“ATTACCHEREMO
PALAZZO MARINO IN FILOBUS”
(i
testi dei primi Decibel)
Il 2017 è l’anno
del ritorno sulla scena dei Decibel capitanati da Enrico Ruggeri.
Riascoltare i
loro primi due album e quel singolo intermedio evasivo in quanto le canzoni
altrimenti non disponibili () aiuta
nuovamente a ricordare cosa succedesse a Milano a quei tempi e cosa rimanga
oggi almeno nelle menti di alcuni, pochi invero.
Con tutta
evidenza – tardiva – nell’autunno 1978 probabilmente non c’era (molto) tempo
per ascoltare anche i Decibel, e forse nemmeno danaro in tasca per comprare
anche quel disco (): considerate un po’ quali
furono le uscite di quei mesi, mentre si cercava ancora di assimilare il 1977.
Con Pino Mancini
(uno dei chitarristi del gruppo) divisi la classe alle scuole medie.
Ai Decibel tirammo
qualche manifesto appallottolato in occasione del primo concerto (su due) che
aprirono a Milano per Adam and the Ants: era il 16 ottobre 1978.
E allora? Non è
questione di contarci fra superstiti 39 anni dopo, bensì di ricordarsi chi
siamo, ancora, senza la pretesa di scavalcare le interpretazioni autentiche
fornite da Enrico Ruggeri.
Il titolo del post evidentemente è una iperbole (anche
perché a Milano nessuna linea filoviaria raggiunge Piazza della Scala), ma “filovia”
è nel testo di una delle canzoni del primo album decibeliano.
PUNK
“Figli di …”.
Questo è un
disco milanese, e quindi i protagonisti hanno genitori che leggono il Corriere
della sera ().
Siamo fuori
dall’ingranaggio se abbiamo capito di
cosa si sta cantando. Ancora oggi siamo “i
figli”, nel senso che non siano entrati a far parte dei “servi”.
Secondo un modo
di dire, a sinistra c’erano i pirla con il Burberry’s, a destra invece quelli
con la giacchetta di renna. Ecco noi ci siamo salvati dagli opposti estremismi
modaioli oltre che da quelli non modaioli ma in divisa (vedi eskimo), semmai
indossando un giubbotto di pelle nera.
“Paparock”.
La censura
cattocomunista (per usare un termine dell’epoca) aleggia: ecco quindi che la
voce di Ruggeri è alterata e il testo della canzone non è riprodotto con gli
altri.
Per fortuna noi
ci siamo salvati sia dal pontefice r’n’r, sia dai preti in maglione (CL o
sinistra poco importa); non è accaduto a molti.
“LSD Flash”.
Sono tentato di
dire “fate voi”.
Poco rock ‘n’
roll di vaglia. Il sesso come droga? Ma perché LSD: metrica?
“Superstar”.
Ruggeri su
questa canzone ha già detto e scritto più volte tutto.
Io senza di lui
continuo a non pensare a John Lennon, penso al filobus (linee 90 e 91).
Concludo che il
protagonista della canzone non abbia ucciso il suo idolo, perché senza il suo
idolo il fan muore.
“Il leader”.
Mirabile sintesi
della vita studentesca fra licei e istituti tecnici italiani (e milanesi in
particolare) fra il 1972 e il 1978.
Sorta di completamento
a contrario di “Figli di …”, con essa si spiega perché altri (ed io) ci siamo
salvati grazie alla musica e al punk in particolare.
“New York”.
Questo è il mio
tallone d’Achille.
Avendo visitato
Gotham City sin dal 1975, ho sempre sentito ingenuità fra le righe.
Comunque un po’
di Lou Reed, di Taxi Driver e di
scena musicale cui si anela sono evidenti.
“Col dito …
col dito”.
Chi ha anche
“solo” 40 anni non ha la percezione del femminismo militante, che però quaranta
anni fa (appunto) si scontrava con i “cazzi duri” dei compagni maschi.
Alla fine era
muro contro muro fra i due sessi, tale da portare anche – e in questo io plaudo
– a una sisterhood che scavalcava
quasi tutte le barriere politiche.
Ma ciò posto, la
canzone critica i peggiori aspetti del femminismo.
Mentre io dedico
queste righe alla mia compagna di classe Stefania Bosio, femminista e fascista,
picchiata dal servizio d’ordine trotzkista del liceo con regolarità
impressionante.
“Il lavaggio
del cervello”.
Si chiude come
si è iniziato: dichiarando la propria non accettazione della omologazione – con
qualche contentino, stavolta non a rate () bensì
calcistico – entro una massa non pensante.
“Indigestione disko”/ “Mano armata”
“Indigestione
disko”: verrebbe da chiedersi se serve una analisi.
La “k” ricorda
quella di “Kossiga” (Francesco; che la “meritò” come ministro dell’interno nel
1977): ovvero la accezione positiva del negativo che originò nel novembre 1962
con Diabolik si era persa.
La grandezza di
questa canzone (troverete analogie tematiche nella solista “Generazione combustibile”
()) è
il disprezzo per quella dozzinale evasione dal quotidiano che era ed è la spina
dorsale della sconfitta del proletariato a sinistra () ma
anche e ancor di più di quella piccola e giovane borghesia impiegatizia – di
cui i figli di quei proletari arrivano a far parte – che teme di perdere quanto
comprato a rate (allora poche) dai propri genitori.
“Mano armata”
().
Il proletariato
– politicizzato o meno – è incazzato. Ma cambiano i modi di esprimere la
rabbia.
A Milano le
“batterie” (così si chiamano le bande di delinquenti) sparano. Per i boss
piccoli gregari giocano a poker o a dadi, nelle bische o alla luce dei lampioni
di piazze ().
Ecco quindi che
questa canzone (di cui esiste anche una versione con un testo più duro) fissa
l’idea dell’esproprio, che non è “proletario” per ideologia di estrema
sinistra, bensì per uscire dalla dimensione sociale di partenza di chi lo
compie.
VIVO
DA RE
“Il mio show”.
Onestamente,
vedo pochi proclami.
A parte una
“marchiatura” bovina della ennesima donna sbagliata, che pretende cultura, lo
skerzo forse è sparksiano.
“Supermarket”.
Non molla la
rabbia anticonsumista del primo album, con ammiccamenti testuali a una
trasmissione televisiva dedicata ai fumetti (“Gli eroi di cartone”).
La miopia di chi
ascolta è evidente: è la estrema destra, e non la estrema sinistra, a criticare
il consumismo; la seconda lo sfrutta.
Sul tema dei
consumi Ruggeri tornerà molti anni dopo con “Centri commerciali”, ma questa
volta il prezzo del consumismo è ancora più alto: solitudine non volontaria.
“Pernod”.
Come noto,
questa canzone sventa un suicidio del suo autore.
Forse anche
perciò una sua nuova versione è inclusa nell’album decibeliano del 2017 Noblesse oblige.
“Ho in mente
te”.
La cover di una
canzone della Italia “complessista” () e
“beat”; anni sessanta.
Certo avessero
scelto “Pugni chiusi”, “Ragazzo di strada”, o “La quindicesima frustata”
sarebbero stati più taglienti.
Prendiamola come
la pausa in angolo fra un round e
l’altro.
“Sepolto
vivo”.
Bravi!: Edgar
Allan Poe?
Kafka oppure The
Damned o solamente Zio Tibia?
“Vivo da re”:
Quoi faire?
Autentico
albatros ruggeriano, cui non credere
quando anche nel 2016 egli sostiene il suo immedesimarsi in una rock star a lui
estranea oppure futura.
Questa canzone
sta a Enrico Ruggeri come L’infinito sta a Giacomo Leopardi, in quanto è la
canzone, fra le più belle, per cui è più spesso ricordato.
Le stimmate del lost boy sono incancellabili, Ma per
assurdo esse fanno male non a chi le porta, se questi accetta di portarle.
Opera musicale
che mi pare insuscettibile di essere riferibile anche a una donna come voce
narrante.
Non vi basta?
C’è un mio post su di essa: http://steg-speakerscorner.blogspot.com/2017/01/vivo-da-re.html
.
“Contessa”.
Ancora vezzi
musicali figli della nuova formazione: Steve Harley e i suoi Cockney Rebel?
Per tutto il
resto rivolgetevi ai soliti critici musicali, anche recentemente smentiti da
Ruggeri.
Il finale è
ovviamente debitore di The Stranglers.
“A disagio”.
“Sepolto vivo”
parte seconda?
Certo il tenore
sia musicale sia letterario non si avvicina nemmeno alla tragedia – meno
“ombelicale” di quanto si possa pensare – di “All The Madmen” di David Bowie.
Prendiamola
dunque per ciò che è.
“Teenager”.
Vi dico Serge
Gainsbourg e Jane Birkin.
Vi dico:
Maurizio Arcieri e Christina Moser.
Cioè vi dico
l’opposto di quanto declamano i Decibel. O no?: “rimani qui”.
“Tanti auguri”.
Gli spigolosi
che non amano i compleanni.
Ricompare la
“fossa” poeiana (qui faustiana).
“fard”: se non è “Time” (ancora David
Bowie ())
allora è la crepuscolare Gloria Swanson.
“Peggio per
te”.
Indubbiamente
esiste un problema: i Decibel (o Enrico Ruggeri) con le donne non vanno
d’accordo a lungo.
Tranne con una:
la destinataria di “Vivo da re”.
Occorre però
essere sinceri e confessare la propria decadenza.
“Decibel”.
()
Necessariamente anthemica.
Eppure classica
come l’ultimo saluto di Leonida alla propria moglie prima di partire per le
Termopili.
Vinti mai: si
muore solo in battaglia, la propria, dunque esistenziale.
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consenso scritto dell’autore/degli autori.
Una
stranezza per l’Italia, tipica prassi invece nel Regno Unito per tutto quanto
originasse dal punk.
Ed
infatti la mia copia me la vendette Tonito.
Già
esistevano La Repubblica, il Giornale (allora “Nuovo”) fra i quotidiani del
mattino.
Repetita juvant? Comunque allora non c’erano TAN e TAEG.
Dall’album Polvere.
Sconfitto dalla pelliccia
di (finto) visone per la moglie.
Non
esiste una norma che parli testualmente di “rapina a mano armata”, ma
convenzionalmente tale è quella considerata nell’articolo 628, comma terzo, n.
1), del Codice Penale.
Come
quella di fronte alla stazione ferroviaria di Porta Garibaldi.
Si chiamavano “complessi”,
allora. Poi sono venuti i gruppi e quindi le band.
Ognuno ha i suoi
riferimenti.
Enrico Ruggeri nella sua
autobiografia Sono stato più cattivo afferma che il nome deriva dalla
strofa di una canzone dei Mott The Hoople, sì ma quale?
Ebbene
si tratta de “The Golden Age Of Rock & Roll”, contenuta nell’album The
Hoople.
Il
riferimento sarebbe il seguente: “the line about ’96 Decibel freaks’ a
reference to the city of Leeds attempt to impose a noise limit on rock concerts”:
https://schlockmania.com/blog/mott-hoople-1974.
Per la precisione, è l’ultima riga del testo (che come
la musica è di Ian Hunter): “You ninety-six decibel freaks”.
Specifico, anche, che l’album fu pubblicato con “inner
sleeve” contenente i testi delle canzoni.