"Champagne for my real friends. Real pain for my sham friends" (used as early as 1860 in the book The Perfect Gentleman. Famously used by painter Francis Bacon)



lunedì 28 ottobre 2013

ROCK N ROLL ANIMAL -- FRA I TRE ACCORDI E L’ACCORDO SOLO


ROCK N ROLL ANIMAL

 

Chiamate Furio Colombo!
Il fatto che io provi un fastidio quasi fisico per lui ([1]) non significa che io eviti di riconoscergli dei meriti.
Probabilmente si tratta della sola persona in Italia in grado di scrivere un obituary soddisfacente di Lewis Allan Reed al di fuori dei pochissimi reediani d’acciaio (chissà quel romano che ...) i quali non frequentano i media tradizionali.
 

Quando morì Nico, poca fu l’eco.
Io ero in vacanza in Francia e con me avevo la prima edizione di Psychotic Reaction and Carburetor Dung di Lester Bangs: i casi della vita.

 

E che dire della morte di Sterling Morrison? Una riga.

 

Dunque, The Velvet Underground sono finiti oggi, 27 ottobre 2013 ([2]).

 

Gli scenari non esistono, esistono soltanto le prossime uscite e tutti quelli che corrono tardivamente a comprare un CD o, tristezza, scaricare a pagamento una registrazione senza tutto l’apparato visuale che è parte del tutto.

 

Ho scritto di New York, dunque ho scritto anche di Lou Reed.
Ho scritto di David Bowie, dunque ho scritto anche di Lou Reed.
Ho già scritto anche di Lou Reed.
Lou e John contro gli eredi di Andy Warhol: anche di quello ho scritto, con tristezza posto che Drella aveva riunito i separati fondatori del cruciale quintetto (perché il primo album comunque comprende anche Nico) contra hippy ([3]).

 

Per altre considerazioni, lascio la pagina (in parentesi quadra un possibile titolo, mio, e mie precisazioni per rendere il testo più chiaro) a Glezos (e per i più curiosi: cercatevi il numero del marzo 2013 della rivista italiana Blow Up).

 

 

                                                                                                                      Steg

 

 

 

[FRA I TRE ACCORDI E L’ACCORDO SOLO]

 

L’ho visto per la prima volta in carne ed ossa nel febbraio 1975, poco più che bambino – il bambino ero io, mica lui. Un amico di famiglia quella sera al Palalido di Milano era nel servizio d’ordine, e oggi penso al rischio di portarsi dietro un infante infatuato dalla fama controversa di Lou Reed, sbarcato per la prima volta nel Bel Paese. Erano i tempi di ‘Sally Can’t Dance’, su ‘Ciao 2001’ c’erano le pubblicità dell’album e del tour italiano, ma lo conoscevano i proverbiali quattro gatti. Chi oggi snocciola rosari, quelli che da oggi sono Vedovi Reed, dopo essere stati Vedovi Di Chiunque, all’epoca erano molto presi da tutt’altro, tra una barba una boccetta di patchouli e la loro brava stecchetta d’incenso condita da un “fumante tè indiano” (se mi leggi sto parlando di te, caro mio, ho ancora il tuo nome insieme a tutti gli altri ben stampati in testa).

 

Chi conosceva Lou Reed? Alcuni, pochi, nessuno. Un bel po’ di tempo fa Sergio Messina mi parlava dei viaggi mentali (e a volte non solo mentali) che in quel di Roma ci si faceva solo guardando la copertina degli LP dei Velvet Underground, magari concentrandosi bene su Nico. Quando venni a sapere particolari e aneddoti sulla bionda tedesca musa di tanti (fonte: l’Equipe 84 del periodo romano, 1964-65, con lei che si era invaghita di un membro del gruppo) il mito si autoregolò a scartamento ridotto. Ma su di lui, Lou Reed, beh, la partita era di quelle sospese per nebbia.

 

Come andò quella sera al Palalido fu immediatamente leggenda, per niente metropolitana. Branduardi e String Driven Thing come support acts, gli ‘autonomi’ che strappano i cavi a questi ultimi (la band del futuro Van Der Graaf Graham Smith, sopravvalutatissimo violinista dal sound che più nevrastenico non si può). E poi arriva Lou Reed, che riesce anche a suonare qualcosa tra cui ‘Heroin’, mentre gli slogan del gruppo nel secondo anello vanno avanti imperterriti e lui li fa inquadrare con un faro e dice qualcosa del tipo “Choose between those motherfuckers and me”, e se ne va. Io lì in prima fila che non capisco cosa cazzo succede, il gruppo di contestatori scende sotto, sale sul palco e inizia un delirio al microfono con highlights rappresentati da parole come “musica gratis” - “ambiguità politica” - “lotta contro questo e quello”. Il mio amico del servizio d’ordine mi prende per il collo e mi trascina negli spogliatoi del Palalido, e da una porta metà aperta si vede lui che singhiozza abbracciato dal suo uomo/donna dell’epoca (“Oh, hai visto? Sta veramente con un travestito!!!”). Se ne lessero di ogni, dopo una commediola all’italiana in tutto e per tutto. Il fatto che i contestatori gravitassero attorno a Stampa Alternativa di Marcello Baraghini, beh, era quasi esilarante. Famosa la dichiarazione di una supposta (di nome e di fatto) attivista che sbottò nell’ indimenticabile “Faccio la militante tutto il giorno, ho diritto anch’io a un po’ di relax!!!”. Such a perfect day.

 

Ah sì. Lui, quello di Patty Pravo, ‘I giardini di Kensington’, sì sì, adesso ricordo. Recensioni degli album post-Velvet, nessuno li compra. Dopo le date-disastro di quel tour italiano (ne erano annunciate altre, alcune non si tennero, altre non ebbero nemmeno inizio) la solfa resta identica. Non se lo fuma nessuno. Poi il punk, e qui Lou Reed cambia pelle o meglio gliela fanno cambiare, dal momento che improvvisamente torna comodissimo per far dire ai Piergiuseppe Caporale & compagnia “Eh, ma vuoi mettere con Lou Reed”. Quindi, tutti in coda dal Precursore, il Primo Punk, quello di Warhol, noi che lo seguiamo dagli inizi. Negli USA [“]i[”] John Holmstrom ([i quali] sanno benissimo chi è, loro scrivevano su ‘Punk’, mica su ‘Ciao 2001’) lo intervistano per metterlo in mutande. Lui ovviamente non ci casca, risponde per le rime e diventa da pre-eroe a post-stronzo. Qualche anno dopo, anche lì scatta la sindrome da allegato letterario del New York Times: lui pre-questo, pre-quell’altro e soprattutto Vera Anima Della Grande Mela. Che a lui piacesse pensare di essere il verme, in quella mela, questo sembra non avere sfiorato la mente di nessuno. In mezzo, i pochissimi che sotto tutte le latitudini fin dai primi giorni solisti hanno umilmente comprato i suoi dischi in assoluto silenzio, facendo sacrifici orrendi per averli, e ai quali lui ha fatto compagnia mentre crescere si rivelava quella cosa descritta nelle ‘Liaisons Dangereuses’, “la vita non è quello che pensavamo noi”.

 

Non era quello che pensava neanche lui, e quello che resta – la sua musica, almeno fino a ‘Metal Machine Music’ – lo dice sempre. Quello che è venuto dopo è conversazione da tabaccheria, a metà strada tra ‘Smoke’ e ‘Blue In The Face’. Nemmeno l’ingloriosa passerella da malato coi Metallica da Fazio conta qualcosa. E soprattutto non ci dice niente, se non che quello che sostiene Lemmy [dei Mötorhead] (“Se tuo padre è uno stronzo e muore, è uno stronzo morto”) non vale per Lou Reed.
Sempre che John Holmstrom sia d’accordo, adesso.

 

 

                                                                                                                      Glezos

 

 

 

 

 

POST SCRIPTUM

Provo discreto fastidio per tutti quelli che hanno dichiarato che adesso è “finito tutto”.
Avete visto la foto del 2011 di Morrissey con Lou Reed? Reed ha già un’espressione persa, debole, irreversibile.
Soltanto persone come John Cale o David Bowie possono dichiarare quello che hanno dichiarato.

 

Posto, però, che nessuno ha in tasca la verità, vi suggerisco di cercare “People Who Died” di Jim Carroll (ne esiste anche una versione di John Cale, come ho scoperto nel blog di una rivista finanziaria!). Jim Carroll è morto già da anni, con poche parole spese in sua memoria.

 

 

                                                                                                                      Steg

 

 

 

 

© 2013 Glezos, Milano, Italia.
     © 2013 Steg, Milano, Italia.
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[1] Come per tutti i genuflessi alla Famiglia Agnelli.
[2] Nello stesso giorno morì, nel 1990, Ugo Tognazzi.
[3] Che “un” Pigpen fosse disperato non toglie alcunché alla immagine scanzonata di Haight Ashbury.

1 commento:

  1. secondo me ha fatto altre buone cose dopo metal machine music (magari più come singoli pezzi che come album veri e propri). per il resto ti do ragione. non è finito nulla, non adesso. adesso sta ricominciando.

    ps. bello il suggerimento di jim carroll.

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