“MILANO?
LIBRI!”
(e il
Notaio Franco Cavallone, con Giovanni Gandini fintamente defilato)
Titolo e
sottotitolo dicono tutto di quanto andrò a scrivere, in quanto – ognuno a
proprio modo (anche per ragioni generazionali) – io e il Notaio Franco
Cavallone avevamo in comune (
) una
libreria: la Milano Libri, appunto.
In realtà non
solamente “una libreria” perché essa è stata anche editore cruciale.
Non credo di
esagerare se affermo che senza la Milano Libri la storia del fumetto italiano
avrebbe potuto essere per lo meno ritardata, ma io credo sarebbe stata anche un
poco diversa.
Ecco perché la
bibliografia di queste righe potrebbe essere totale: tutto il catalogo
editoriale, anche periodico, della Milano Libri almeno sino a che Oreste Del
Buono diresse Linus, più le due
eccezioni che seguono. Ma non ne varrebbe la pena.
A contrario, le
fonti selezionate si possono ridurre a tre volumi:
Caffè Milano di Giovanni Gandini (del 1987),
Il Notaio Cavallone (collettaneo del 2005; fuori commercio) e
Milano Libri 1962/2012 (collettaneo del
2012); quello di Gandini (
) è l’unico
edito da altri: Scheiwiller. Si tratta di testi non facili da reperire (
).
In un incisivo
testacoda (
): Cavallone è il prefatore
dell’antologia di Gandini; il quale ivi scrive di Cavallone, ma senza nominarlo
espressamente per cognome.
Copie di quei
tre libricini evidentemente fanno parte della mia biblioteca.
Ricordo, molti
anni fa, di aver assistito alla conferenza di Gianfranco Dioguardi, presentato
da Umberto Eco, presso l’Accademia di Brera, un sabato pomeriggio a proposito
del suo volume Il furore di essere libro.
Ma io ricordo un titolo diverso: “Il furore di avere libri”. Quel volume, lo
pubblicò mio zio, libraio antiquario.
Si torna
comunque al punto di partenza: Milano e i libri.
Un certo giorno
ti accorgi dei libri.
Ne sei
proprietario, ma anche custode. Cosi ti domandi cosa sarà di loro alla tua
morte (
).
I libri e i fumetti.
Come sancisce,
letteralmente ma con una mera strizzata d’occhio, Umberto Eco a tutti quelli
che sanno, capiscono e sorridono senza bisogno di note esplicative, quando egli
pubblica quel libro incongruente e ameno che è La misteriosa fiamma della Regina Loana.
Ho parlato di
fumetti: li trovate nelle due pagine che GG dedica a quelli “
in città”: come visitatori,
evidentemente, tranne la Rosselli (e le sorelle Giussani, aggiungo io alla
lista sua, con evidente incongruenza ma forse neanche tanto) (
).
Fin troppo
facile trovare delle esili oppure robuste fila del discorso: il Piemonte di Eco
e Cavallone, la rivista Linus che
coinvolge Eco e Cavallone (oltre a Del Buono, cui aggiungo lo stealth Ranieri Carano) ed è edita da –
ormai evidentemente – “la” Milano Libri.
Si fa a questo
punto il momento per buttare dei bei pezzi di carne in pasto ai lettori-fiera
di queste mie righe, con una qualche benedizione di Anna Maria (o Annamaria o
AnnaMaria), moglie di Giovanni nata Gregorietti, Gandini la quale – lei oggi finge
di non ricordarlo, forse per giusta vanità femminile? – mi vedeva rovistare nel
basement della Milano Libri di Via
Verdi (
) a
recuperare i numeri di
Linus e dei
relativi supplementi mancanti nella collezione di famiglia quando io nemmeno
ero decenne, poi ancora io a comprare il
Metallo
Urlante francese e tutto quanto fosse edito dal genovese Ivaldi che ancora
mi mancava (
).
Posso
innanzitutto dirvi che non c’ero il 1° aprile 1965 alle ore 18.30 alla
presentazione del primo numero di Linus (
) presso
la già esistente da quasi esattamente tre anni libreria.
Per l’aria che
tirava nel fumetto italiano, mi affido a una grande firma come Ferruccio
Alessandri nel suo sintetico
obituary
per l’amico morto, questa volta realmente, il 17 febbraio 2006, di venerdì (
) (humor
nero?): “
Giovanni Gandini, un amico - In
via Spiga si entrava in un giardino interno, poi su per una scaletta buia fino
all’ingresso di un piccolo appartamento. Era la redazione di Linus. In cima
alla scala c’era la prima stanza, dove lavoravano Fulvia e Cettina, al lavoro ‘serio’
(la posta, l’amministrazione, ecc.). Nella stanza che aveva le finestre sul
giardino c’era l’ufficio dove Linus (anzi, ‘il Linus’, come si diceva alla milanese) veniva preparato. Una
stanza con un camino, sempre spento, quasi tutta occupata da un grande tavolone
quadrato. Da una finestra era man mano entrata una vite americana che
cominciava a propagarsi su una parete. A questo tavolo lavoravano Giovanni
Gandini e Ranieri Carano e ogni tanto Oreste Del Buono. Quando era uscito Linus, devo essere stato il primo lettore a
leggerlo. Erano le sei del mattino e io stavo andando alla redazione di Gamma
fantascienza. All’edicola della stazione,
mentre compravo un quotidiano, buttarono giù un pacco. Un fascicolo verde, con
su Linus e la sua copertina. Mi ricordo che lo lessi tra l’ammirato e il
furioso (a Gamma stavamo baloccandoci con l’idea di fare una rivista a fumetti
con i Peanuts) e conclusi da esperto: ‘Una bella rivista, ma commercialmente
non durerà sei mesi...’ Sei mesi dopo lavoravo al Linus come redattore e grafico. Con Gandini l’atmosfera era rilassata. Non sembrava
nemmeno di lavorare. Si parlava, si discuteva pacatamente (mi sembra ancora di
sentire la sua voce baritonale) e ci si divertiva. Il suo atteggiamento verso
il giornale era particolarissimo: lo faceva per sé, per qualche amico e per un
pubblico ristretto che stimava. Il fatto che dopo un anno cominciasse ad avere
un successo clamoroso lo contrariava. Diceva che il successo ti condiziona, e
poi va a finire che si fa una pubblicazione commerciale. Infatti, al culmine
del successo vendette la rivista a Rizzoli, credo un fatto unico nella storia
dell’editoria. Quando sotto un Natale vennero a fare un servizio con Cochi
& Renato, non si era fatto nemmeno vedere, e avevo dovuto rispondere io
alle domande di un regista spocchioso. In seguito mi invitò a lavorare a una
nuova rivista, grande come un lenzuolo, Il Giornalone, che non ebbe successo e dovette chiudere presto (‘Però ci siamo
divertiti, Alessandri, no?’ mi disse). Io lavoravo dietro il deposito dei libri
dall’altra parte del giardino. Non mi convocava, veniva lui. Mi ricordo la sua
voce baritonale, che proveniva da dietro un enorme scaffale di libri che stava
aggirando per entrare nel mio ‘ufficio’. Invece di provare quel minimo di
allarme che sul lavoro si prova quando si è interpellati dal capo, con lui si
provava un senso di rilassamento. Era un amico. Ed era sensibile. Quando si era
deciso di mantenere solo quei pochi autori italiani, amici come Crepax e
Lunari, non se la sentiva di rifiutare personalmente autori nuovi (cosa
necessaria editorialmente per una serie di motivi di cui vi faccio grazia), e
così aveva rifilato a me l’orribile bisogna. Fra quelli a cui dovetti dire no c’era
anche un timido Bonvi alle prime armi... Anche se non pensavo che a questa
notizia della sua morte avrei ricevuto una tale mazzata, in un certo senso sono
contento che ci siamo persi di vista in questi ultimi anni, con lui che aveva
perso la voce, con noi che siamo invecchiati. Almeno me lo ricordo così: ‘Alessandri,
che ne dice di fare per Natale qualche bel poster con Snoopy?’ Perché non
ordinava mai, chiedeva. E ti dava del lei” (
).
Ma era proprio
quella l’aria? Secondo il Notaio Cavallone – con Oreste del Buono – andò così:
“
Nel frattempo, avevo continuato a
coltivare, sotto forma di hobbies
non
compromettenti, i miei interessi ‘intellettuali’: libri, spettacoli, mostre,
viaggi lampo e brevi soggiorni nelle capitali della cultura. Nel 1962, con
alcuni miei amici, avevo investito i miei modesti risparmi nell’acquisto di una
libreria intesa come negozio dove si vendono libri. Un divertimento come un
altro, dal quale doveva nascere però un’esperienza straordinaria di immenso
ulteriore divertimento, ma anche di lavoro serio e proficuo. Le singolari
circostanze della nascita della rivista ‘Linus’, nell’aprile del 1965, sono state
narrate a veglia, rievocate innumerevoli volte. […]
Oreste del Buono la storia di solito la racconta così: ‘Era
un’iniziativa di Giovanni Gandini e di un gruppo di amici che si ritrovavano la
sera in una libreria di via Verdi a Milano, diretta dalla moglie di Gandini,
Anna Maria. C’era un notaio, Franco Cavallone. Un avvocato, Bruno Cavallone. Un
procuratore legale, Ranieri Carano. E di sicuro altra gente di legge. Tra cui
l’avvocato Ciccio Mottola che apprezzava molto i Peanuts
di Charles M. Schultz. Ne aveva parlato
sinché non aveva convinto una parte degli amici a mettersi in società per
pubblicare il primo libro di Peanuts
:
Arriva Charlie Brown
. La grafica era
stata di Salvatore Gregorietti, cognato di Gandini, la prefazione di Umberto
Eco, che allora si interessava molto di fumetti, che trovava ancora materia di
sorpresa e di scandalo per i benpensanti. Il primo libro era uscito nel 1963.
Aveva avuto successo. Poi era uscito un altro libro di Peanuts
. Aveva avuto successo. Cosi Gandini aveva
avuto l’idea geniale di creare una rivista di fumetti diversa da tutte quelle
che l’avevano preceduta. Ovverossia una rivista che raccogliesse i fumetti
comici a preferenza di quelli avventurosi, le strisce quotidiane con le loro
iterazioni e le loro sovrapposizioni oltre alle tavole settimanali, e non
lasciasse i fumetti soli, ma li accompagnasse con note, commenti, con testi di
un nuovo modo di guardare al sottogenere, alla figurazione narrativa” (
).
Io aggiungo che non
solo in Italia tempo dopo apparvero Eureka!
e altri epigoni (come Sorry o Il mago) con diversi dosaggi di generi a
fumetti, ma Linus in breve divenne un
format esportabile (sebbene non credo
esportato, bensì solo copiato) in Francia dove apparve nel 1969 Charlie.
E Franco
Cavallone chi era, anche e allora?
Questo: “
Lui lavora da notaio e i rogiti li traduce
dopo averli redatti in inglese. Ha una finestra sul cortile e una stanza con
vista sui quotidiani”, “
è lui che ha
scritto sul primo numero ‘Linus è un nome facile anche da dire’”, “
memoria della cultura, […]
taglio d’abito impeccabile, […]
sigaretta MS”, “
Lo potete anche incontrare a Leopoli (raramente), al Connaught
(spesso), a New York, a Venice (California), a Helsinki, Göteborg, Uppsala, Leningrado,
Dublino”, “
È gentile, ride, sorride,
ogni tanto si arrabbia. Il mio amico Franco è sovrumano. Alt. Non correggete
queste bozze, voglio che sia lui a segnare gli errori” (
).
Questo: “
Per il notaio Cavallone valeva quel che Benedetto
Croce disse una volta di Raffaele Mattioli: ‘Questo Mattioli parla di molti
libri e ne parla con senno. Non sarebbe una cosa straordinaria. Lo
straordinario è che li ha letti’” (
).
Questo: che
leggeva i libri ma li lasciava “[…]
proprio
nuovi, appena arrivati dalla tipografia, o dalla legatoria. Eppure, per quanto
riguarda almeno i libri di narrativa, le biografia e i saggi critici, Franco li
ha letti quasi tutti dalla prima all’ultima pagina. Il miracolo ha origini
lontane: si narra di un Natale o di un compleanno remoto, allorché Franco,
bambino, avendo trovato in un armadio certi libri di Sàlgari o Salgàri che la
mamma si accingeva a regalargli, li aveva letti tutti velocemente di nascosto,
nonostante che avessero, come allora usava,’le pagine da tagliare’. Dopo di che,
li aveva ricollocati nell’armadio, fingendo poi doverosa sorpresa al momento
del regalo” (
).
Ma forse soprattutto
questo: “
Ho provato a figurarmi la
sceneggiatura di una giornata di lavoro nel mio studio di Milano, da affidare
magari a Michel Moore per la realizzazione. […]
Le gentili pendolari collaboratrici se ne vanno e il notaio resta solo
a vagheggiare i contorni familiari delle figure di Asterix e Obelix mentre
scorrono controluce nel tramonto sul paesaggio dell’Auvergne” (
), e
questo: “[…]
così l’incarico di tradurre Peanuts
passò a me e continuai a svolgerlo per
oltre dieci anni, per migliaia di strisce […]
. Tutte diligentemente tradotte in ufficio e, finché l’ufficio non fu
il mio, con gli originali appoggiati su un cassetto aperto, in basso, e il
testo italiano sul piano della scrivania, steso su insospettabili fogli uso
bollo” (
).
Questo post lo dedico a Mario Scognamiglio, mio
zio, che per un caso (cinico, ma non colpevole e nemmeno inaspettato), non ho
potuto avere come interlocutore oggi (leggasi mesi fa) quando ci saremmo incontrati
e intellettualmente scontrati alla pari nella assoluta diversità di cultori
della pagina stampata e a cui, tutt’altro che inter alia, avrei voluto parlare di Eduard Limonov.
Steg
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