Personal insignias |
LEMMY KILMISTER
(Sketches
series - 25)
Strana
traiettoria quella di Ian Fraser “Lemmy” Kilmister.
Si dovrebbe comprenderlo
leggendo un qualsiasi buon profilo biografico ([1]).
Un ex roadie, nato nell’anno della fine della
seconda guerra mondiale, dopo qualche esperienza di seconda linea approda, come
bassista, nel 1972 a
un gruppo per lo meno di buona popolarità ([2]) come
gli Hawkwind.
Il resto
dovrebbero saperlo tutti quelli che stanno leggendo queste righe, se non fosse
che: sono passati decenni, le logiche musicali con il punk un poco si sono
modificate, eccetera.
Dunque, a parte
il mistero sul suo abbandono o la sua espulsione dalla band dopo aver cantato nella registrazione della loro canzone più
nota, “Silver Machine” ([3]), e nel
1977 una situazione “alla Mott The Hoople” della sua nuova e definitiva
formazione: i Motörhead, tutto potrebbe finire come per molti: una navigazione
più o meno a vista, e un dimenticatoio che un bacino artistico ben più ampio di
quello italiano come è quello britannico (peraltro comunicante con il “vaso
nordamericano”) avrebbe per lo meno propiziato.
Invece,
succedono altri eventi: effetto punk, effetto un genere musicale inesistente
come è quello della Testadimotore ([4])
dunque capostipite (ma senza epigoni per diverso tempo), effetto NWOBHM ([5]),
vedete voi.
Captain Sensible
([6])
ricorda ([7]) come
Lemmy suonò con loro in qualche concerto quando Brian James lasciò la quasi
“sua” creatura The Damned ([8]).
In conclusione,
Lemmy e Motörhead approdano al 1980 e hanno successo commerciale, preceduto
dall’eccellente album Overkill e dal
suo successore (più fortunato nelle vendite) Bomber, con quella che poi diventerà una canzone culto per il suo
perfetto connubio fra testo e musica, per lo meno nel senso che può essere
eseguita con successo da quasi chiunque ([9]) e
può essere canticchiata in stanza da bagno e per la circa metà dell’umanità
(quella maschile) conoscerla diviene una sorta di patente di legittimità comportamentale
a tutto o quasi: mi riferisco a “The Ace Of Spades” ([10]).
L’asso di picche
e la testa di porco cornuta e incatenata simbolo del gruppo ([11])
diventano così inconfondibili, i bassisti ottengono più considerazione: Lemmy
canta e suona quale frontman di un
trio.
Lemmy sembra
immortale, con ogni e tutti i suoi abusi.
La verità è che
gli album Ace Of Spades e Iron Fist (sebbene in tono minore del
precedente) sono degli album potenti e che reggono il peso degli anni, mentre
l’album dal vivo No Sleep 'til Hammersmith che li inframmezza ([12])
diventa addirittura un modo di dire ([13]).
La capacità di
Lemmy di evitare il cliché metal
scontato (ricordo i progetti con Girlschool e Wendy O. Williams dei Plasmatics)
e il fatto che egli non “arrivi dal nulla” ([14]),
portano a quella fine degli anni ’80 del XX secolo in cui, in una sorta di
spensierata accettazione ed emersione del “diverso dalla norma”, anche i
Ramones diventano popolari: ed infatti Lemmy scrive “R.A.M.O.N.E.S.” per i
quattro di Forest Hills (e la esegue anche dal vivo con i Motörhead).
Nella decade
successiva tutto diventa americano: Per i successivi 25 anni Lemmy Kilmister
vive a Los Angeles ([15]) e
si gode, senza eccessivi sciali, una carriera comunque costruita su basi solide
che ancora si declina con Motörhead.
Egli è riverito
come una leggenda vivente da una scena che è talmente zigzagante da essere
incontrollabile: basta considerare il parterre
de roi che affolla il precitato documentario Lemmy, le divisionen più
o meno corazzate di giovani (giovinastri?) che esibiscono cinture a cartucciera
e/o incroci improbabili di stivaleria che sta fra le pianure verdi del west
ottocentesco e quelle più piovose di una blitzkrieg
autunnale europea.
Rammento
un’esibizione del 2007 della Testadimotore al Festival Jazz di Montreux
(Confederazione Elvetica) ([16]).
Sorta, se si vuole, di celebrazione definitiva.
Ma evidentemente
i conti si pagano: non mi dilungo sulla salute di Lemmy, certo è che quando sui
“social network” è arrivata la notizia del suo settantesimo compleanno il 24
dicembre 2015 essa sembrava quasi miracolosa, date le cancellazioni di concerti
dello stesso anno per motivi, appunto, legati al suo non star bene.
Questo post è soprattutto per chi, da domani,
userà una canzone dei Motörhead come suoneria di sveglia: un amico diceva di
averlo fatto, più di 30 anni fa.
Steg
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senza il preventivo ottenimento, in ciascun caso, dell’espresso consenso
scritto dell’autore/degli autori.
[1]
Probabilmente dovrete leggerne qualcuno e raffrontarli.
[2]
Impossibili i paragoni fra decadi: basta che voi raffrontiate quante copie
vendute occorrevano per un disco d’oro nel 1970 e quante ne occorrono oggi.
[3] Ne esiste anche una
versione cantata da Billie Ray Martin.
[4] Il
nome sembra riferito al tossicodipendente da anfetamine; la umlaut sulla
seconda “o” un evidente omaggio a una sua passione per la militaria tedesca,
prevalentemente della seconda guerra mondiale.
[5] New Wave Of British Heavy Metal: https://en.wikipedia.org/wiki/New_Wave_of_British_Heavy_Metal.
[6] Membro fondatore di The
Damned.
[7] Nel film documentario
intitolato Lemmy.
[8] Tuttora esistenti.
[9] Ma
fate attenzione alla versione che trovate come seconda canzone nel secondo CD
della versione expanded dell’eponimo
album: manca qualcosa oppure c’è troppo. Un po’ come accade per una prima
versione di “Pretty Vacant” dei Sex Pistols, per chi conosce questa canzone.
[10] Fra
l’altro il verso “You know I’m Born To Lose” e il motto derivato: “Born To
Lose/Live To Win” evocano una canzone de The Heartbreakers di Johnny Thunders,
aggiungo pubblicata su disco da Track Records, cioè il produttore anche di Jimi
Hendrix.
[11] Usualmente si parla di
war-pg o di snaggletooth.
[12] Ma non si esibirono a
Londra,
[13] Rammento le magliette
della crew di Siouxsie and the
Banshees durante il loro tour estivo del 1981: questo sì fece tappe a
Hammersmith.
[14] Ricordo una cover di “Louie
Louie”.
[15] Come noto: Los Angeles
dice “fuck me”, ma a che prezzo?