa.
Peggio di così non si può, nel senso che è piuttosto sgradevole l’operato forse superficiale di chi gestisce la AWF , un’iniziativa tale da indurre due artisti certo non alle prime armi a un passo formale corretto (secondo la loro impostazione), ma che sa di lite familiare, di una famiglia solida al di là di liti e ripicche ormai dimenticate anche in ragione della morte di più di un membro della medesima.
Quale è il problema? Che The Velvet Underground non vogliono essere associati a una commercializzazione della banana warholiana senza essere interpellati e prestare il loro consenso ([7]); poiché peraltro l’associazione fra prodotti (Apple) e artisti è effettivamente inevitabile l’unico rimedio è quello di fermarla legalmente.
Causa vinta, dunque? Nessun bravo avvocato vi direbbe di sì e le complicazioni non sono modeste; però diciamo che sulla carta se si presentassero i Signori Reed e Cale nel suo studio, una diffida ad Apple la avrebbe scritta anche un avvocato appassionato di folk vietnamita nato nel 1982.
Comunque (e dopo infruttuose diffide, appunto), la band, o meglio i suoi rappresentanti, chiede che sia bloccata ogni iniziativa commerciale non autorizzata e un bel risarcimento per i danni subiti.
Senza sputare sul consumismo, può in effetti dare fastidio anche a chi considera The Velvet Underground dei giganti (e non solo a loro, quindi) un uso disinvolto di immagini a loro necessariamente associabili.
Pertanto, l’azione giudiziaria intentata non stupisce.
E le santificazioni? Beh non mi pare che alla morte di Steve Jobs le voci stonate siano state molte, ammesso che ce ne siano state.
Anzi, usualmente “buono Jobs e cattivo Gates” è un mantra accattivante per coloro che usano l’informatica. O sbaglio? Per me nessuno dei due è buono o cattivo, e occorre ragionare in altri termini.
Eppure, appunto, Apple (vivo Jobs) non è che con i titolari dell’altra Apple (The Beatles, ovviamente) avesse sempre avuto dei rapporti idilliaci.
Eppure, ancora, mi pare che i nasi si storsero solamente quanto Microsoft ottenne da Mick Jagger e Keith Richards (cioè dal/dai soggetto/soggetti che gestisce/gestiscono i diritti editoriali e quelli “connessi” dei Rolling Stones) la licenza per l’uso di “Start Me Up” (opera e registrazione, appunto).
Una conclusione (piuttosto che una morale)? Non tutti per del danaro accettano tutto ([8]).
In ogni caso, occorre sempre non peccare di superbia o presunzione oppure semplice ignoranza dei delicati meccanismi che legano persone, opere dell’ingegno e diritto (o anche solo persone e diritto) e che poi da questioni di principio diventano questioni patrimoniali.
Inoltre, non si deve nemmeno mettere acriticamente e perennemente sul piedistallo qualcuno, con la pretesa che tutti vorranno un suo “santino” nel proprio portafoglio e che gli (cioè alla “sua” impresa o alle “sue” imprese) attribuiranno, acriticamente, la capacità di realizzare solo prodotti perfetti e da tutti desiderabili.
Steg
© 2012 Steg, Milano, Italia.
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[1] Questa è quindi la seconda versione del post che viene pubblicata, in sostituzione della prima (i fatti extragiuridici rimango gli stessi).
[2] Poiché è la versione più accreditata, mantengo il “The” in tutto il post.
[3] Ricordo come nei sistemi di Common Law i diritti morali di autori e artisti siano piuttosto blandi.
[4] Colgo l’occasione per domandarmi come mai Stefano Bianchi , giornalista preparato e attento, abbia speso due pagine piuttosto laudative sulla mostra “Da Bacon ai Beatles” che, come ho scritto, ha anche confuso questo artwork con una banale imitazione.
[5] I siti e le agenzie si riferivano invece al gruppo. Non essendo così, l’illazione per cui potessero essere coinvolti Moe Tucker e, financo, gli eredi di Sterling Morrison e Nico è priva di fondamento. Il che non esclude che in caso di successo della causa, possano ipotizzarsi altre dispute.
[6] Di cui sono i “general partners”.
[7] L’immagine del frutto, in sé, pare fosse stata prelevata da Andy Warhol da una pubblicità peraltro non più protetta da alcuna norma giuridica: ciò non stupisce.
[8] Anni fa Tom Waits vinse una causa in Italia per un’iniziativa editoriale condotta senza la sua autorizzazione, eppure si trattava di commercializzare la sua musica.
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